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editoriale

Vorrei, ma… posto o non posto?

di Francesco Falli

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È davvero necessario pubblicare pensieri, foto ed emozioni sul Web? Non è che a rimetterci poi è la professionalità di chi posta?

E’ stato proprio osservando il divertimento dei miei figli, nel cantare la canzone "Vorrei ma non posto" di Fedez e J-Ax, che ho pensato al modo di concludere questo piccolo viaggio nell’uso consapevole dei social… e con una piccola modifica rispetto all’originale canzone dei due noti rappers, ho pensato che - sin dal titolo - avrei potuto ricordare che alla fine la scelta è sempre nostra, di chi usa il social, e che decide se e quando pubblicare qualcosa, e come farlo.

Infatti, se quando stiamo per pubblicare il nostro pensiero, noi valutiamo se è davvero il caso di farlo, siamo già molto avanti sulla strada dell’attenzione necessaria a non bruciarci le penne, sui social e sulla Rete in generale.

Facciamo un pratico parallelismo con l’argomento più professionale, molto noto ed attualissimo, degli errori in Sanità: come tutti sanno controllare una prescrizione, un dato, un parametro prima di agire (soprattutto in presenza di dubbi!) assicura un grande contenimento dell’errore stesso.

Analogamente, se prima di mettere in Rete una foto del mio ambiente professionale la osservo, controllo che non ci siano elementi che - a qualsiasi titolo - potrebbero andare a creare problemi a me, o ai miei assistiti o ad altri operatori, ho quasi certamente allontanato "il rischio": e così come nel dubbio relativamente al prodotto farmaco (prescrizione illeggibile, dosaggio assente, assenza di indicazione della via di somministrazione, eccetera) io mi devo astenere (vedi art. 9 del Codice Deontologico dell’Infermiere) , così devo astenermi dall’inserire in una enorme piazza virtuale qualcosa che – come visto nelle due puntate precedenti - potrebbe creare conseguenze molto spiacevoli.

Sapersi "fermare" in tempo non solo è difficile, ma sembra oggi sempre più "naturale" vivere "nei social", condividendo in pratica moltissimo di ciò che ci capita, sostenuti in questo dalla cronaca intorno a noi, anche legata ad avvenimenti importantissimi, con i social più che protagonisti.

In pochi giorni si sono avute conferme sempre più impressionanti, evidenze sempre più marcate, della straordinaria presenza dei social e della Rete nella vita contemporanea: prendiamo solo alcune notizie a caso….Turchia, tentativo di golpe (pare), 15 luglio: durante le concitate fasi della "insorgenza" delle forze armate, la occupazione delle stazioni radio TV – come da programma classico dei golpisti di ogni latitudine- è stata vanificata da "ponti" social e programmi di condivisione che hanno mostrato il presidente legittimo Erdogan difendere il suo posto.

(…e proprio i social, hanno anche dimostrato che alcune testate hanno usato le immagini del colpo di stato in Egitto del 2011, spacciandole come foto del colpo di stato turco!)

Il Papa ha parlato delle suore di clausura e del loro rapporto coi social (!!), 22 luglio: anche lui ha raccomandato molta cautela (ah ah ah).

Sempre in luglio, è ‘’esploso’’ il fenomeno della caccia ai Pokemon virtuali che sta stupendo molto per la capillarità della sua diffusione: un gioco basato sulla tecnologia della Rete che si può fare anche da soli, ma che viene continuamente rilanciato sui social…

Quel mondo globale, quel mondo iperconnesso, già preconizzato da visionari lucidi come Einstein, Orwell, e tanti altri geni anticipatori del futuro, è oggi fra noi. E,soprattutto, noi ci siamo ‘’dentro’’.

In questi articoli io non ho voluto né criticare le abitudini dei singoli, né ho inteso esprimere giudizi.

L’invito è semplicemente quello di ricordare che la Rete, i social, le comunicazioni (che sono, ricordiamolo, tracciate e facilmente documentabili come "prove" di esagerazioni espressive) richiedono un uso ragionato.

Soprattutto e specialmente quando il "dialogo" fra due o più utenti comprende, con immagini, giudizi, pareri, anche i nostri assistiti: coloro che hanno un diritto riconosciuto dalle normative vigenti al rispetto della privacy, della dignità, delle convinzioni personali in materia religiosa, politica, di genere.

Concetto che vale per le immagini (da qui le censure e le condanne anche importanti – non solo disciplinari, ma anche tramite Tribunali, civili e penali- già comminate a chi ha inserito foto di pazienti in varie situazioni) e che vale per i testi.

Potrà forse essere utile chiudere con un rapido riassunto condiviso di alcune situazioni, emerse in sede di eventi ECM che sono stati organizzati su questo tema, e che deriva da alcune domande poste in sede di dibattito.

Alcuni Colleghi che lavorano in un centro di riabilitazione hanno descritto una situazione comune: i loro assistiti, spesso giovani mielolesi da traumi stradali, restano anche un anno in questo posto, prima di adattarsi all’uso di ausili che possono permettere una certa autonomia.

Nel corso della degenza, questi ragazzi festeggiano il compleanno e ci tengono quasi sempre a pubblicare sulle loro bacheche social immagini che coinvolgono anche il personale, che ovviamente è contento di essere parte di questa emozione positiva. La situazione non è certamente vietata: è il degente che scatta e che posta le foto e naturalmente va ricordato, eventualmente, il caso opposto: cioè, quei professionisti che non desiderano apparire sui social mentre sono in servizio, per qualunque motivo, possono certamente farlo presente (naturalmente serve in questi casi tatto e diplomazia, ma certamente la crescita di un uso consapevole dei social porterebbe a una maggior comprensione su tanti aspetti, questo incluso).

Altri segnalano che un coordinatore pubblicava sui social i turni di servizio, ed i conseguenti cambi, e chiedono se questo è regolare. Personalmente, ritengo che non lo sia per molti motivi, ma soprattutto ritengo che non siamo di fronte a uno strumento di lavoro organizzativo proprio per la natura stessa delle piattaforme, aperte a molti, soggetti anche a interventi di terzi (per un qualsiasi motivo si potrebbe perdere la abilitazione alla pubblicazione, per esempio, provvisoriamente); alcuni dipendenti potrebbero non avere accesso costante alle informazioni, al di là del loro volere; oppure non si potrebbe disporre della connessione. Diciamo che se l’uso di un social può ‘’aiutare’’ le informazioni di servizio (come questa) , non dovrebbe a mio avviso sostituire completamente gli altri metodi: o almeno, in questo caso, non ancora.

Un gruppo di colleghi del Centro Italia ha segnalato una ipotesi di provvedimento disciplinare poi (pare) rientrata, a seguito di commenti pubblici apparsi su un medico di quella struttura. Ritorniamo all’origine dell’articolo, e al senso dell’incipit: ma perché affidare al social il proprio disagio, la propria rabbia, o qualsiasi altro sentimento derivante da situazioni che – ci siamo passati tutti- sono frequenti, talvolta senza facili vie di soluzione per le caratteristiche dell’ambiente, delle persone coinvolte….non potremo ricevere dai social, in questi casi, che una solidarietà  virtuale (un like non costa nulla)  – appunto- che non sposta di una virgola il dato vero, reale, quotidiano e anzi aggiunge, come in questo caso, un problema in più.

Personalmente, ritengo il social un terreno affascinante, che stimola pensieri e curiosità, e favorisce scambi di conoscenze, informazioni, e crescita del sapere quando ben utilizzato: a patto che lo si maneggi con grande cura, proprio come si dovrebbe fare nella vita reale nel nostro rapporto con il prossimo, come sarebbe opportuno ricordare ogni qual volta si è a contatto con "altro da sé", con rispetto verso gli altri e con la legittima richiesta di reciprocità.

Si può pubblicare molto anche senza obbligatoriamente violare norme, senza sconfinare i limiti del buon senso e, quel che è peggio quando capita, senza travalicare norme ed incorrere in sanzioni che possono essere anche, come abbiamo già visto, piuttosto pesanti.

Ed infine: è capitato a tanti, se non a tutti, di ritrovarsi a rilanciare concetti in Rete che, contrariamente a quanto avviene in un dialogo, anche in una discussione piuttosto accesa, non vengono ‘’mediati’’ dai messaggi corporei, da un sorriso o uno sguardo.

E ci sono persone che non vedono l’ora di comportarsi come il piccione sulla scacchiera: con questi, voi potete recitare il ruolo del miglior giocatore mondiale di scacchi, ma loro butteranno giù tutti i pezzi, faranno i loro bisogni sulla scacchiera, e se ne andranno impettiti: sinceramente, vale proprio la pena perderci del tempo?

Social sì, dunque: ma con reale consapevole attenta "cautela", per non fare la fine di altri che non hanno evidentemente ragionato molto prima di… postare. Grazie a tutti!

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