Siamo dirigenti sanitari quando si tratta di fare le selezioni concorsuali e dirigenti amministrativi quando invece si tratta di affrontare aspetti di collocazione nei comparti contrattuali, oppure quando c'é da definirne la retribuzione.
Nicola Barbato, presidente del Comitato Infermieri Dirigenti (CID) ha annunciato la proposta di realizzare un sindacato di categoria per i dirigenti delle professioni sanitarie. Ma cosa ne pensano i nostri dirigenti? lo abbiamo chiesto a Dario Laquintana, ex-sindacalista del comparto, ora Direttore SITRA della Fondazione I.R.C.C.S dell'Ospedale "Maggiore" Policlinico di Milano.
"Penso che Barbato abbia fatto molto bene a porre il tema della dirigenza delle professioni sanitarie all'attenzione dei soggetti contrattuali, le organizzazioni sindacali e l'ARAN" - spiega Laquintana.
"La dirigenza infermieristica vive un po' un paradosso: è la cenerentola delle dirigenze sanitarie.
Siamo dirigenti sanitari quando si tratta di fare le selezioni concorsuali e dirigenti amministrativi quando invece si tratta di affrontare aspetti di collocazione nei comparti contrattuali, oppure quando c'é da definirne la retribuzione" - aggiunge.
"La dichiarazione di Barbato, secondo me, però, è una provocazione dire che si vuole arrivare ad un sindacato autonomo della dirigenza, anche perché i dirigenti in Italia sono millecinquecento, quindi un numero risicato rispetto al numero complessivo dei dirigenti sanitari esistenti. Se anche un sindacato di questo tipo, totalizzasse il cento per cento delle adesioni dei dirigenti delle professioni sanitarie, rischierebbe comunque di non potersi sedere al tavolo delle trattative per la scarsa rappresentanza complessiva della dirigenza sanitaria.
Penso però sia stata un'utile provocazione che ha ricordato al resto del mondo sindacale e all'Aran che la Dirigenza delle professioni sanitarie esiste e non la si può ignorare".
"Nell’ultima trattativa sulla ridefinizione dei comparti di contrattazione alcune organizzazioni sindacali mediche avrebbero voluto ricollocare la dirigenza delle professioni sanitarie nella dirigenza amministrativa. Collocare noi in quell'area avrebbe voluto dire disconoscere il ruolo sanitario, e soprattutto in futuro, quando probabilmente si parlerà di aspetti anche clinici rispetto alla dirigenza, negare agli infermieri di essere sanitari. Per questo la battaglia è stata importante e difficile."
I dirigenti delle professioni sanitarie non sono infermieri" questo è uno dei più frequenti commenti degli infermieri italiani. Come risponde?
"É un errore. Chi pensa di fare il dirigente dimenticandosi chi è nel profilo, a quale albo è iscritto e qual è il motivo per cui è stato scelto, fa male il suo lavoro. La legge 251 del 2000 lo dice molto chiaramente ed io lo dico sempre: la dirigenza infermieristica è stata fatta non per creare nuovi posti di dirigenti, ma per qualificare l'assistenza infermieristica erogata agli utenti. Chi perde questo punto di vista fa male il proprio lavoro.
Credo che molto sia dovuto al difficile momento economico che viviamo, che vede una sostanziale riduzione delle risorse rispetto al continuo aumento delle richieste.
In questo scenario a tutti è richiesto di fare di più, con sempre meno e con una popolazione lavorativa che invecchia facendo un lavoro usurante, non riconosciuto come tale.
Dobbiamo solo decidere insieme quando non è più possibile andare avanti, quando le richieste di miglioramento dell’efficienza non sono più sostenibili.
Gli infermieri non dovrebbero arrabbiarsi quando si sentono dire no alle ferie, all’aumento dell’organico o a nuovi materiali, ma quando sentono dire alla televisione che si riducono, o non aumentano rispetto ai bisogni della popolazione, le risorse destinate al fondo sanitario nazionale, al costo del personale, ai beni e servizi.
Le scelte, a quel punto sono già fatte. È inutile prendersela con chi deve applicarle. Non credo esista un dirigente felice di dire dei no. A volte non è possibile fare diversamente.
Per me la scelta più difficile è arrivare a dire alla direzione strategica che bisogna chiudere i servizi, perché con quei servizi muore un pezzo di sanità pubblica, che verosimilmente sarà sostituito da una cooperativa, che sottopagherà i colleghi neolaureati e senza lavoro sottoponendoli a carichi di lavoro impossibili.
I bisogni sanitari della popolazione non si riducono, cambia solo il modo e la qualità con cui sono soddisfatti e il costo che in futuro sarà sempre più pagato direttamente dai cittadini.
Sono sempre stato convinto che il lavoro, ed il servizio sanitario nazionale, si difenda con il lavoro.
Questo è un patto che le generazioni, vecchie e nuove, di dirigenti e di professionisti devono fare se non vogliamo far morire un servizio sanitario che resta tra i migliori del mondo".
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