Perché "Infermieri NextGen" è un video molto brutto
"Infermieri NextGen", un nuovo sguardo sulla professione
Alla base di tutto c’è la cronica carenza di personale , acuita in questi ultimi decenni da una criminale politica di tagli della spesa pubblica, fatta da tutti i governi.
Durante il fascismo la retorica di regime prometteva un posto sicuro – alle infermiere diplomate – dopo corsi professionalizzanti, il cui numero di licenziate, però, non riusciva mai a coprire le esigenze minime del sistema.
Solo con l’avvio del Servizio sanitario nazionale, e l’alta numerosità della baby boom generation, si è avuta una importante risposta giovanile verso la scelta di diventare infermiere professionale.
Vari elementi si rivelarono utili a tal fine: l’istituzione di una sorta di presalario garantito agli studenti (che quindi non venivano salassati da tasse universitarie di ogni tipo , l’idea che lo sviluppo del welfare sarebbe stato un percorso ricco di occasioni ed aspettative e, non ultimo, la percezione di appartenere ad una comunità sociale in cui l’etica del lavoro e della solidarietà erano considerati dei valori fondativi. Poi sono arrivati gli anni ’90 , il liberismo della Thatcher e di Reagan. Il resto è storia di oggi .
Premessa lunga, ma necessaria per introdurre l’argomento di questo lavoro che interessa il video promozionale curato dalla Fnopi , presentato ad un incontro con la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) dove, al di là di tante belle parole, fra proiezioni future e lamentele attuali, nulla di nuovo è stato detto, nel concreto, di una realtà che non potrebbe essere altrimenti, data la scarsità di risorse economiche e il velenoso processo di privatizzazione in atto.
Il comunicato stampa della Fnopi, redatto per l’occasione, nella sua chiusa loda il video realizzato per catturare le anime più diversificate della NextGen, la generazione Z, l’ultima nata nel ‘900 e la prima del nuovo millennio, compresa fra il 1997 e il 2012.
In verità, è da rilevare che il video, presentato a luglio, forse arriva un po’ tardi per stimolare una scelta che dovrà consumarsi a breve; gli esami di ammissione saranno già a settembre.
Ciò nonostante, non si può fare a meno di guardarlo e cercare di capire i contenuti utili per un arruolamento di massa.
Partiamo da come è stato realizzato
Ho chiesto ad un professionista della pubblicità una valutazione e mi ha detto che presenta molti punti deboli. In primo luogo, sembra prodotto con un assemblaggio di quei materiali che in gergo si chiamano “stock”, cioè immagini e filmati preconfezionati, disponibili in rete – pagando - da usare a piacimento per costruire una reclame nella maniera più economica possibile, ma non per questo efficace .
Pagare attori, registi, copy, etc. è decisamente più costoso. Nel filmato, le immagini che si succedono l’un l’altra non riescono, ad ogni modo, a trasmettere una narrazione di alcun tipo. Non c’è un’idea dell’infermieristica strettamente connessa ad una situazione reale, raccontata, sentita, veicolata e partecipata .
I fotogrammi accompagnano la presentazione di tante cose belle, che si vorrebbero proprie della professione, in uno sciorinare di situazioni simili a quando, l’imbonitore di turno, mostra i differenti usi di un set da coltelli da vendere a tutti i costi.
Poi, una volta comprati – i coltelli – ci si accorge di come la pubblicità riesca a dire di tutto. E il suo contrario. E che la realtà della vita e del lavoro è ben altra cosa.
Altri punti deboli del video sono la durata (1,43 minuti) ed il fatto di averlo diffuso su YouTube. Nel primo caso la durata è tre volte superiore alla media dei filmati che la NexGen è abituata a seguire in rete, su siti social maggiormente frequentati quali Instagram, TikTok e Facebook, in cui, a tutt’oggi, non c’è traccia del filmato in questione.
Errore non da poco sul piano del marketing, in quanto: Chi dovrebbe vedere il video come fa a vederlo se non glielo facciamo vedere? , ha esordito il mio amico pubblicitario.
Ed ancora, la musica d’accompagnamento è tale e si dilunga in un crescendo che sembra di trovarsi al campus di reclutamento degli Avengers, in una narrazione – questa sì – più da generazione X frustrata che non da NexGen volenteroso e disoccupato.
Insomma, anche un cieco si accorge dell’urgenza bulimica (la definizione non è mia, purtroppo) di dover convincere qualcuno ad acquistare qualcosa di cui tu – venditore - per primo non sei affatto convinto.
E questo lo si rileva in maniera evidente dalla totale decontestualizzazione del prodotto , dalla rottura fra racconto negato e immagini mostrate e, di conseguenza, lo spettatore stancamente arriva a chiedere: Ma di che cosa si sta parlando?
Vediamo qualche passaggio
Si parla di infermieristica nelle scuole e si fa vedere fugacemente l’immagine di un asilo, nella consapevolezza che la realtà attuale vede una presenza professionale a livello scolastico, fatta eccezione per qualche meritorio esperimento, pari a zero sul territorio nazionale.
Un territorio che a sua volta viene citato, ma di cui non si vede traccia. Non si riesce a scorgere niente che parli della salute della popolazione italiana, dell’assistenza diffusa, dei luoghi del bisogno : una via di un centro storico dimenticato, i casermoni delle periferie urbane, i presidi ambulatoriali, la vita di tutti i giorni che scorre, anche un po’ ingolfata, da milioni di esistenze sospese nelle sale d’attesa dei tanti presidi sanitari. Niente di tutto questo traspare dal video quasi hollywoodiano.
C’è solo un susseguirsi di frasi belle, empatiche, accattivanti, gloriose e perennemente avvolte in uno sgradevole foglio di cellophane : Sogno di lasciare un segno nella vita degli altri , [Una professione] Fondamentale nella ricerca , Lavorare con le tecnologie più avanzate , Scegliere il percorso accademico adatto a me e costruire la carriera dei miei sogni , Mettendo in campo le mie competenze… e le mie emozioni , Voglio essere libero di scegliere il mio ruolo e la mia specializzazione , So che posso essere anche un’imprenditrice o un libero professionista .
Alla fine, sembra di guardare la propaganda ideologica (fatta di liberismo selvaggio, abborracciato e gerarchico) di un partito in cerca di giovani da arruolare nelle sue gloriose fila. Si, perché il modello di infermiera e di infermiere mostrato è totalmente lontano dall’attualità in cui è immersa la professione oggi, come ieri, come sempre .
Il famoso cartoon di Zero Calcare “Lele, l’infermiere ”, prodotto in piena pandemia è molto più realistico nel raccontare la storia di un collega di una delle tante cooperative dell’assistenza privatizzata, stanco di favolette da supereroi, di una paga da fame e di un precariato infinito.
Insomma, è un filmato che può soddisfare qualche dirigente che si autocompiace di aver fatto (o meglio aver commissionato) qualcosa, da qualche parte, per qualcuno, in una qualche maniera. Nessuna traccia del campione giovanile di riferimento, lontanissimo dalle pulsioni rappresentate .
Un campione fatto da quei giovani che stanno soffrendo maggiormente la povertà, la disoccupazione, il lavoro mal retribuito e insicuro, che non può ritrovarsi in alcuna maniera in un video che si carica di veri e propri pittogrammi arcaici, incuranti, quanto insensibili, se non ignoranti, di recepire le paure e le sofferenze, nonché i bisogni del pubblico cui vuole parlare: giovani caricati di ansia per colpa di genitori perfetti e di una società assente. Frustrati, e maggiormente presenti nel volontariato che nella politica.
Sono degli individualisti nella sostanza , mi ha detto un’assistente sociale da anni impegnata nei servizi che riguardano giovani e minori. Più che altro non sono interessati ad una partecipazione “forzata” e, mi viene da dire, presentata nel modo peggiore. Quello che, professionalmente parlando, interessa alla generazione “Z” è il tempo libero dopo il lavoro, la tutela degli orari flessibili, i turni leggeri e brevi, per poter tornare a casa presto, e fuggire da un mondo troppo brutto, insopportabile, da cui sanno che non sono in grado di difendersi. In un realismo troppo lucido in quanto di essere supereroi in corsia se ne sbattono, tendenzialmente. Sono individualisti perché il sistema fino ad oggi li ha resi tali. Se si vuol far breccia nei loro cuori e nelle loro menti, bisogna mostrare loro il lato delle professioni che fa capire come la partecipazione e l'aiuto al prossimo possano portare anche a loro giovamento .
Non sarebbe stato sbagliato un messaggio più politico, molto più economico e sociale, e decisamente assistenziale, in cui si affermava che la sanità pubblica esiste grazie a chi paga le tasse, e non a chi le evade (lo ricordava qualche giorno fa Marco Geddes Da Filicaia su Quotidiano sanità).
Ed in questo essa rappresenta, anche grazie al lavoro di infermiere, un impegno di tutti cui si può contribuire ulteriormente. Ecco il messaggio forte utile a porre la scelta fra essere tra i furbetti e i privilegiati o darsi da fare, come protagonista, di una società migliore. Un messaggio che sicuramente avrebbe fatto breccia.
Alla fine, ritorna la domanda mancata, l’idea negata, la storia non raccontata funzionale a spingere qualcuna o qualcuno verso la professione infermieristica. Ed allora ho chiesto ad un altro amico pubblicitario, un possibile slogan da veicolare in trenta semplici secondi, con qualsiasi filmato parli di vita quotidiana. O anche su un manifesto con una foto sullo sfondo (non le solite belle statuine in camice verde, per cortesia!).
Ed ecco lo slogan proposto, anzi tre, come si usa fra pubblicitari:
Ci sono tanti motivi per aiutare gli altri. A te ne basta uno. Professione infermieristica: una presenza che fa la differenza.
Capire i bisogni. Avere dei sogni. Professione infermieristica: una presenza che fa la differenza.
Una vita normale, come tutti, per un lavoro speciale. Professione infermieristica: una presenza che fa la differenza.
A Voi la scelta .
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