Intervento di Marco Tapinassi su Nurse24.it in risposta as un nostro servizio sui professionisti della salute che si occupano dei pazienti con demenza progressiva.
Gentile Direttore,
mi chiamo Marco Tapinassi, infermiere di Firenze (dove sono referente delle neuroscienze per la commissione consulta giovani del collegio ipasvi) e fondatore del progetto Alzheimer in prima linea (pagina social e blog).
Con questo intervento desidero rispondere all'articolo pubblicato nei giorni scorsi da Nurse24.it nel quale si affronta nello specifico alcuni aspetti dell'assistenza a persona con Alzheimer.
Occupandomi da alcuni anni di questo tipo di assistenza e avendo interpretato una pluralità di ruoli di rara completezza (caregiver familiare, caregiver professionale domiciliare e infermiere in struttura sanitaria dedicata) sento di voler intervenire su alcuni semplici spunti ottenuti da un'imprecisione di fondo dalla quale però nascono molte problematiche assistenziali per quei colleghi che per motivi di carriera e di vita non si sono mai confrontati costruttivamente con questa peculiare e impegnativa situazione lavorativa.
Nel testo dell'articolo si legge "Stando a contatto con l’Alzheimer per la maggior parte delle ore di una giornata, ci si rende conto dell’annullamento che queste persone hanno subito, tutto ciò che erano è stato distrutto, e rimane solo nei ricordi di chi li ha vissuti e amati.".
Certamente il processo empatico che ha portato la collega a elaborare questa affermazione è apprezzabile, a mio avviso un pò meno l'affermazione. Il passaggio nel quale si cita "tutto ciò che erano è stato distrutto" nasconde infatti un sottilissimo ragionamento derivante che spesso si potenzia nell'inconscio fino a inficiare assolutamente il proprio atteggiamento e la propria esposizione umana e professionale verso la persona con Alzheimer.
Entrando nel dettaglio, è osservabile in molto colleghi e caregivers familiari come il pensiero che queste persone rappresentino profili diversi da quelli che erano prima della diagnosi di Alzheimer rende indirettamente e inevitabilmente essi privi degli stessi principi con i quali assisterebbero la persona con altre patologie.
Frasi infelici quali "Gli Alzheimer non comprendono niente" (e soltanto appellare la persona per la propria patologia fa gelare il sangue ed è tristemente tipico nelle demenze) oppure "Tanto ha l'Alzheimer" sono espressioni fortemente in contrasto con un'assistenza dedicata e aderente alle fisionomie cliniche, psicologiche e storico-ambientali della persona con Alzheimer.
Senza parlare delle "soluzioni" (casualmente sempre e solo veloci, sbrigative e sedanti) che a volte vengono prese da colleghi evidentemente inesperti in materia, battaglia che parallelamente viene affrontata da molti colleghi dell'aera psichiatrica.
La capacità, seppur limitata secondo stadi e comorbilità, di risveglio emotivo tramite elementi personali del malato è solo uno degli esempi pratici con i quali saggiamo chiaramente che la persona non è assolutamente "distrutta", come allo stesso modo l'individuazione seppur rara delle motivazioni storico-ambientali alla base di alcuni BPSD.
Ultima riflessione, ma non per importanza, riguarda la dignità della persona con Alzheimer, la quale ha costruito una vita, con responsabilità e fatiche annesse e non merita di essere considerato soltanto un "Alzheimer" ma Mario, Carlo, Anna etc.
Persone con una demenza degenerativa primaria, ma pur sempre persone. Verso questo aspetto, il pericolo rappresentato dal considerarle persone distrutte e finite penso non sia nemmeno da argomentare da quanto esso sia evidente e grave.
Mi scuso per la lunghezza dell'intervento ma trovo che sia trascurando il sotto inteso che nascono le convinzioni negative più difficili da estirpare.
Grazie per l'attenzione
Marco Tapinassi
Infermiere
fondatore progetto Alzheimer in prima linea
* * *
Carissimo Marco,
ben benga il confronto sereno e costruttivo. Grazie per i tuoi consigli e per averci illustrato il tuo pensiero. Continua a seguirci.
Angelo Riky Del Vecchio -Direttore Nurse24.it
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