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I colori differenti della professione infermieristica

di Redazione

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Rosa Santi: "Ho imparato che ogni reparto ha una biodiversità e un equilibrio a sè stante nonostante le incomprensioni tra colleghi e tra gerarchie che comunque si riescono sempre a colmare con una meritata sigaretta alle 3 di notte in un momento in cui preghi assieme al tuo collega che nonostante tutto ti suonino il campanello per chiederti solo che ore sono."

TRENTO. In questi pochi anni ho avuto la possibilità di costruire una mia opinione sui diversi colori della nostra professione, a partire dal Trentino, dove ho lavorato dovendo lasciare casa, passando per una medicina che si finge umile portando avanti la nomea di reparto di base quando di base non ha nulla, transitando in chirurgia/ortopedia/neurochirurgia in attesa del tanto agognato posto nel pubblico.

In questi pochi anni ho avuto modo di specializzarmi in tanti campi pur non cadendo mai nell'iperspecializzazione.

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I colori dell'Infermieristica moderna.

Ho imparato tanto da sorrisi pieni di speranza quando di pieno non dovrebbe esserci neanche mezzo bicchiere.

Ho imparato che ogni reparto ha una biodiversità e un equilibrio a sè stante nonostante le incomprensioni tra colleghi e tra gerarchie che comunque si riescono sempre a colmare con una meritata sigaretta alle 3 di notte in un momento in cui preghi assieme al tuo collega che nonostante tutto ti suonino il campanello per chiederti solo che ore sono.

In questi giorni leggo articoli di colleghi a fine carriera che hanno bisogno di trovare lo spazio adatto alla loro esperienza per poter continuare a fare quello che fanno da anni ma che il fisico non riesce più a sopportare.

Penso a quanto in questi quattro anni mi sarebbe servito un mentore che mi consigliasse come esprimere nel miglior modo il tipo di infermiera che sto diventando, senza gli "abbiamo fatto sempre così" che mi avevano preparato a sentire più spesso di quanto è stato, ma con più storie di vita, di quarant'anni passati a ridere, stupirsi, o trovarsi a piangere sentendosi il parente stretto di ognuno, raccontate a voce e desiderose di riempire le pagine bianche di un libro.

La mia attuale esperienza prevede che io prenda in carico un modulo di quindici pazienti (che diventano spesso diciotto o venti), soddisfando i loro bisogni e i bisogni di chi decide del loro percorso sanitario.

Ho un raffronto a me vicino di una collega che lavora nello stesso modo a Londra, con la metà dei pazienti e un collegio pronto a coprire le esigenze dei "colleghi".

Rosa Santi
Infermiera Chirurgia Ortopedica

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