
ASI-Milano-Paola
Accademia Scienze Infermieristiche ha organizzato un seminario introduttivo per gettare le basi di una prossima attività di ricerca
Da poche ore si è concluso un evento tanto atteso quanto desiderato. Un seminario che getta le basi a una nuova sfida ed una stimolante ricerca scientifica. Abbiamo chiesto molto volentieri al un nostro amico Nicola Draoli, partecipante al convegno, una riflessione su quanto sentito e visto oltre che assimilato nella giornata milanese al fine di poter suscitare nei lettori un pò di sana riflessione.
Mercoledì 8 giugno si è svolto il seminario introduttivo alla nuova attività di ricerca ASI (Accademia Scienze Infermieristiche) dal titolo: "il bisogno di salute nella società che cambia, riflessioni e prospettive". Sapendo che ero presente Nurse24 mi chiede un contributo sulla giornata. Non rientra nel mio ruolo fare una sintesi dei contenuti, né ho le competenze per un pezzo dal taglio giornalistico ma volentieri riporto la mia interpretazione della giornata come uditore contaminata della mia soggettiva sensibilità.
Volentieri, scrivevo, perché reputo che l'appuntamento di ASI sia stato un momento importante.

IL BISOGNO DI SALUTE NELLA SOCIETÃ CHE CAMBIA: RIFLESSIONI E PROSPETTIVE
Continuo a pensare alle ore appena trascorse e se le devo inserire in un solo contenitore questo ha un etichetta che lo cataloga come “è qui racchiuso il profondo impatto che possono avere le parole” anche se - e questo è l'aspetto più importante – ASI inizierà un nuovo progetto di ricerca qualitativa, illustrato a fine giornata, che darà quindi seguito fattivo, scientificamente supportabile e divulgabile, al senso delle tante parole spese.
Lo scrittore Carlo Maria Franzero disse: “Chi saprà mai veramente quanto più che ogni gesto possa turbar nel profondo una sola parola?”. Il turbare è qui da me inteso come scuotere gli animi, scrollare le coscienze, uscire dalla poltrona comoda di ciò che siamo soliti definire quando parliamo di infermieri e del tessuto socio sanitario ed antropologico nel quale siamo immersi con il nostro incidere ed incedere quotidiano. E poiché ho esordito con l'aggettivo “importante” vorrei qui definirlo come “Possibilità o capacità di influire sull'equilibrio o sulle attività delle persone e degli ambienti.”
Di cosa si è parlato nel seminario dell'ASI? Sostanzialmente di ciò che può essere interpretato come salute e come malattia. L'argomento è quantomai attuale tanto che il titolo del seminario può definirsi tutto meno che originale, siamo anzi circondati da convegni e congressi che si pongono nel titolo questa domanda. È l'approccio che nella sua semplicità è stato dirompente. Poiché sono i punti di vista a far suscitare le più profonde disamine. Disamine che mettono in crisi noi stessi e le nostre sicurezze.
Non c'è stata paura di portare all'attenzione tutte le fragilità del nostro essere infermieri e del sistema nel quale operiamo. Fragilità riscontrabili in definitiva nel nostro (non) essere autentici interpreti dei bisogni di salute poiché, forse, nessuno ancora li ha ben interpretati o, ancora forse, semplicemente non possono essere interpretabili.
Tutto, a partire dall'intervento della Presidente Collegi IPASVI Barbara Mangiacavalli, ha messo in discussione la focalizzazione che invece siamo soliti portare quando parliamo di noi stessi. Mi spiego meglio. Esiste una focalizzazione così detta zero che si realizza ogni qual volta i fatti vengono descritti da una persona onnisciente, cioè da colui che conosce tutti i fatti e li giudica. Questa focalizzazione è secondo me tipica di tutti gli operatori sanitari che hanno una identità precisa di loro stessi, pur se diversa ma comunque tendente all'assolutismo, e che sono convinti di ben conoscere ed interpretare l'humus nel quale lavorano.
Noi siamo infermieri, siamo colonna portante del sistema, siamo responsabili dell'assistenza infermieristica, sappiamo quello che vogliamo per il nostro sviluppo e per lo sviluppo del servizio sanitario, prendiamo in cura l'altro, riconosciamo i bisogni di salute. Ma l'approccio di ASI è stato di centrarsi su una focalizzazione interna , effettuata dall'interno dell'ambiente rappresentato, filtrata dalla voce di un singolo personaggio che porta la sua singola verità e come tale diversa da ogni altro ma non per questo falsa.
Ecco quindi che le tante domande emerse nella giornata possono ricondursi a “ma noi sappiamo chi siamo? Come valutiamo i nostri utenti? In quale ambiente ci muoviamo? Siamo riconosciuti? Siamo riconoscibili? Rispondiamo ai bisogni reali delle persone o rispondiamo a ciò che il sistema e il nostro essere strutturato hanno individuato come bisogno?”
La prima parte ha portato incertezze, dubbi e domande partendo da sguardi antropologici, epidemiologici, normativi, professionali, politici e persino simbolici con una relazione strepitosa e suggestiva che è per me impossibile riportare ma che voglio riassumere immodestamente così: “noi non portiamo luce per spazzare via il buio, ma per vedere meglio il buio nel quale lavoriamo, il buio come profonda e scomoda intimità della persona assistita perché è nelle tenebre che l'uomo deve trovare la strada per vedere oltre”.
La seconda parte dedicata alla narrazione, anche in forma teatrale grazie agli interventi del teatro studio officina, di chi lavora nel quotidiano (la collega Laura Binello) e di chi vive come utente e si è sentito malato o sano per motivi del tutto disancorati da ciò che la sanità etichetta come malato o sano (Il libero pensatore Claudio Diaz). Nessun tentativo di indirizzare i racconti, le relazioni e le esperienze per dare valore all'infermiere quanto piuttosto di descrivere la realtà soggettiva. Ma torniamo ad elementi più pragmatici. Cosa è emerso da questo incontro seminariale quindi?
Secondo me la crisi dell'infermiere. La crisi di un difficile riconoscimento della nostra specifica disciplinare soprattutto a noi stessi. L'eccessiva identificazione con il corpus fisiopatologico tipico della scienza medica che ci porta ad approfondire la ricerca estensive (appropriarsi di competenze altrui spesso in mero senso tecnico prestazionale) abbandonando la ricerca espansiva (valorizzare competenze specifiche più centrate alla relazione e alla presa in cura).

Cosa è emerso da questo incontro seminariale?
La crisi del modello formativo che ancora ci vede deboli quantitativamente e qualitativamente, troppo vicini o ad eccessive rigidità “teoriche” che mal si coniugano con la realtà o a modelli bio medici che non ci appartengono. La crisi dei luoghi di cura ospedalieri a cui noi per primi siamo troppo legati e in cui ritroviamo eccessivo conforto ed identità. La crisi della tecnologia che da strumento è diventato fine. La crisi delle riorganizzazioni tutte (manageriali e cliniche) poiché non precedute da un pensiero. La crisi del vivere in un tessuto dove sano e malato sono dicotomie non più applicabili, dove ancora vige l'etichetta diagnostica e dove le personale valutazione della propria salute non trova accoglimento, ascolto e indirizzo nel sistema. La crisi della salute che da individuale deve diventare collettiva e poi tornare individuale in termini ben più ampi del nostro microcosmo cittadino, regionale o nazionale. La crisi di un sistema pubblico che è sempre meno pubblico e sempre più determinato da logiche economiche. La crisi di un utenza che non ci riconosce come elemento determinante perché, forse, in certi contesti e situazioni semplicemente determinanti non siamo.
Ma attenzione perché queste crisi erano permeate da un senso di estrema positività. Sono le crisi da cui si capisce che abbiamo un immenso campo inesplorato dove poterci esprimere e crescere e che aspetta noi e nessun'altro. Un campo dove il luogo di cura non è solo territorio, non è solo la casa delle persone ma sono le persone stesse.
Sono le crisi da cui viene voglia di emergere con la consapevolezza e l'onestà intellettuale di riconoscere i propri limiti e le contraddizioni del mondo in cui professionalmente siamo immersi. La crisi che è liberatoria perché ci fa dire che prima di poter cambiare il sistema salute bisogna conoscerlo bene questo sistema attraverso la conoscenza, prima ancora di tutto, di noi stessi. Il risultato di questa positività nata dalla crisi la si è vista dagli entusiasti auditori che hanno dato la loro disponibilità a partecipare al progetto di ricerca.
Pensiero ed azione. Riflessione ed indagine.
Non posso quindi che esprimere tutta la mia ammirazione al gruppo dell'Accademia Scienze Infermieristiche perché sono convinto, e non certo da ora, che i loro percorsi di ricerca producano risultati per molti versi scomodi, come scomoda è la messa in discussione di ciò che ci raccontiamo essere assodato con zelo troppo autoreferenziale, ma necessari ora più che mai a fornire un punto zero di consapevolezza da cui far partire l'evoluzione che aspettiamo da anni.
Nicola Draoli
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