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Dirigenza infermieristica: le strade dell’assistenza e del contratto

di Redazione

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E a dargliele sono stati esponenti di spicco accademici, della Pubblica amministrazione, delle Regioni, del Governo e della professione.

BOLOGNA. Dirigenza infermieristica: come stare dentro il sistema? La domanda della presidente Ipasvi Barbara Mangiacavalli che ha aperto a Bologna la giornata su “La mappa di un percorso.  La dirigenza infermieristica gestionale e professionale: focus sullo stato dell’arte e prospettive di sviluppo”, ha avuto risposte chiare.

E a dargliele sono stati esponenti di spicco accademici, della Pubblica amministrazione, delle Regioni, del Governo e della professione.

La legge Madia di riforma della Pubblica amministrazione deve rivedere i modelli, ha sottolineato Carlo Mochi Sismondi, presidente Forum Pa, non per lasciare tutto come è ora, ma per rivoluzionare la visione e il ruolo della Pa che deve essere soprattutto agile, nel senso di dare un po’ meno attenzione all’efficienza e un più all’efficacia, rispondendo alla necessità di semplificazione che i cittadini richiedono. E a proposito di dirigenza, sottolinea Mochi Sismondi, vanno rivisti i termini del concetto di dirigenza che deve essere analoga a quella che l’Ocse riconosce e non con le anomalie italiane in cui intere categorie sono definite tali, ma dirigenti non sono.

Per gli infermieri il concetto di dirigenza parte da lontano, ha spiegato la senatrice Annalisa Silvestro, membro del Comitato centrale Ipasvi. Ma il suo punto di arrivo, ha sottolineato, deve essere quello che va oltre il concetto di gestione e rende applicabile alla clinica e all’assistenza le capacità della categoria. A partire dalle nuove competenze che devono svilupparsi lungo i due assi – manageriale e clinico, appunto – perché nel lavoro pubblico ciò che conta realmente è la qualità della prestazione professionale e quella degli infermieri deve essere ed è a tutto tondo.

Federico Lega, professore associato dell’Università Bocconi, ha confermato il ruolo crescente dell’infermiere, descrivendone una responsabilità trasversale e multidisciplinare, inserendolo nel ciclo strategico delle aziende e trasformandolo nella “quarta gamba” della responsabilità aziendale. Secondo Lega, infatti, la professione di infermiere è quella che di più conosce cosa fare per i servizi alla persona. E in questo i professionisti non si devono limitare ad agire secondo indicazioni altrui, ha detto, ma presentare idee e proposte, con maggiore responsabilità e titolarità, nella consapevolezza di essere obbligati a fare bene.

Per rendere reali queste novità però ci sono ostacoli da superare.

Il primo è la revisione di una legislazione complessa che, ha spiegato Grazia Corbello, dirigente alla direzione generale delle risorse umane e delle professioni del ministero della Salute, ha realizzato norme che innescano forme di dirigenza quasi in contrasto tra loro e che dovrebbero essere rese trasparenti e uniformi per consentire di sapere di chi si parla e cosa fa rispetto al Servizio sanitario nazionale La revisione dei contratti, ha sottolineato Corbello potrebbe, anzi dovrebbe, essere l’occasione per chiarire le situazioni e dare certezze.

Ma quello dei contratti non è un settore facile.

Sergio Gasparrini, presidente dell’Aran, parla chiaro: per rinnovarli e per sedersi a un tavolo valido servono risorse che non ci sono. Gasparrini ha detto chiaramente che i 300 milioni stanziati dal Governo servono a coprire lo 0,25% di un rinnovo che per raggiungere aumenti del 2,5% dovrebbe prevedere almeno 2-3 miliardi di disponibilità economiche. Così le condizioni per una trattativa economica non ci sono e il presidente dell’Aran ha spiegato di averlo ben chiarito al Governo. L’altro scoglio per l’apertura dei tavoli è la revisione delle aree contrattuali che, secondo Gasparrini, va assolutamente conclusa prima dell’avio della trattativa, prevedendone anche una specifica per la sanità.

Massimo Garvagalia, assessore al Bilancio della Regione Lombardia e presidente del Comitato di settore Regioni-Ssn ha sottolineato in questo senso che se è vero che non c’è copertura per i contratti, per ottenere risultati tangibili nella riforma della Pa e nel nuovo modello di Servizio sanitario nazionale che si vuole disegnare, è necessario capire chi c’è che ci lavora e cosa fa – e anche in questo senso andrà il monitoraggio richiesto alle Regioni da effettuare nei primi mesi 2016 sulle piante organiche -, infermieri compresi che stanno assumendo, anche per la nuova demografia della popolazione, un ruolo e una posizione sempre più di primo piano.

Il modello che Garavaglia ha descritto e che dovrebbe essere la guida per i nuovi contratti segue in questo senso un percorso in cinque tappe: 1) fotografare ciò che è stato fatto finora, con un focus particolare sulle esperienze locali; 2) capire che non ci sono 21 sistemi sanitari diversi, ma semplicemente chi si è mosso più di altri e per questo consentire a tutti di raggiungere lo stesso livello, soprattutto nella responsabilizzazione delle professioni; 3) rivede gli attuali ruoli standard del personale perché alcuni non hanno più ragione d’essere; 4) aprire all’integrazione  sociosanitaria, cosa che la Lombardia ha fatto proprio con l’infermiere di famiglia e affidando il ruolo di direttore sociosanitario anche a questi professionisti; 5) responsabilizzare il personale sui risparmi e non sui tagli.

Gasparrini ha concluso che per il contratto saranno essenziali quattro presupposti spesso dimenticatoi o fraintesi: partecipazione, relazioni sindacali, comunicazione e confronto. Solo così, secondo il presidente Aran, sarà possibile rivedere ruoli e competenze, definendo il vero assetto della componente essenziale della sanità: le risorse umane.

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