FELTRE. Che l’Italia non sia la patria della meritocrazia è noto a tutti, così come il fatto che per trovare lavoro contano più le conoscenze di una Laurea, ma quando il marcio viene a galla in maniera spudorata è giusto che venga raccontato. Ritengo infatti doveroso che lo scorcio di “onestà” che mi accingo a raccontare, arrivi a tutti i colleghi infermieri che come me sono alla ricerca di un impiego che renda giustizia al loro percorso di formazione professionale e al loro desiderio di impegnarsi nella – citando Florence Nightingale - più bella delle belle arti.
Feltre, piccola cittadina in provincia di Belluno, ore 14.30 di lunedì 17 febbraio 2014. Sotto un cielo plumbeo una modesta massa di infermieri si accalca davanti all’Auditorium dove si sarebbe svolta la preselezione. Dico modesta in quanto le domande pervenute all’Azienda Feltrina per i servizi alla persona per il concorso per la copertura di 1 posto a tempo indeterminato di CPS Infermiere e formulazione di una graduatoria per eventuali fabbisogni erano meno di 500, cifra che sembra ridicola a fronte delle decine di migliaia di persone accorse per altri concorsi lungo lo stivale. Ma, come pubblicato da un quotidiano qualche giorno prima, per l’Azienda si tratta di un’affluenza record, tanto da stabilire la necessità di una preselezione, che avrebbe ridotto gli ammessi ai colloqui a 60 persone. E fin qui niente di strano.
Il primo odor di bruciato si è cominciato a sentire dal momento in cui fu reso noto che la prova preselettiva sarebbe stata composta da domande a risposta aperta, ma che i colloqui sarebbero iniziati già tre giorni dopo, il 20 di febbraio. E il tempo materiale per la correzione?
Comunque, dopo l’identificazione, l’ingresso nell’auditorium del primo scaglione (in ordine alfabetico i concorrenti sono stati divisi in 2 gruppi, a distanza di un’ora l’uno dall’altro), ed è qui che il sottoscritto ha avuto modo di assistere a spettacoli a dir poco vergognosi: concorrenti che si intrattenevano in chiacchiere amichevoli con i membri della commissione, dimostrando palesemente con l’atteggiamento e i discorsi di nutrire una profonda conoscenza (anche lavorativa) ed amicizia con i suddetti membri. Il top fu quando ad una concorrente che si accingeva ad occupare un posto in fila, seguendo gli altri in ordine casuale, da un membro della commissione fu assegnato un posto ben preciso (le sedute erano numerate).
All’uscita del primo scaglione vi fu un ovvio confronto sugli argomenti delle domande con chi era in attesa di entrare; nessuno però si sarebbe aspettato che le domande del secondo gruppo sarebbero state le stesse, avvantaggiando così chi nel frattempo ha avuto modo di confrontarsi o riguardare del materiale.
Vorrei specificare che la prova consisteva in quattro domande aperte, con uno spazio di circa 20 righe ognuna da riempire in 20 minuti. Ciò si traduceva in una mole di testo notevole da correggere, ma nonostante quest’impedimento “tecnico” la commissione riuscì a pubblicare l’elenco degli ammessi al colloquio il pomeriggio di due giorni dopo, il 18 di febbraio. Fu allora che il sottoscritto capì di avere fatto un viaggio di quasi 1000 chilometri a vuoto, non tanto per il fatto di non avere superato la prova, ma per i risultati della prova stessa: furono pubblicati soltanto i nomi degli ammessi, senza una graduatoria, senza i punteggi ottenuti dai singoli, senza un ordine logico.
Dulcis in fundo, come si evinceva dal bando, il punteggio minimo per superare la prova sarebbe stato di 21/30, e sarebbero stati ammessi i primi 60 in ordine di punteggio: ebbene, gli ammessi ai colloqui sono stati 35.
Ora mi chiedo: di 463 ammessi alla preselezione, 428 erano infermieri totalmente impreparati, oppure i 35 ammessi erano dei geni del nursing? La risposta si trova nascosta tra le montagne Feltrine e nella coscienza di qualcuno.
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