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Diritto alla morte, testamento biologico contro l'accanimento terapeutico

di Rosario Scotto di Vetta

Testamento Biologico

Andrea esprime palesemente di non volere continuare la sua vita in queste condizioni: soffre di distrofia muscolare e la sua malattia è ormai in stato avanzato. Il medico e l’infermiere dovrebbero solo rispettare la volontà del paziente ponendo dei limiti ad eccessi diagnostici e terapeutici non coerenti con la concezione di qualità di vita dell’assistito.

Andrea è una persona con una distrofia muscolare in stato avanzato. Egli asserisce di non ritenere più dignitosa questa vita completamente dipendente da altri, limitata in un letto e in un corpo che non sente più come proprio, esprimendo palesemente di non volere continuare la sua vita in queste condizioni. Il medico e l’infermiere, quindi, hanno il dovere oltre che l’obbligo, di porre dei limiti ad eccessi diagnostici e terapeutici non coerenti con la concezione di qualità di vita dell’assistito, e di impegnarsi al riconoscimento legale del diritto al rifiuto dell’accanimento terapeutico.

Per accanimento terapeutico si intende l’impiego di cure non giustificato dalle condizioni particolari del malato, in quanto ad esse egli non deriva un reale beneficio. L’evoluzione della tecnologia ha reso difficile stilare un elenco definitivo dei mezzi da considerare ordinari (obbligatori) da quelli straordinari (che si possono rifiutare). Quindi oggi tali termini vengono sostituiti da proporzionato e sproporzionato.

La proporzione deve essere definita in relazione alla situazione, alle caratteristiche e all'autonomia del malato, cioè al suo diritto di rifiutare le terapie. Quindi è giusto affermare che quando le terapie sono sproporzionate tutto ciò che si può ottenere è un insieme di “successi parziali", come il ripristino o la normalizzazione di un parametro vitale. Tuttavia non è detto che la persona riesca a stare meglio e apprezzare nuovamente la sua vita. Non si può dunque parlare di reale beneficio terapeutico.

Al cittadino dovrebbe essere concesso di firmare una dichiarazione di volontà anticipata, conosciuto all’estero come living will. Non è altro che un testamento scritto per permettere a una persona di scegliere il tipo di assistenza sanitaria in previsione di una malattia che tolga la capacità di intendere e volere. Così un paziente può rifiutare l’accanimento terapeutico o nominare un tutore che rispetti la sua volontà o che scelga per lui. Questo strumento di legge presente in paesi europei come Svizzera, Olanda, Danimarca permette a ogni singolo cittadino di decidere se il proprio corpo debba ricevere cure appropriate dall’assistenza sanitaria oppure lasciare che l’evoluzione della malattia faccia il suo corso senza che ci sia l’intervento dei sanitari.

testamento di vita

testamento di vita

La volontà del paziente dovrebbe essere rispettata anche se la mancata effettuazione dei trattamenti derivi un pericolo per la salute o per la vita stessa. Il medico è esentato da ogni responsabilità derivante dall’esito della mancata terapia. Per questa ragione, si è ritenuto debba esserci un atto scritto firmato dal paziente stesso, e allegarlo alla cartella clinica nel caso di un suo ricovero ospedaliero. Quindi il diritto esiste il medico che deve rispettare la volontà del malato, sia essa espressa al momento sia tramite un'amministratore di sostegno o scritta in precedenza dal paziente.  È bene sottolineare che evitando l’accanimento terapeutico non si vuole procurare la morte, ma si accetta di non poterla impedire.

Il codice deontologico dell’infermiere con l'articolo 36: "L’infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita". L'articolo 37: "L’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato". 

L’articolo 37 del codice deontologico medico prevede: “In caso di malattia a prognosi sicuramente infausta o prevenuta alla fase terminale, il medico deve limitare la sua opera all’assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato i trattamenti appropriati per la tutela”.

Vi è una legge chiara in materia, possiamo comunque prendere spunto anche dalla giurisprudenza, citando l’articolo 32 della Costituzione italiana che stabilisce: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. In Italia l’eutanasia passiva è illegale e i sanitari sono obbligati a tenere Andrea in vita contro la sua volontà e se un medico o un infermiere decidesse autonomamente di interrompere la ventilazione o l’alimentazione incorrerebbe a omicidio volontario. Anche se il diritto al suicidio è attualmente ancora negato però la Corte Costituzionale ha stabilito che: “la salute non è un bene che possa essere imposto coattivamente al soggetto interessato dal volere o, peggio, dall’arbitrio altrui, trattandosi di una scelta che riguarda la qualità della vita e che pertanto lui e lui solo può legittimamente fare”.

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