Yes, she can
Kamala Harris, candidata democratica alla presidenza degli Stati Uniti d'America
Yes, she can ” assicura, riprendendo lo slogan di successo che aveva utilizzato da senatore nella sua campagna elettorale nel 2008, declinandolo stavolta al singolare femminile.
Ha cercato così di creare ancora una volta, come aveva fatto per sé stesso, un movimento di popolo intorno alla figura del candidato, questa volta donna.
Al grido “Yes, she can”, scandito dalla platea di cinquemila delegati, Obama ha voluto rafforzare che c'è un'altra prima volta per un'afroamericana di umili origini che ce la può fare a diventare il 47° presidente, ricoprendo questa carica con orgoglio e rispetto per tutti gli americani, con uno sguardo più attento verso le minoranze e gli “essenziali”.
Nel suo incoraggiante discorso di sostegno a Kamala Harris , Obama fa un riferimento anche agli infermieri , quando - aggiungendo i netturbini, gli spazzini e i corrieri di spedizioni - racconta delle persone che in America svolgono i lavori più ingrati e che potrebbero essere aiutate da Kamala a migliorare la propria vita, non solo sotto l'aspetto salariale, qualora vincesse le presidenziali.
Non credo si riferisca ai medici quando parla di coloro che si prendono cura dei malati. E non credo sia stata un'incauta e sfortunata caduta di stile da parte dell'ex presidente paragonare i professionisti dell'assistenza a lavoratori le cui mansioni richiedono una professionalità minore, seppure con pari dignità. Tutti i lavoratori, anche quelli più umili, concorrono infatti al benessere, alla crescita e allo sviluppo democratico di una nazione.
Penso piuttosto che abbia usato parole ben ponderate e realistiche, non di sogno, che descrivono una realtà concreta che si adatta ad ogni latitudine del mondo. Tuttavia, ci si sente punti nell'orgoglio per essere messi dentro il calderone dei lavori socialmente più umili.
Non siamo forse, noi infermieri, parte di quei milioni di persone che si svegliano ogni giorno, spesso ad orari impossibili, per tutta una vita lavorativa lunga più di quarant'anni, per svolgere bene l'essenziale?
Significa compiere per gli altri ciò di cui non si può davvero fare a meno, ciò di cui una società civile non può privarsi perché è sostanzialmente indispensabile e che è impensabile eticamente non fare. E non abbiamo forse un lavoro ingrato , nel senso che spesso scarseggiano per varie ragioni le persone disposte a farlo al posto nostro o al nostro fianco così che ci ritroviamo a sostenere carichi e responsabilità eccessive?
Nel senso che spesso non abbiamo di ritorno quella gratitudine che ci aspettiamo dai pazienti nonché quella considerazione sociale che pensiamo di meritare per la nobiltà della nostra professione? Nel senso che al posto di un “grazie” riceviamo aggressioni e invece di gratificazioni gli insulti? Non è forse il nostro un lavoro considerato sgradevole, poco allettante e scarsamente redditizio?
Per tutto questo Obama ci ha giustamente messo tra i lavori ingrati, così poco valorizzati che hanno bisogno di un politico attento e capace a cui importi qualcosa della nostra miserabile condizione, che riconosca le nostre difficoltà e sappia affrontare e possibilmente risolvere i problemi che affliggono la categoria.
È innegabile che, pur essendo essenziali, non siamo trattati bene come dovremmo . La ragione sta nell'amara constatazione che siamo considerati appartenenti ad una classe sociale povera. Per quanto bravi ed essenziali, siamo e restiamo figli di poveri.
Nessun ricco lavora in una corsia d'ospedale, raccoglie la spazzatura e guida un furgone pieno di pacchi. Sono infatti lavori, per dirla come il candidato repubblicano Donald Trump , da neri. Black jobs.
Anche questa è l'America, o almeno come la pensa una buona metà. L'altra metà crede invece ai valori della middle class al di là del colore della pelle e delle origini delle persone, anche se sono nate ad oceani di distanza.
Poiché tutto il mondo è paese, problemi, sentimenti collettivi e ideologie che dilagano al di là dell'Atlantico investono presto o tardi anche l'Europa e l'Italia. Pertanto, avemmo bisogno anche qui di personalità politiche autorevoli e di spessore che sappiano almeno promettere bene, senza ingannarci troppo maldestramente e che almeno ci provino ad avere a cuore la nostra sorte , risollevare lo stato della sanità difendendo la sua universalità ed appesantire le nostre buste paga riconoscendoci di diritto, e non per buon cuore, un peso economico oltre che sociale.
Forse anche quelle di Obama resteranno belle parole in un altro discorso memorabile, forse anche quelle di Kamala rimarranno buone intenzioni vanificate dalle priorità e dagli scontri di potere e dai conti pubblici. Ma, nell'esaltazione della convention mista all'accettazione crudelmente vera della realtà sociale, è bello comunque poter sperare, seppur sia alquanto improbabile, di avere qualcuno che anche qui possa dire un giorno: Sì, lui/lei può fare qualcosa per cambiare. Per ascoltarci. Per darci una sanità migliore. Per difendere i nostri diritti. E che non ci prenda in giro, come fanno tutti . Almeno uno, tra tanti, che creda in quello che promette, che ci provi a promuovere il cambiamento, che si impegni con coerenza.
Nell'agenda sanitaria di una eventuale prossima amministrazione Harris-Walz , il governatore del Minnesota che ha accettato la candidatura a vicepresidente, ci sono alcune importanti priorità. Secondo un editoriale pubblicato su The Lancet, i due candidati democratici hanno l'opportunità di sviluppare un programma audace per migliorare la salute della nazione e la sua posizione nella diplomazia sanitaria globale.
Contrariamente a Trump che vuole tagliare l'assistenza sanitaria e sociale, Harris ha la possibilità di lavorare per invertire il declino dell'aspettativa di vita negli Stati Uniti, che è la più bassa tra i paesi ad alto reddito; ridurre il divario nelle disparità sanitarie, soprattutto tra i neri e i nativi che sono stati colpiti in maniera sproporzionata dai decessi di Covid-19; migliorare i risultati sanitari tenendo conto che gli Stati Uniti spendono di più pro capite per la salute rispetto a qualsiasi altra nazione; combattere le cause che hanno portato a oltre 1 milione di decessi dovuti al Covid-19, come lo scarso accesso all'assistenza sanitaria, la carenza di attrezzature, la scarsa sorveglianza della sanità pubblica e patologie quali obesità, diabete e malattie cardiovascolari.
Secondo gli autori dell'articolo, Harris potrebbe occuparsi degli indicatori di salute più bassi relativi alle malattie non trasmissibili, la dipendenza da oppioidi e i programmi di salute mentale. Dovrà spiegare anche come renderà realtà il piano sanitario universale, il Medicare for all , che sostiene con forza sin dall'amministrazione Biden.
Gli esperti ritengono che se riuscisse a promulgarlo probabilmente contribuirebbe in maniera significativa a ridurre le disparità sanitarie del Paese, facendo risparmiare altresì oltre 450 milioni di dollari nonché più di 68 mila decessi ogni anno. Harris deve inoltre fare i conti con una mancanza di fiducia nella scienza da parte della popolazione.
Considerando che questo aspetto influisce negativamente sull'adozione delle raccomandazioni sulla salute pubblica, la piattaforma sanitaria di Harris potrebbe supportare gli istituti nazionali sanitari di ricerca finanziando i progetti sull'immunoterapia per la lotta al cancro, sull'Hiv per porre fine all'epidemia, sulla salute mentale e delle donne, su nuovi vaccini.
Si ritiene che un suo deciso sostegno alla salute in un'ottica One Health porterebbe beneficio non soltanto agli americani, ma all'intero pianeta. Gli autori ritengono, infine, che Harris potrebbe riformulare l'immagine degli Usa come un Paese ricco di immigrati il cui impegno per l'innovazione scientifica porterà ad un pianeta più sano per tutti.
E poiché non è una gestione del rischio sana avere soltanto gli Stati Uniti come importante finanziatore della salute pubblica globale, gli Usa potrebbero implementare con Harris la propria leadership nell'incoraggiare altri Paesi ad impegnarsi con maggiori investimenti.
Il passaggio da un “noi” ad un “lei” è di buon auspicio su molti fronti. È una bella narrazione democratica. C'è speranza che diventi una solida realtà dove non ci sia spazio per la misoginia, il razzismo, le disuguaglianze tra uomini e donne nel mondo del lavoro e ci sia un tempo migliore per le opportunità che tutti possano cogliere in una società più giusta ed equa.
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