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Editoriale

Diario di un Presidente di Collegio

di Redazione

NicolaDraoli

Lunga riflessione di Nicola Draoli, presidente dell'IPASVI di Grosseto, sul ruolo del rappresentante degli Infermieri in un piccolo territorio dell'entroterra toscano.

NicolaDraoliGROSSETO. Forse sarebbe bene specificare un piccolo Collegio. Nello specifico: Grosseto. Quasi 1700 iscritti. Ma cominciamo dall’inizio. Mi chiamo Nicola Draoli, classe 1977. Secondo mandato di presidenza. Nel 2012 ero il Presidente più giovane d’Italia e sono molto contento di non aver mantenuto il primato. Per anni infermiere turnista in UTIC sono da pochi mesi coordinatore dell’UF Cure Primarie di una zona della mia Provincia. Perché un diario? La Narrazione è uno strumento affascinante e, come sottolinea Bruner, è il primo dispositivo interpretativo e conoscitivo di cui l’uomo fa uso nella sua esperienza di vita.

Spesso leggendo i gruppi facebook professionali mi rendo conto della distanza abissale che separa molti colleghi da ciò che viene chiamato “ipasvi”. Ipasvi. Una sigla che letta così viene svuotata dal suo essere contenitore di persone. Si dice che il fulcro primo ed ultimo delle professioni sanitarie è che queste trovano la loro profonda espressione e compiutezza nell’essere incontro di persone. Ebbene questo fulcro è d’altronde presente in ogni nostro passo. Cosa altro governa la nostra vita se non plasmarci senza sosta attraverso l’incontro con l’altro? Anche ipasvi altro non è che una emanazione istituzionale di una microsocietà chiamata “infermieristica” che si guarda negli occhi e si sceglie vicendevolmente per immettere persone che si rapportano ad altre persone in questo contenitore turbolento e spesso criticato.

E questo potrebbe chiudere qui il discorso. Ma dal momento che quelle persone per lungo tempo sono “altri”, e a volte accade che gli “altri” diventiamo “noi”, eccomi qui a scrivere.

Come si diventa Presidente di Collegio? Come lo sono diventato io? Oh, non so rispondere molto bene.

Sono sempre stato molto entusiasta di approfondire le pieghe professionali nelle sue varie diramazioni.

Questo entusiasmo mi ha fatto avvicinare dapprima ad un sindacato. Esperienza faticosa per me. Non adatta alle mie inclinazioni ma che mi ha permesso di conoscere valevoli colleghi che sono diventati importanti amici. La mia realtà è piccola e probabilmente si fa notare velocemente un giovane infermiere che mette passione ed entusiasmo nel suo lavoro e così entro in una lista avversaria all’allora consiglio direttivo da molti anni in carica. Nessun giudizio. Chi cercherà aneddoti e retroscena su faide interne e rivoluzioni di sistema rimarrà deluso. Se ho sempre speso una parola sui cambiamenti è stata questa: “anche nelle buone intenzioni occupare una posizione per troppo tempo farà perdere prima o poi la volontà di mettersi in discussione e di rinnovarsi”. Questa è una mia grande paura. Identificare ipasvi con le persone certo, ma guai ad identificare ipasvi con le STESSE persone. La cosa che più mi spaventa è di diventare io stesso immobile, identico negli anni, e infine credere che la mia presidenza sia una posizione contrattuale. Sono pro tempore. Lo ripeto sempre agli altri ma in realtà lo ripeto sempre a me stesso. Sono al servizio della professione e sono pro tempore. Mica facile sapete? Perché i colleghi non hanno tutta questa voglia di occupare il mio posto. Cercare nuove leve da far subentrare è ancora più difficile… che vanno intanto conosciute, poi coinvolte, fatte appassionare, coltivate. Per cosa poi? Qui non ci sono gettoni di presenza, non ci sono permessi, non ci sono distacchi. Ogni volta che mi muovo è una feria. Ogni ora che spendo per il Collegio è un ora che sottraggo a qualcos’altro. Intendiamoci…è facile essere etici in un Collegio dove l’intero bilancio corrisponde ad uno stipendio annuale di un Direttore Generale. Anche se i sistemi collusivi e le logiche clientelari non hanno certo bisogno di usare solo il vil denaro come merce di scambio o come obiettivo, anzi. Comunque, ripeto, la gratuità al servizio della professione, per quanto sbagliata (non è che mi vergognerei di prendere qualche euro per il tempo che impiego con dedizione ed entusiasmo) di certo rende facile il farsi bello e puro. Un bello e puro del tutto ipocrita ma tant’è… c’è. Anzi, uno dei problemi principali nel fare il presidente è che dovrebbe essere fatto full time, cosa che spesso – come nel mio caso – è semplicemente irrealizzabile.

E quindi mi ritrovo in questa lista. Era il 2009, avevo 32 anni e non ricordo granché. Una serie di volantinaggi, assistere allo scrutinio, capire che ero fuori dai giochi e via. Nessun rimpianto che il giorno dopo dovevo entrare in turno mica pettinare bambole. Che poi neanche ci credevo io. Guardavo a questo edificio, molto bello, appena comprato. Guardavo a questi colleghi dentro il consiglio. Persone di stima, molte mi avevano insegnato. Persone che guardavo ai congressi, che ascoltavo con ammirazione. Le guardavo e, proprio come molti di voi ora, non capivo il percorso che le aveva portate lì. Non so…mi immaginavo banalmente che loro erano lì perché appartenenti ad un gota scientifico e professionale di cui io semplicemente non facevo parte. Sì certo avevo appena partecipato alle elezioni, certo che lo conoscevo il meccanismo per essere lì. Però continuava ad essere tutto così nebuloso. Per me il Collegio Ipasvi erano loro da molti anni. Perché mai avrebbe dovuto essere di qualcun altro? Sì avete letto bene, non ho detto composto da qualcun altro ma di qualcun altro. Ecco, questo stato d’animo, questo pensiero, lo devo sempre tenere bene a mente.

Mi lamentavo del vecchio Collegio? Certamente. Come certamente qualcuno si lamenterà della mia attuale presidenza. Ma, dicevo, questo senso di estraniamento dal Collegio – come un qualcosa che poi in fondo non mi appartenesse davvero – lo riporto spesso in ogni mia azione, o almeno ci provo. Mi domando spesso “perché avevo questa idea? Cosa la originava? Cosa posso fare io per non farla provare agli altri, quelli altri che ero IO al tempo?”

Mica facile eh. Oh certamente posso esibirmi in un pistolotto portentoso sulla partecipazione, sull’umiltà, sui modelli comunicativi, sulla trasparenza…ma credo che il problema sia ben più complesso e abbia tante variabili indipendenti e dipendenti. E quando alle elezioni non vedo candidarsi nessuno o venire poca gente (in realtà le mie ultime hanno visto una buona affluenza ma scioccamente continuo ad immaginarmi una fiumana di iscritti entusiasti a manifestare la propria volontà di voto anche molto discordante) torna questo pensiero. “Forse si pensa che il Collegio debba essere di quelle persone e di nessun’altro. Perché dovrei esserci io e non loro? D’altronde…chi me lo fa fare?”. Una neolaureata mi disse: “io non ho conosciuto altro presidente che te”. È stata una epifania. Già. Loro non hanno conosciuto l’anno 2012, quello delle liste contrapposte e del mio insediamento. Una tornata elettorale combattuta, fatta certamente di strategie politiche, di mosse e contromosse. Sì perché fu tre anni dopo che con più consapevolezza rientrai nuovamente in una lista avversaria. Non pensavo di dover fare il presidente. Sicuramente rappresentavo il volto nuovo e giovane della professione, che insieme al mio essere persona e professionista con ideali se vogliamo anche ingenui, mi hanno fatto scegliere. In verità due colleghi in particolare con molta esperienza hanno sempre creduto in me e mi hanno fortemente sostenuto anche a dispetto delle mie forti perplessità. Ricordo una telefonata in tarda notte proprio da uno di questi due colleghi, purtroppo scomparso, che mi dice “buonasera presidente”. Ricordo l’emozione ed il panico. Presidente io. E adesso? Oggi sono coordinatore e già sento di aver perso un tassello importante. Perché la carriera mal si confà nel mantenere un ruolo di disponibilità e vicinanza anche emotiva agli iscritti. Missione non impossibile sia chiaro, ma molto faticosa e certo improbabile anche eticamente quando il Presidente diventa magari un dirigente nella stessa Provincia. Ma forse anche in questo caso dipende dalla persona e non dal ruolo. Certamente dovrò essere pronto a cedere il passo e mi domando spesso se ne sarò capace e se lo farò nel modo giusto. I buoni insegnamenti sono come un virus potente che lentamente e inesorabilmente contagia chi lo incontra. E allora io dovrò essere uno di quei due colleghi che hanno creduto in me. E spero di individuare bene. Che la responsabilità più grossa mica è fare il presidente. È essere presidente ed investire nei giovani, anche solo nel buon esempio e nella contaminazione di valori e pensiero riformatore.

Essere presidente dicevo…. non è facile. I primi tre anni dal 2012 alle elezioni del 2014 sono stati di crescita lenta e faticosa. Ti accorgi che il lavoro burocratico e amministrativo è impressionante. C’è un ufficio che è un ente pubblico e che deve assolvere una quantità abnorme di mandati di cui è impossibile avere compiutezza di pensiero se non si vivono. Ma non voglio soffermarmi su questo. Ti accorgi in particolar modo che essere presidenti non ti conferisce nessun potere particolare. Non è che io dal giorno dopo mi ritrovassi, come in una storia di supereroi dove il protagonista acquista poteri incredibili dopo il morso di un ragno radioattivo, competenze diverse, conoscenze diverse, abilità diverse. Ricordo sorridendo adesso di un mandato istituzionale saltuario (e pagato) che da sempre spettava ai laureati magistrali e, per diritto, ai presidenti. Io mi rifiutai proprio perché non capivo come l’essere presidente potesse darmi pari competenze di una laurea magistrale che allora non avevo. Ricordo lo scompiglio.

Solo anni dopo ho capito che la presenza istituzionale e politica di un presidente non ha spesso niente a che fare con il titolo accademico ma sono contento della scelta ed è stata una scelta che reitero sempre più spesso. Se non ho le competenze su un argomento delego il più possibile o almeno ci provo, che anche questo non è esercizio facile. Arrivavano i primi incontri con le personalità che fino a pochi giorni prima avevo solo visto sul giornale…provavi a risolvere i primi problemi e ti accorgevi che non riuscivi ad impattare poi molto. Poi cresci, la tua rete di relazioni si infittisce, le tue competenze politiche professionali maturano. Sì perché al pari delle competenze cliniche e manageriali anche quelle politiche hanno una loro connotazione, che va maturata e sviluppata. In un certo senso il gioco è perverso: tu cresci, ti consolidi, diventi più bravo, ottieni qualcosa che reputi importante per la professione e questo ti mette sempre più a rischio di allontanarti dalla base. Il discorso di prima ricordate? Parli, esci sui giornali, incontri politici, e il giovane infermiere ti guarda e pensa solo che le persone che compongono Ipasvi siano chissà quali alieni di un universo tanto diverso dal loro. Certo le soluzioni ci sono.

Continuare ad essere ben ancorato ai problemi quotidiani, porsi con onestà, con vicinanza, con disponibilità. I social in questo “stare vicino” spesso aiutano anche se la forma ha una sua dignità ed una sua ragion d’essere indispensabile. Non ho mai perseguito la formalità dell’appuntamento e della richiesta scritta, ma alle volte è necessario oltre che eticamente e giurisprudenzialmente corretto. Però forse, mi illudo, il segreto sta qui. Cercare la via di mezzo tra la formalità e l’informalità. Tra le regole e l’elasticità. Le frustrazioni maggiori nel mio caso probabilmente stanno proprio quando ti accorgi che un leader non può prescindere dall’esercitare l’autorità in certi contesti. Ho imparato a farlo per ciò che la legge mi chiede. Ad esempio il pretendere il pagamento della quota. O l’esercitare il potere disciplinare.

Ho imparato a farlo quando non esistevano vie alternative. Ma certamente è un qualcosa che comporta fatica nel momento in cui, e questo non mi stancherò mai abbastanza di sottolinearlo, io sono gli iscritti e gli iscritti sono me. Non è che a me non arriva la quota. Non è che io non abbia problemi che mi fanno rimandare il pagamento al mese successivo. Non è che io non mi ritrovi in condizioni di dilemmi etici e deontologici. L’importante è tenerlo sempre bene a mente e creare un istituzione che trovi sempre la quadra tra il dovere ed il potere. E la quadra, sarà banale, è la partecipazione in questo ipasvi che è fatto di persone. Persone alle quali aggiungere persone. Persone che siano propositive, che propongano soluzioni, idee, miglioramenti. Persone che scelgono persone che li rappresentano per un periodo limitato di tempo. Persone. Ecco chiuderei così. Presidente e persone. Due parole che iniziano con la stessa lettera.

Nicola Draoli - Presidente Collegio IPASVI Grosseto

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