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In Italia ci sono oltre 38mila infermieri stranieri attivi

di Redazione

Come annunciato dal ministro della Salute Orazio Schillaci al G7 Salute di Ancona sono in arrivo nel nostro Paese nuovi infermieri dall'India. Operatori che andranno ad aggiungersi agli oltre 38mila stranieri già attivi in Italia. Secondo dati Fnopi, tra le cittadinanze estere più rappresentate in Italia emerge al primo posto la Romania (12mila infermieri), seguita da Polonia (2mila), Albania (1.848), India (1.842) e Perù (1.500).

Infermieri, Fnopi: lavorare insieme per rendere professione attrattiva

In Italia lavorano già oltre 1.800 infermieri indiani (dati Fnopi), ma ne sono in arrivo altri come annunciato dal ministro della Salute Orazio Schillaci.

Dobbiamo lavorare tutti insieme per far lavorare meglio gli infermieri, pagarli di più e rendere la professione attrattiva verso i giovani.

Così il presidente Opi Grosseto, Nicola Draoli, consigliere nazionale della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, intervenendo sulla questione dell'arrivo di infermieri provenienti dall'India per colmare il gap di personale in Italia.

Tale iniziativa è stata recentemente confermata dal ministro della Salute Schillaci che in occasione del G7 Salute ha tenuto un incontro bilaterale con il ministro indiano per definire a breve un protocollo operativo così da consentire di tamponare l'attuale grave mancanza di infermieri.

Abbiamo scelto gli infermieri indiani perché hanno dei diplomi di qualità che possono essere riconosciuti dal nostro sistema, ha spiegato il ministro.

La carenza stimata, circa 65mila unità, non la recuperi oggi o nell'immediato, sottolinea tuttavia il presidente Opi Grosseto riconoscendo che serve certamente un accordo con l'India che metta nero su bianco le certezze sulla qualità della formazione e sulla conoscenza della lingua, requisiti indispensabili che saranno valutati, fa sapere il ministero, anche tramite una piattaforma collegata alle università.

Poi spero che non diventi una guerra tra Paesi europei per accaparrarsi gli infermieri indiani, auspica Draoli considerando che è tutto il mercato mondiale ad essere in crisi per il reclutamento di questa figura professionale.

Che non si possa arginare un fenomeno tipico del mercato globale è concorde anche Barbara Mangiacavalli, presidente della Fnopi: Quello che possiamo fare è mettere alcuni paletti insieme al Governo e al ministero della Salute affinché ci sia una garanzia di qualità per i cittadini italiani. Abbiamo bisogno che i colleghi che arrivano in Italia abbiamo questa formazione e qualificazione, ha dichiarato esprimendosi in merito alla presenza in crescita di infermieri stranieri nella sanità italiana.

Secondo i dati della Fnopi, aggiornati ad aprile 2024, gli infermieri stranieri che esercitano la professione in Italia, dopo aver superato le verifiche previste dalle normali procedure di legge e che si sono iscritti agli Ordini provinciali, sono 24947, di cui 15419 provenienti da paesi dell'Unione Europea e 9528 da Paesi extracomunitari.

In seguito al decreto Cura Italia per fronteggiare la pandemia, se ne sono aggiunti altri 11500 mentre il decreto Ucraina ne ha fatti arrivare circa 1700-1800: si tratta di personale che è stato tuttavia ammesso senza i passaggi legati ai controlli.

Complessivamente gli infermieri stranieri presenti in Italia sono oltre 38mila. Quelli indiani che già lavorano nelle strutture sanitarie italiane risultano oltre 1800. Gli infermieri stranieri più numerosi sono quelli rumeni, circa 12mila, seguiti dai polacchi (2000), dagli albanesi (1848) e da peruviani (1500).

L'Ordine garantisce che tutti questi infermieri abbiano le caratteristiche richieste, assicura Mangiacavalli sottolineando che la presenza di professionisti stranieri è comunque decisamente più massiccia in altri Paesi. In Irlanda, ad esempio, il 50% degli infermieri arriva dall'estero ma è stato fatto un grande lavoro sul welfare aziendale e sulla formazione del personale, soprattutto sullo studio della lingua, evidenzia.

Gli Ordini sottolineano la necessità che si torni a verificare, attraverso gli Opi, le competenze accademiche e la relativa certificazione del titolo di studio come accadeva regolarmente in epoca pre-Covid per la verifica della competenza dei percorsi di studi, della conoscenza della lingua e della deontologia, conclude Draoli alla luce di questo panorama.

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