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Cecilia Segato, infermiera e missionaria in Africa

di Redazione

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PADOVA. Si laurea in Infermieristica a Padova nel novembre 2012 e sceglie di fare la missionaria in Africa per un periodo di tre mesi, una esperienza che sarà sicuramente unica nel suo genere e che darà ottimi frutti. Parliamo di Cecilia Segato, 22 enne, autrice di una tesi sul tema “Interventi Assistiti con gli Animali: una co-terapia utile per la promozione del benessere nell’ospedale pediatrico?”. E' proprio lei a parlarci della sua futura partenza per il "continente nero".

di Cecilia Segato (*)

Comincerei dicendo che ho 22 anni e da pochi mesi mi sono laureata in Infermieristica pediatrica presso l’Università degli studi di Padova.
La mia voglia di diventare volontaria e partire per l’Africa non so bene come e quando sia nata, ma da che mi ricordo c’è sempre stata. Solo ora però la vedo come un’opportunità reale e concreta. Il fatto è che al liceo era pressoché impossibile data la mole di studio e all’Università tra un esame e l’altro non ne ho mai avuto la possibilità.

Il tutto è cominciato a settembre nel momento in cui ho avuto un po’ di respiro dallo studio, dall’Università e dalla laurea ed ho avuto modo di mettermi seriamente a cercare un’associazione che potesse darmi un’occasione di offrire le mie capacità di infermiera a chi ne aveva bisogno.
La mia difficoltà iniziale è stata proprio questa, trovare l’associazione adatta, alla fine ho deciso di cominciare dal luogo in cui volevo andare, per dare una sorta di filtro alla mia ricerca: il Madagascar.

Questo posto mi ha affascinato come mai nessuno e non ho potuto fare a meno di innamorarmi all’istante della sua natura incontaminata. Decidendo il luogo è stato tutto molto facile ed ho per puro caso trovato questa associazione “Amici di Ampasilava” (http://www.amicidiampasilava.com/). È stato veramente fantastico trovare un ospedale che accogliesse volontari nel posto in cui desideravo più di tutti andare.

L’ospedale non è molto grande (ha 6 posti letto) ma è dotato di tutto il necessario ed offre un servizio unico e utile a tutte le popolazioni vicine. Si trova presso i villaggi di Ampasilava e Andavadoaka, nella provincia di Tulear; fino a 5 anni fa l’ospedale più vicino per loro era a 180 km, cioè 3 giorni di viaggio, si può ben capire quindi quanto sia stata utile la costruzione di questa struttura.

La cosa più bella, a mio parere, è che la sua attività si basa sul volontariato; il Madagascar è uno degli stati più poveri dell’Africa e la sanità viene pagata cara, questo ospedale invece riesce ad offrire le prestazioni pressoché gratuitamente.

Si visita prevalentemente la mattina, e i servizi offerti sono molti; periodicamente, inoltre, si alternano equipe chirurgiche che scendono per eseguire piccoli e grandi interventi.

Molto probabilmente, non avrò compiti precisi, ma un unico scopo cioè assistere il paziente in tutto, e questa cosa mi piace molto.
Penso che in questo modo si riesca ad assimilare quello che è il vero significato dell’essere infermieri cioè il prendersi cura di chi ha bisogno, sempre e comunque, anche se non viene richiesto in modo diretto.

Ritornando alla mia storia, dopo aver trovato l’associazione, li ho incontrati a Bologna, dove si trova la loro sede e mi hanno spiegato tutto. Mentre parlavano lasciavano trasparire così tanto il loro amore verso quello che facevano, verso quella terra e quel popolo che mi hanno convinta subito.

La data fissata per la mia partenza sarebbe stata il 31 gennaio, quindi sarei dovuta partire domani, ma il giorno stesso in cui ho deciso di prendere il biglietto mi è arrivata una proposta di lavoro. Sono andata al colloquio e mi hanno offerto un contratto di 3 anni presso uno studio privato, il problema è che avevano bisogno subito; dopo 2 settimane di prova ho rifiutato l’offerta che mi avevano fatto. È stata una decisione molto difficile, questa faccenda mi ha messo di fronte ad un bivio e mi ha fatto confrontare con me stessa in modo molto profondo; però mi ha dato anche l’occasione di confrontarmi con altre persone e capire altri punti di vista.

Ho avuto modo di parlare delle mie motivazioni, di confrontarmi con chi non condivideva o semplicemente non capiva quello che volevo fare e perché volevo partire.

Fino a che qualcuno mi ha detto che non avevo bisogno di consigli, né di parlarne ancora perché la risposta stava nei miei occhi mentre raccontavo ciò in cui credo, nelle mie parole per esprimere ciò che sentivo: “non hai bisogno di convincerti ancora, la scelta l’hai già fatta, ora tocca a te crederci fino in fondo”. E così ho fatto;la verità è che mai avrei rinunciato a questa esperienza. Sono consapevole del fatto che che al giorno d’oggi trovare un lavoro è difficile e infatti molte persone mi dicevano: “per andare via c’è sempre tempo, lo farai più avanti, non rinunciare ad un offerta di lavoro di questi tempi!”; io non la penso così, sono per il “tutto ed ora”, queste esperienze sono quelle che ti cambiano la vita, che ti cambiano dentro e io voglio farla ora, non tra anni e anni. Ora che ho 22 anni voglio vivermi appieno questa esperienza, senza pensieri, senza problemi, solo io e quello che mi aspetta là.

Leggere le testimonianze di chi è partito poi mi ha reso ancora più smaniosa di partire, la paura c’è, è normale ma si tratta di una paura sana, quella che ti accompagna quando hai l’incertezza di quello che ti succederà, quando il tuo futuro non è ancora nitido e stabilito, quando non sai ancora dove finirai, quando hai ancora qualcosa per cui vivere davvero.

Quindi ho posticipato il viaggio perché ormai mi era impossibile organizzarmi in così poco tempo, ma a fine febbraio partirò e non rimpiango la mia scelta.

L’associazione l’ho trovata da sola ed ho deciso di partire da sola, senza persone che conosco, ma soltanto con i volontari che decideranno di partire nel mio stesso periodo.

Ho sentito fin da subito che era una cosa che dovevo fare da sola, senza la sicurezza che ti può dare un amico, un famigliare o qualcuno che ti ricolleghi alla tua vita di sempre. A mio parere per vivere appieno questa esperienza dovrò essere in grado di creare nuovi legami allontanandomi da quelli rassicuranti di sempre ma, allo stesso tempo, senza mai spezzarli.

Se si parla del viaggio un po’ di paura c’è; si tratta di due giorni di viaggio con scalo a Parigi e ad Antananarivo in cui di dorme una notte, poi si prende un volo interno la mattina seguente e si intraprendono 8 ore di jeep, si il viaggio sarà lungo e difficile e mi spaventa parecchio, ma alla fine vale la pena, cosa sono 2 giorni confrontati con quello che mi aspetta e che vivrò la in 3 mesi?

Forse mi sto dilungando un po’ troppo però purtroppo non ho il dono della sintesi e quando comincio a scrivere faccio fatica a fermarmi, prima di finire volevo dire quest’ultima cosa.

La frase che più ho sentito e che più mi mette a disagio quando qualcuno viene a sapere che partirò è “ complimenti, ti ammiro”, ecco in questi casi cosa dovrei dire? Grazie? I complimenti per cosa sono?

Il problema sta nel fatto che questi complimenti, questi “ti ammiro” “brava” “come fai” suonano come un qualcosa di importante, come se stessi facendo qualcosa che nessuno fa mai.

In realtà io trovo molto più strano che ci sia gente che trovi tutto questo straordinario invece che ordinario. Io non vedo nulla di straordinario in quello che sto per fare perché penso che aiutare gli altri faccia parte della vita dell’uomo, fa parte del lavoro che ho scelto e che risceglierei ancora se tornassi indietro altre 100 volte.

Aiutare il prossimo, assisterlo, essergli vicina anche solo con poco. Per questo trovo assurdo che ci sia gente che considera straordinario quello che faccio. Piuttosto direi che sono straordinarie le persone che hanno dato vita a tutto, che lottano ogni giorno per tutto questo, non io che vado li solo 3 mesi; i miei genitori che mi hanno appoggiano e sostenuto in questa cosa sono straordinari, non io. Ecco questo è quello che mi sento di dire.

(*) Infermiera laureatasi a Padova nel novembre 2012 e presto in missione in Africa.

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