Una recente sentenza della Cassazione ha stabilito che allo scadere del termine di comporto, il lavoratore dipendente in malattia che ha l’obbligo di rientrare al lavoro, pena il licenziamento, può chiedere al datore di lavoro la concessione delle ferie affinché possa continuare ad astenersi dal lavoro.
La Suprema Corte afferma che non esiste alcuna incompatibilità tra ferie e malattia e quindi il lavoratore può sostituire alla malattia prolungata la fruizione delle ferie affinché possa così sospendere il decorso del periodo di comporto.
La richiesta di ferie, in tal caso, dovrà essere formalizzata così da creare delle prove e quindi non rischiare di essere licenziati per il superamento del periodo di comporto. Impedire al dipendente il diritto alla ferie per le sue condizioni psico-fisiche precarie sarebbe alquanto scorretto. Infatti il datore di lavoro attenendosi alla direttiva dell'armonizzazione delle esigenze aziendali con le esigenze del prestatore di lavoro deve prendere in seria considerazione la richiesta del lavoratore e il suo interesse a evitare la perdita del posto con la scadenza del periodo di comporto.
A parere della Corte non sarebbe costituzionalmente corretto precludere il diritto alle ferie in ragione delle condizioni psicofisiche inidonee. Come più volte affermato dalla Cassazione, la collocazione in ferie del lavoratore malato può ipotizzarsi solo qualora questi abbia presentato una specifica richiesta in tal senso, dalla quale traspaia il suo prevalente interesse a prevenire l'esaurimento del periodo di comporto.
Il lavoratore deve essere il primo a conoscere sempre le proprie assenze e deve essere in grado, anche con l'assistenza di un sindacato, a effettuare la somma dei giorni di assenza per malattia e di verificare se il periodo di conservazione del posto stia per scadere. Non si può richiedere al datore di lavoro l'obbligo di tenere per lui il conto del totale delle assenze e, magari, di rispondere a eventuali domande.
Lodevole appare quindi l'elasticità dimostrata dalla Suprema Corte nella lettura del principio dell'incompatibilità tra malattia ed effettivo godimento delle ferie. Un'applicazione troppo intransigente e rigorosa avrebbe portato all'illogica conclusione di gravare sul prestatore di lavoro con la perdita del posto di lavoro per supero del comporto nonostante l'impegno per evitarlo.
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