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editoriale

Code DNR: Un dilemma per l’infermiere

di Rosario Scotto di Vetta

Do Not Resuscitate

Nella cartella clinica ed infermieristica viene riportata un codice identificato con tre lettere DNR. Si riferisce alla decisione del paziente o dei suoi familiari di non avviare alcun tentativo di rianimazione in caso di arresto cardio-respiratorio. Un codice che spaventa gli infermieri.

Il codice DNR (Do Not Resuscitate), riportato nella cartella clinica ed infermieristica, si riferisce alla decisione del paziente o dei suoi familiari di non avviare alcun tentativo di rianimazione in caso di arresto cardio-respiratorio. Poiché tale decisione è raccolta dallo staff medico, gli infermieri, in assenza di una precisa indicazione da parte di uno dei medici, sono in genere spaventati dalla prospettiva di non agire al verificarsi di una crisi. L’assistenza infermieristica di un reparto di terapia intensiva in relazione alla salute/malattia (“Salute e malattia non sono cose sostanzialmente diverse” Nietzsche 1926), seguono i loro pazienti fino alla morte e mettono in atto tutte delle procedure che seguono il decesso.

Code DNR

Code DNR

L’assistenza infermieristica, di fatto, non si conclude con la morte: gli infermieri di questi reparti si prendono cura dei degenti sia prima che dopo l’eventuale decesso. Sebbene il lavoro di questi infermieri implichi un confronto continuo con la morte, il decesso di un paziente costituisce senza ombra di dubbio un elemento di disturbo nella vita di reparto. Infatti il gruppo avverte la morte di un paziente come una minaccia alla sua stessa coesione e continuità.

Quando una famiglia si oppone a concedere tale autorizzazione, gli infermieri vivono una situazione conflittuale, trovandosi a operare su un terreno incerto. Culturalmente per un infermiere di reparto è difficile non fare nulla, dato che sono formati per agire per la salvaguardia del paziente malato. Così, quando un paziente che soffre e per il quale è stato ottenuto il codice DNR tarda a morire, questo fatto sembra disturbare un po’ tutti, dai familiari allo staff. Tanto più che, anche dopo un preciso ordine scritto da parte del medico, gli infermieri esitano a staccare un paziente dall’ossigeno, preferendo demandare questo compito a qualche tecnico.

Questo perché l’infermiere non si considera un semplice esecutore poiché non è nella sua cultura ossia tutto quell’insieme complesso che include la conoscenza, credenze, morale, diritto, costume, storia e qualsiasi altra capacità acquisita come membro di un équipe sanitaria. Una sorta di parentela temporanea si instaura fra gli infermieri e i pazienti a cui essi si sentono particolarmente legati.

Quando i pazienti non muoiono come previsto, ma continuano a vivere sorretti dalla forza di volontà, gli infermieri del reparto ne sono in qualche modo disturbati. Un paziente ricoverato in cardiologia si sa perfettamente quando il sta morendo: sono i monitor a dirlo. Ma pazienti con tumore o altri malattie croniche muoiono lentamente. La percezione che nel reparto di terapia intensiva la morte dei pazienti sia meno facile da predire, viene percepita come una delusione tecnologica.

La morte è fonte di stress. Le prime esperienze sono sempre impresse nella memoria degli infermieri, che spesso associano a quei momenti sensazioni di stanchezza, rabbia, amarezza. Medici e infermieri del reparto ammettono che il confronto quotidiano con le malattie e la morte dei pazienti ricorda loro la propria mortalità. Quando un degente muore serenamente, gli infermieri ne sono compiaciuti. La rianimazione è percepita nella maggior parte dei casi come un’inutile tortura.

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