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Testimonianze

12 domande scottanti al presidente degli Infermieri Italiani

di Angelo

B. Mangiacavalli

Ecco le risposte Barbara Mangiacavalli, che ci permettono di scendere negli abissi più profondi della nostra professione.

La professione Infermieristica è in piena evoluzione. Con l’approvazione del Ddl Lorenzin saranno più chiare le competenze, i ruoli e le responsabilità dell’Infermiere. Abbiamo cercato di entrare nel cuore della professione intervistando la presidente della Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI , Barbara Mangiacavalli . Le abbiamo posto 12 domande insidiose , a cui l’interessata ha risposto in maniera puntuale. Scopriamo assieme cosa ci ha detto.

Barbara Mangiacavalli

Barbara Mangiacavalli. Presidente Federazione IPASVI

Si è parlato un po’ di tutto con la presidente Mangiacavalli : dall’approvazione degli Ordini delle Professioni Sanitarie alla riforma delle modalità concorsuali, dal rapporto con gli Operatori Socio Sanitari allo sfruttamento della Libera Professione Infermieristica , dalle nuove competenze e responsabilità dell’Infermiere nell’Emergenza/Urgenza alla formazione delle badanti e dei care-giver , non trascurando i fatti di cronaca degli ultimi mesi, la riforma dei percorsi universitari e della formazione, della responsabilità professionale , della presenza degli Infermieri nei talk-show televisivi nazionali e dell’istituzione presso il Ministero della Salute del Tavolo Tecnico per la Professione Infermieristica .

L’approvazione del Ddl Lorenzin porterà alla formazione degli Ordini delle Professioni Sanitarie. Cosa cambierà da quel momento per noi Infermieri?

Come ho già avuto modo di affermare, la trasformazione degli attuali Collegi e delle relative Federazioni in Ordini è un passo fondamentale non solo per una migliore e più corretta gestione dei professionisti dedicati all’assistenza sanitaria, ma per la tutela stessa della professione. Questo perché il riconoscimento ormai acquisito e universalmente affermato della nostra professione non può prescindere da quello di un’organizzazione esattamente analoga a quella delle altre professioni intellettuali. L’elemento forte della presenza degli Ordini è la tutela dell’assistito che si ottiene vigilando affinché l’iscritto abbia titolo al contatto diretto con lui, anche in caso con l’esercizio della magistratura interna. Quindi il controllo sui comportamenti deontologici e professionali: si lavora per una sorta di accreditamento periodico anche in termini di competenza dei professionisti. Non basta essere iscritto all’Ordine se poi l’iscrizione diventa un mero titolo di cui fregiarsi senza rivedere preparazione, formazione e competenza. Con gli Ordini va introdotto un percorso di accreditamento periodico professionale e continuativo che gli stessi Ordini possono a pieno titolo verificare. Quindi per gli infermieri direi che è un riconoscimento della loro professionalità, una maggiore tutela dal punto di vista delle responsabilità, ma anche un aumento necessario del loro livello di attenzione generale all’assistenza.

Da alcuni mesi la Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi sta lavorando alla revisione del Codice Deontologico degli Infermieri . È stato realizzato solo nel 2009, ma è già così vecchio?

I codici deontologici – e non certo solo quello degli infermieri – andrebbero aggiornati con una periodicità costante e di medio periodo. Dal 2009 a oggi ci sono state un insieme di leggi, regolamenti, accordi Stato-Regioni che hanno cambiato il panorama assistenziale. In quasi sette anni il progresso scientifico e tecnologico è andato avanti a passi da gigante e se la professione adegua le sue tecniche, il Codice deve adeguare tutto ciò che queste comportano, Abbiamo in più un aumento del coinvolgimento e della responsabilità dell’infermiere che richiede una indicazione più puntuale e precisa delle regole di esercizio della professione. E anche l’evoluzione - in senso negativo purtroppo vista l’occupazione e l’assenza di nuovi contratti - del mondo del lavoro richiede una puntualizzazione deontologica che non sia solo un’indicazione delle responsabilità dell’infermiere nell’assistenza e verso i cittadini, ma si allarghi anche alle responsabilità che questo ha verso i suoi colleghi, le altre professioni e perfino verso se stesso. Più onori significano anche maggiori oneri e questo vuol dire che deve esserci una guida più puntuale e aggiornata per non sbagliare mai dal punto di vista etico e professionale un esercizio professionale che ogni giorno diventa e diventerà sempre più autonomo e ricco di responsabilità. Il Codice non è “vecchio”, perché anche le regole attuali sono comunque valide ed essenziali per la professione, ma deve essere sempre attuale e non deve mai restare indietro perché rappresenta la prima indicazione su cosa è e cosa fa la nostra professionalità.

Parliamo da tempo di nuove competenze per gli Infermieri. Lei crede che la nostra professione sia pronta per il salto di qualità tanto desiderato?

Credo sia necessario ribadire che le competenze avanzate sono un tassello ineludibile di quella crescita professionale di cui abbiamo finora accennato. Andrebbero meglio comprese, perché il fatto di essere per aree di attività e non per singola materia ad esempio le differenzia dalle specializzazioni a cui siamo abituati e le pone su un livello più alto dell’assistenza e della responsabilità che da questa consegue. Un salto di qualità, è vero. Ma che non è nel vuoto: moltissime Regioni, soprattutto del Centro Nord, già applicano nei fatti le competenze avanzate e gli infermieri gli fanno più che onore. Anche nel Sud si sta facendo avanti il cambiamento, ad esempio con le prime sperimentazioni dell’infermiere di famiglia che fa parte di quell’area del territorio prevista nell’accordo Stato-Regioni che ci auguriamo vada presto in porto. L’infermiere non solo è pronto, ma ha già fatto il salto di qualità. Ora questo va codificato e reso uniforme in tutto il Paese, anche perché possa poi essere riconosciuto contrattualmente. E perché gli infermieri ne siano del tutto consapevoli.

Da quello che leggiamo e scriviamo tutti i giorni sembra che i Corsi di Laurea in Infermieristica oggi presenti in Italia sembrano viaggiare ognuno in maniera assestante, lungo un percorso differente e distante dalla realtà professionale. Crede che sia arrivato il momento di una seria riforma?

È un discorso che non riguarda solo la professione infermieristica , ma tutte le attività sanitarie. I percorsi universitari , è vero, sono rimasti indietro rispetto a tutto ciò che abbiamo descritto finora, ma la riforma è necessariamente dietro l’angolo. Le stesse competenze avanzate di cui abbiamo detto poco fa la rendono necessaria, perché hanno bisogno di un serio adeguamento dei corsi che dovranno “formare” ai vari livelli previsti gli infermieri. È un discorso che la Federazione IPASVI ha già messo in campo con precise richieste al Miur . E che con il protocollo Ipasvi-Agenas va anche al di là: l’infermiere diventa protagonista del cambiamento di cui è parte. E Agenas coinvolgerà gli infermieri con l’obiettivo di capire come si può migliorare il lavoro. Nel futuro vincerà non il singolo, ma il team che riuscirà meglio a difendere l’integrità e il valore della persona umana: quello che gli infermieri sanno fare meglio quindi. Per quanto ci riguarda non siamo rimasti con le mani in mano e come Federazione abbiamo ipotizzato ad esempio – e proposto, ma ancora senza risposte – al Miur di prevedere l’inserimento del metodo Tuning nella formazione di base per cui un corso di studi deve
essere orientato sullo studente ovvero sul risultato (output) e non sul docente. Un cambio di rotta molto forte e sicuramente al passo coi tempi. Altro ulteriore discorso riguarda la necessità di “ripensare” i contenuti formativi in funzione dei nuovi bisogni di salute dei nostri cittadini.

La Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI e lei personalmente da qualche tempo si sta affacciando al mondo dei mass-media e dei social-media. Al fine di informare/formare sempre e più il cittadino sul ruolo dell’Infermiere non crede sia opportuno pianificare un piano nazionale di rilancio della professione partendo proprio da una presenza più costante e massiccia su giornali, tv, radio e web?

Dovremmo distinguere la presenza sui media per necessità purtroppo contingenti a fatti di cronaca che in realtà, spesso, non avrebbero nemmeno dovuto coinvolgerci, con una necessaria e auspicabile presenza per far capire alle persone chi è e cosa fa l’infermiere oggi. Non è facile avere gli spazi necessari a questo scopo sui media e lo sanno non solo gli infermieri, ma anche molte altre professioni sanitarie che per ritagliarsi qualche riga o qualche secondo in radio o TV arrivano ad atti plateali come gli scioperi o le manifestazioni di piazza, che peraltro si sono sempre dimostrate inutili ai veri scopi delle professioni e spesso si sono rivelati perfino un boomerang dal punto di vista dell’immagine tra i cittadini. La presenza più costante e massiccia sarebbe ideale, è vero. E la Federazione non la sta trascurando. Ma si tratta di un lavoro da veri e propri certosini perché oltre a dover aprire le porte di mass media abituati a parlare più che altro sulla scia della cronaca e della notizia, deve cercare di far comprendere l’importanza che avrebbe rassicurare i cittadini parlando di ciò su cui possono contare davvero per la loro salute. Come gli infermieri, appunto. Diciamo che siamo in una fase di “lavori in corso” avanzati, lavori di cui vogliamo vedere in fretta i risultati.

Di recente il presidente dell’IPASVI di Grosseto, Nicola Draoli, ha lanciato una provocazione: “relativamente alla polemica sugli intramuscolo affidati alle badanti: è mai possibile che la formazione universitaria si debba ridurre ad un mero percorso di apprendimento prestazione?”. Cosa ne pensa?

Condivido molto lo spirito della riflessione del presidente Nicola Draoli ; ho già avuto modo di dire, anche in altre occasioni, che i bisogni di salute e di assistenza oggi ci chiedono, ci invitano, ci propongono di raccogliere la sfida professionale di lavorare sui processi e sui percorsi. I nostri cittadini hanno bisogno di presa in carico e di continuità assistenziale: la prestazione è un “di cui” del processo. Decontestualizzata e presa da sola non rende l’idea della peculiare e complessa attività infermieristica; si rischia di individuare l’identità professionale in una iniezione intramuscolo e nel frattempo qualcuno ci ha sfilato il processo assistenziale. Il vero problema è che gli infermieri, che a ragione difendono la propria professionalità da invasioni di campo a gamba tesa, spesso non hanno la dimensione dell’immagine che creano intorno a se con particolari come questo: la professione infermieristica è ben di più e va molto, molto oltre una prestazione come l’ intramuscolo . Se ci si ferma a sottolineare con forza situazioni di questo genere, si riduce non solo l’idea di formazione, ma anche l’immagine che si ha dell’infermiere a qualcosa che non è e che non deve essere.

In Italia ci sono circa 70.000 iscritti alla cassa previdenziale ENPAPI e poco meno della metà di Infermieri realmente Liberi Professionisti, molti dei quali costretti ad aprire la P.IVA pur di lavorare e con corrispettivi economici da fame. Non crede che sia arrivato il momento che anche fa FNC IPASVI segnali agli organi istituzionali appositamente deputati i casi noti di palese sfruttamento?

In realtà dovrebbero essere semmai i singoli Collegi a cui il soggetto coinvolto è iscritto a segnalare all’autorità competente casi di questo tipo, non la Federazione. I casi di sfruttamento sul lavoro sono una fattispecie di reato che va portata dinnanzi al giudice del lavoro, appunto, a livello
locale. Il suo iter in realtà non richiederebbe un coinvolgimento diretto degli enti che tutelano la professione, anche se questi possono sicuramente farsene in parte carico. Anzi, a dire la verità dovrebbe essere lo “sfruttato”, l’ Infermiere Libero Professionista , il primo soggetto attivo nell’evitare che questa situazione si ripeta senza accettare che lo “ sfruttamento ” raggiunga limiti intollerabili e se ne abbia notizia solo quando è andato oltre ogni possibile livello di compatibilità con la professione. La Federazione da parte sua sta cercando di fare di tutto perché le regole fiscali vere (non quelle forzate fino allo sfruttamento) siano modificate e adeguate alla situazione professionale. È di pochi mesi fa, ad esempio la revisione che presto sarà operativa degli studi di settore, il controllo fiscale cioè che coinvolge proprio i liberi professionisti e che spesso finora ha recato anche danni a questi. Grazie all’intervento della Federazione Ipasvi presso l’ Agenzia delle Entrate , per quello che riguarda gli infermieri libero-professionisti la Commissione degli esperti degli studi di settore ha approvato all’unanimità sia la richiesta di un’evoluzione anticipata (revisione) al 2017 sia la richiesta di inserire nella circolare accompagnatoria all’applicazione degli studi di settore per il 2015 l’“attenzione” alla posizione delle situazioni a rischio di malfunzionamento, tra cui soprattutto quella degli infermieri “monocliente”, quelli cioè che pur essendo liberi professionisti hanno di fatto un solo contratto di lavoro autonomo con un ospedale, casa di cura, istituto carcerario o altro. Inoltre la FNC IPASVI ha attivato, con ENPAPI , la Commissione Paritetica proprio per ipotizzare, dall’analisi della realtà, iniziative di sostegno, sviluppo e tutela dell’esercizio libero professionale

Anche nel campo dell’Emergenza/Urgenze le cose dal punto di vista economico-occupazionale non vanno benissimo e le recenti inchieste di note emittenti televisive lo dimostrano (finte Onlus e finte Cooperative). Cosa può fare in questi casi la Federazione?

Qui siamo a un altro livello, simile al precedente, ma più vicino al penale. Si tratta infatti di truffe vere e proprie di cui lo sfruttamento dei professionisti è una componente. In questo caso è la magistratura dover provvedere e la Federazione non può, ovviamente, fare nulla prima che questa abbia seguito il suo corso. Anche qui come per il punto precedente, a poter intervenire semmai posso essere i singoli Collegi , costituendosi in caso parte civile in un successivo procedimento. E anche qui la denuncia dovrebbe arrivare dai diretti interessati come prima cosa, ma può essere anche anonima oppure sottoscritta da chi la presenta. L'istanza può essere inoltrata direttamente all'Inps sezione ispettorato del lavoro, oppure ai sindacati (non alla Federazione), questi ultimi semplicemente contattandoli telefonicamente perché inviino controlli sul posto. La Questura , i Carabinieri e soprattutto la Guardia di Finanza sono invece gli organi competenti che possono essere informati, per inoltrare la denuncia formale comprensiva dei dati anagrafici di chi la sporge. Cosa vuol dire questo? Che le situazioni che lei descrive non dovrebbero perpetrarsi nel tempo, ma dovrebbero essere interrotte sul nascere così come qualsiasi altro reato. Il fatto è che, spesso, a favore di chi lo compie gioca la necessità di lavoro che ormai ha raggiunto livelli di vero allarme. Ma non è una giustificazione: i reati vanno denunciati, fermati e perché non si ripetano le denunce dovrebbero essere immediate e secondo i canoni della legge, non arrivare da inchieste Tv o scoop dei media.

Al recente incontro interregionale di Arenzano del Comitato Infermieri Dirigenti, a cui Lei ha preso parte, il presidente Nicola Barbato ha parlato della necessità di rivedere i Concorsi Pubblici per Infermieri e di pensare a nuove modalità di assunzione così come avviene per i medici. Qual è la posizione della Federazione IPASVI in tal senso?

La Federazione non è sopra le leggi. Le norme concorsuali che regolano i concorsi pubblici del comparto sono contenute nel Dpr 220/2001 , un regolamento ministeriale che era già superato e complesso quando fu adottato quindici anni fa. Il difetto peggiore era ed è quello di
costituire in pratica un “copia e incolla” della normativa che tradizionalmente ha caratterizzato i concorsi in sanità: dal Dpr 130/1969 passando per il Dm 30 gennaio 1982 lo schema della procedura è sostanzialmente sempre lo stesso, senza che in questi quasi cinquanta anni si sia stati capaci di trovare uno strumento più adeguato e funzionale al reclutamento di professionisti sanitari per sistemi organizzativi complessi. Il nocciolo del problema è il concetto di concorso fondato su tre prove che non regge più rispetto alle congiunture odierne. Ad esempio per gli infermieri, che si laureano presso le facoltà di medicina e i corsi di laurea sono “appoggiati” alle aziende sanitarie per gli aspetti del tirocinio, si dovrebbe poter ritenere che un neo laureato sia stato già valutato nei tre anni del corso e, in particolare, proprio dai docenti con cui potrebbe trovarsi ad operare una volta assunto. La selezione al momento dell’iscrizione al corso di laurea e quella ulteriore al momento della firma del contratto dovrebbero essere sufficienti per il rispetto del principio sancito nell’articolo 97 della Costituzione che stabilisce che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge. E comunque, appunto, la Federazione può dare le idee, ma ci vuole una legge per superare l’impasse. Gli strumenti in realtà già ci sarebbero. Ad esempio il Ddl sull’articolo 22 del Patto per la Salute , dove si parla esplicitamente di «... procedere a innovare l’accesso alle professioni sanitarie», ma anche i decreti delegati della Legge 124/2015 che all’articolo 17 dedica ben sette punti di delega alla materia del reclutamento.

Gli Operatori Socio Sanitari (Oss) chiedono più spazi, più autonomia e più competenze e lamentano la scarsa conoscenza del loro profilo e del loro ruolo assistenziale da parte degli Infermieri. Non crede che il nostro personale di supporto, se ben valorizzato, possa aiutarci a risolvere alcuni dei problemi atavici della nostra professione?

Bisogna rendersi conto, pur senza alcuna critica al lavoro importante che gli Oss svolgono per i pazienti, che si sta parlando di due mondi correlati, ma diversi: gli infermieri sono ruolo sanitario , gli Oss ruolo tecnico . È vero che la responsabilità del loro operato è sotto il controllo dell’infermiere, ma con precisi limiti che anche la giurisprudenza ha codificato e riconosciuto e che non aprono molti spazi ad autonomie o competenze. Mi viene in mente ad esempio la sentenza n. 28480/2012 della Cassazione. Secondo i giudici la normativa vigente ha completamente innovato la disciplina della professione infermieristica, definendo gli specifici requisiti necessari per il suo esercizio non abusivo. Le mansioni assistenziali già attribuite dalla precedente disciplina all’infermiere generico e ora all’Oss consento a questo solo di aiutare l’infermiere, e i suoi compiti in autonomia devono essere limitati all’assistenza indiretta. Sono previsioni che escludono la possibilità che l’Oss possa svolgere funzioni infermieristiche senza la supervisione in turno dell’infermiere, pena la sussistenza del reato di esercizio abusivo della professione. Respingo invece l’accusa di scarsa conoscenza da parte degli infermieri del lavoro che comunque svolge l’Oss. Sappiamo tutti benissimo cosa fa e quanto sia importante il suo lavoro. Lo sappiamo noi infermieri e dovrebbero comprenderlo bene anche le aziende sanitarie per evitare, come lei sottintende nella sua domanda, che ai nostri professionisti vengano affidate mansioni improprie, caratteristiche invece dell’attività degli Oss. Qui tuttavia si dovrebbe aprire un discorso ben più ampio sulle peculiarità dell’assistenza e di ciò che questa comporta perché non si strumentalizzino atti che in realtà per la loro difficoltà possono rientrare a pieno titolo nella nostra attività assistenziale e non devono essere lasciati a nessun altro. Ma questo è un altro capitolo.

Alcuni Tribunali italiani si sono accorti da poco che esiste anche una Responsabilità Professionale dell’Infermiere . Ma lei è convinta che i nostri colleghi siano realmente consapevoli dei rischi che corrono tutti i giorni nel disapplicare, anche senza volerlo, le norme a tutela del cittadino e degli stessi professionisti della salute?

No, non ne sono affatto convinta. E questo è decisamente un male perché sarebbe bene invece – e proprio le sentenze a cui lei fa riferimento lo dimostrano – che gli infermieri avessero piena coscienza della loro professione e non credessero di essere responsabili senza responsabilità di un’assistenza di cui sono diventanti tra i principali protagonisti. In questo senso, tornando al Ddl sugli Ordini, è di importanza fondamentale ad esempio anche un’altra previsione contenuta nel testo all’esame della Camera. Mi riferisco alla previsione di inserire tra le circostanze aggravanti comuni l’avere, nei delitti non colposi, commesso il fatto in danno di persone ricoverate presso strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie residenziali o semiresidenziali: piena responsabilità quindi, senza “deleghe”. Ma al di là di questo aspetto che evidenzia con forza il nostro ruolo nell’assistenza, c’è il fatto che sono comunque gli infermieri a dover vegliare sul percorso di cura dell’assistito e di questo devono farsene carico e capire bene che ne hanno piena responsabilità, anche, se necessario, mettendo in evidenza fatti e/o errori che possono comprometterlo compiuti da altri. A quanto, pare da ciò che accade nei Tribunali, invece, molti sono ancora convinti di essere meri esecutori, svilendo oltre la professione anche la propria capacità e la propria dignità professionale.

Per finire. Si è recentemente insediato presso il Ministero della Salute il Tavolo Tecnico per la Professione Infermieristica. Qual è lo scopo di tale iniziativa?

Il suo scopo per noi, come ha sottolineato al momento dell’insediamento la vicepresidente Ipasvi Maria Adele Schirru , è soprattutto scientifico e per questo il documento finale che ne scaturirà dovrà avere come punto di riferimento la necessità di mettere sempre al centro i bisogni del cittadino, decidendo in modo chiaro e trasparente tempi e argomenti da affrontare e lavorando parallelamente, ma mai in modo sovrapposto alla politica. Non c’è una professione più importante di altre e per questo l’obiettivo è dare al cittadino il miglior servizio possibile in un quadro, come quello attuale, di bisogni mutati per epidemiologia, demografia e organizzazione dei servizi. D’altra parte, come abbiamo già accennato, molte nuove competenze degli infermieri sono già realtà in alcune Regioni e per questo è necessario lavorare per riconoscerle in modo formale su tutto il territorio nazionale, evitando che diventino bersaglio di prese di posizione formali e non sostanziali. Non per nulla l’obiettivo del Tavolo evidenziato dal sottosegretario De Filippo al momento dell’insediamento è quello di dare alla professione infermieristica un ruolo da protagonista molto più impegnativo, effetto anche della sua evoluzione ordinamentale e formativa: dall’ospedale per intensità di cure, agli ospedali di comunità e ai reparti a gestione infermieristica per cure a bassa intensità, al nuovo assetto delle cure primarie sul territorio ad iniziare dall’ infermiere di famiglia , all’implementazione delle competenze avanzate e specialistiche degli infermieri ad iniziare dai Dipartimenti di emergenza e al sistema del 118, ma non solo. Sono le nuove funzioni e i nuovi ruoli per gli infermieri di cui parlavamo prima, che divengono “ufficialmente” strategici per migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie erogate dal Ssn.

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