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Assistenza infermieristica privata, area mai esplorata prima: i numeri del ‘bisogno di assistenza’ sul territorio

di Redazione

ipasvi congresso

Intervista a Carla Collicelli, vice-direttore generale del Censis

Carla CollicelliROMA. La necessità di portare più infermieri sul territorio e di dar loro la possibilità di occuparsi capillarmente delle esigenze dei cittadini è emersa prepotentemente al termine di una corposa indagine condotta a livello nazionale dal Censis. Della questione se n'è discusso ampiamente a Roma nell'ambito dell'edizione XVII del Congresso della Federazionale Nazionale dei Collegi Ipasvi.

Proponiamo qui di seguito l'intervista a Carla Collicelli, vice-direttore generale del Censis, che ha marcato la mano sull'assistenza infermieristica privata, area mai esplorata prima, confermando i numeri del ‘bisogno di assistenza’ sul territorio.

La ricerca del Censis “Infermieri e nuova sanità: opportunità occupazionali e di upgrading. Le prestazioni infermieristiche nella domanda di assistenza sul territorio” ricostruisce alcuni importanti aspetti della dimensione quantitativa, delle dinamiche e delle criticità del settore infermieristico, con un’analisi puntuale delle prestazioni di tipo infermieristico erogate privatamente nella domanda di assistenza sul territorio. Quali sono i principali dati emersi?

L’intento di questa indagine realizzata dal Censis era quello di analizzare l'assistenza infermieristica privata, al di fuori delle strutture pubbliche o convenzionate; nello specifico volevamo capire il volume e il tipo di prestazioni a domicilio dei pazienti. Quest'area dell’attività infermieristica non è mai stata esplorata prima: sappiamo quanto sul territorio ci sia bisogno di infermieri e di assistenza, ma persiste grande confusione sul tipo di bisogni e sulle modalità attraverso le quali i cittadini trovano soluzioni alle loro necessità. Il dato più rilevante della ricerca è che quasi 9 milioni di italiani hanno pagato di tasca propria per una prestazione di tipo infermieristico nell’ultimo anno prima dell’intervista. Numeri che danno l’idea di quanto il bisogno sia forte. La richiesta di infermieri privati riguarda i malati cronici (30,7%) e le persone non autosufficienti (44,4%); al Nord-Ovest si registra il maggior ricorso agli infermieri a domicilio (25,8%), evidenza che si spiega con le migliori condizioni socio-economiche delle famiglie.

 

A quanto ammonta la spesa sostenuta dai cittadini per le prestazioni infermieristiche erogate privatamente?

Il dato della spesa annuale sostenuta è significativo: circa 2,7 miliardi di euro, dei quali 2,3 miliardi per assistenza prolungata nel tempo e 358 milioni per prestazioni una tantum di diversa tipologia. Il dato ci aiuta a capire che spesso ci si dimentica di quanto le famiglie italiane siano coinvolte direttamente nei costi per la salute. Emerge, inoltre, che parte dei costi sostenuti è in nero. Un altro dato rilevante, strettamente correlato al controllo dei costi, è che la rete parentale e amicale rappresenta un punto di riferimento importante in fatto di assistenza: non sono poche le persone che si rivolgono a un familiare o ad un amico o alla badante in caso di necessità. Le motivazioni sono varie: la fiducia in qualcuno che già si conosce, perché l’infermiere sarebbe troppo oneroso sotto il profilo economico, perché si tratta di situazioni giudicate gestibili anche da persone non qualificate in ambito sanitario.

 

Oggi la domanda potenziale di prestazioni infermieristiche associata ai fenomeni di cronicità e di non autosufficienza deve fare i conti con la reale capacità di spesa di pazienti e famiglie: quali sono le conseguenze?

Uno degli elementi che risalta dall’indagine Censis è l’impatto della crisi economica sulla reale possibilità delle famiglie a spendere. Sebbene la salute sia uno dei settori verso il quale c’è maggiore attenzione da parte dei cittadini, la spending review con le esigenze di risparmio lo ha impattato in modo concreto. Chi ha un bisogno specifico cerca in internet, va a caccia di offerte, sceglie la persona che richiede la retribuzione più bassa, che sia o meno un professionista. Possiamo parlare a ragion veduta di una contrazione della spesa per l’assistenza ai propri cari, che si verifica in molti casi laddove la famiglia dispone di risorse limitate e decrescenti, e di una ricerca orientata all’amica della porta accanto, alla portiera “tuttofare”, alla badante che chiede lo stipendio ridotto. Ne consegue che esiste una domanda potenziale molto elevata che però non trova sempre risposta o non viene soddisfatta nel modo giusto, in primo luogo perché la famiglia media si arrangia. Ci domandiamo ad esempio cosa fanno tutti quegli altri cittadini, che non ricorrono a prestazioni infermieristiche a pagamento, dal momento che i malati cronici sono circa 9,1 milioni e 3,1 milioni i non autosufficienti. È naturale che allo scenario così com’è e alle scelte assistenziali non sempre appropriate, se non addirittura sbagliate, sono imputabili errori e rischi, se non veri e propri danni a carico degli assistiti e delle stesse famiglie.



 

Secondo la vostra ricerca, molti italiani sembrerebbero propensi a rivolgersi a figure diverse dagli infermieri: quali sono i motivi di questa scelta e quali le figure che sostituiscono più spesso l’infermiere? Quali meccanismi innesca questo fenomeno?

Decidere di non rivolgersi ad un infermiere può essere correlato ad una serie di problematiche, prima tra tutte quella economica seguita da una cultura tradizionalmente poco attenta, direi, al significato e al valore dell’assistenza infermieristica. È chiaro che una famiglia con problemi economici non è facilitata nel trovare le persone preparate e competenti, però di fondo si riconosce una carenza di informazione, tutte questioni che le famiglie benestanti affrontano e risolvono con più facilità. Sono 4,2 milioni gli italiani che si sono rivolti a chi infermiere non è per avere una prestazione infermieristica. Come accennavo sopra, la badante è una delle figure più utilizzate in caso di necessità assistenziale, perché si pensa sia capace di gestire la persona non autosufficiente o affetta da una patologia cronica, o una terapia farmacologica, un catetere piuttosto che una medicazione o un’emergenza. Utilizzati sono anche gli operatori socio-sanitari e, naturalmente, la parente che sa fare le iniezioni, l’amica o la conoscente che può farsi carico di gestire nei ritagli di tempo una certa situazione. C’è da considerare poi un fatto determinante, ovvero che spesso chi si assume il compito di assistere un malato in famiglia è lo stesso congiunto: ricordiamo che la Legge 104 permette le assenze dal lavoro per motivi assistenziali, ne conseguono ovviamente tutta una lunga serie di iniquità socio-economiche e sanitarie che vanno dalla perdita di giornate lavorative ai costi indiretti che lievitano, dall’inappropriatezza delle cure alla disparità dei trattamenti fino all’ingiustizia sociale vera e propria.

 

Il grande paradosso del settore infermieristico è che, nonostante la domanda reale e potenziale di prestazioni infermieristiche sul territorio sia superiore all’offerta, esistono tuttavia situazioni di disoccupazione e sottoccupazione di infermieri: cosa emerge al riguardo dalla vostra ricerca? Quali sono le cause di questo paradosso?

La ricerca rileva le criticità di una situazione, appunto, quasi paradossale: una domanda elevata e in crescita cui si contrappone una difficoltà a reperire la persona giusta nel proprio territorio e una tendenziale crescita della disoccupazione e sottooccupazione di infermieri; un mercato domanda/offerta per niente regolato che denota scarsa cultura imprenditoriale del settore infermieristico.

La crisi economica ha danneggiato i cittadini ma anche diversi settori come quello infermieristico, spingendo verso un blocco del turn-over. Oggi il mercato è fermo, assunzioni non se ne fanno e i giovani laureati non trovano facilmente sbocchi nel pubblico, d’altra parte l’infermiere si vede prioritariamente come dipendente pubblico e non è particolarmente incline a entrare nel mondo del privato secondo regole precise. Bisognerebbe rafforzare la cultura imprenditoriale quindi: da un lato, le strutture sanitarie pubbliche per prime dovrebbero attivarsi al fine di favorire la continuità assistenziale post-ricovero, dall’altro gli infermieri devono iniziare a far propria l'idea dell'esercizio libero professionale sul territorio che può aprire importanti sbocchi lavorativi e soddisfare la grande domanda.



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