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Anagrafe nazionale degli Infermieri. Urge una revisione

di Emiliano Boi

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LA SPEZIA. Da diverso tempo gli infermieri italiani si domandano come mai l'anagrafe degli iscritti alla Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi, disponibile sul sito telematico istituzionale, non menzioni l'effettivo titolo di studio degli esercenti la professione sanitaria e le specializzazioni post-laurea. L'Ipasvi è un ente di diritto pubblico non economico istituito con legge 29 ottobre 1954, n. 1049, e regolamentato dal Dlgs 13 settembre 1946, n. 233, e successivo Dpr 5 aprile 1950, n. 221, a cui lo Stato delega la funzione, a livello nazionale, di "tutela e rappresentanza" della professione infermieristica nell’interesse degli iscritti e dei cittadini fruitori delle "competenze che l’appartenenza a un Ordine di per sé certifica".

 

La Federazione nazionale è vigilata direttamente dal Ministero della Salute e coordina i Collegi provinciali, che tra i loro compiti istituzionali hanno quello della "tenuta degli albi dei professionisti", i quali, per poter esercitare la loro attività, hanno l'obbligo di esservi iscritti. E allora come mai malgrado l'evoluzione accademica degli infermieri ancora oggi tutti gli esercenti la professione sanitaria infermieristica compaiono sull'anagrafe nazionale istituzionale con la qualifica di I.P. (Infermiere Professionale)?

 

La domanda sorge indubbiamente spontanea per centinaia di migliaia di infermieri ed è evidente che una risposta plausibile possa in qualche modo stentare ad essere compresa. E' bene rimarcare infatti che nella professione infermieristica l'aggettivo "professionale" appartiene alla vecchia distinzione tra infermiere professionale e infermiere generico.

 

Fino al 1999 in Italia le diverse figure infermieristiche venivano formate dopo 10 anni di scuola dell'obbligo e quindi dopo i primi due anni di scuole medie superiori. A quel punto si poteva decidere di seguire un corso di due anni che portava ad ottenere il diploma di infermiere generico, oppure un corso di tre anni che portava al diploma di infermiere professionale. Con l'introduzione del diploma universitario prima e dell'istituzione della laurea in Infermieristica poi, dal 2001 non esiste più la figura dell'infermiere generico né dell'infermiere professionale.

 

Appare chiaro, pertanto, che coloro i quali hanno conseguito il diploma di infermiere professionale ed i successivi corsi di diploma universitario e laurea debbano essere denominati "Infermieri"!


Ma volendo essere ulteriormente puntuali nella trattazione di un annoso problema "rappresentativo" degli infermieri italiani, appare assolutamente doveroso approfondire in questa sede la normativa in merito alla "pubblicità delle professioni sanitarie".

 

La materia della pubblicità sanitaria è regolamentata dalla Legge 5 febbraio 1992, n. 175, e successive modifiche ed integrazioni nonché dall’art. 201 TU LLSS, e dal Decreto Legislativo 30 dicembre 1999, n. 507.La pubblicità concernente l'esercizio delle professioni sanitarie, ai sensi della succitata normativa, è consentita soltanto mediante targhe apposte sull'edificio in cui si svolge l'attività professionale, nonché mediante inserzioni sugli elenchi telefonici, attraverso periodici destinati esclusivamente agli esercenti le professioni sanitarie e attraverso giornali quotidiani e periodici di informazione e le emittenti radiotelevisive locali nonchè sugli elenchi generali di categoria.

 

Ai sensi della legge 4 agosto 2006, n. 248, infatti, la disciplina sulla pubblicità delle professioni sanitarie è demandata agli Ordini ed alle Federazioni, che devono vigilare sul rispetto delle regole di correttezza professionale affinché la pubblicità avvenga secondo "criteri di trasparenza e veridicità delle qualifiche professionali e di non equivocità, a tutela e nell’interesse dell’utenza".

 

L'uso della qualifica di specialista è consentito soltanto a coloro che abbiano conseguito il relativo diploma ai sensi della normativa vigente. E' vietato l'uso di titoli, compresi quelli di specializzazione conseguiti all'estero, se non riconosciuti dallo Stato.

 

La normativa in vigore stabilisce che il medico "non specialista" può fare menzione della "particolare disciplina specialistica che esercita", con espressioni che ripetano la denominazione ufficiale della specialità e che non inducano in errore o equivoco sul possesso del titolo di specializzazione, quando abbia svolto attività professionale nella disciplina medesima per un periodo almeno pari alla durata legale del relativo corso universitario di specializzazione presso strutture sanitarie o istituzioni private a cui si applicano le norme, in tema di autorizzazione e vigilanza, di cui all'articolo 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.

 

L'attività svolta e la sua durata devono essere comprovate mediante attestato rilasciato dal responsabile sanitario della struttura o istituzione. Copia di tale attestato va depositata presso l'ordine provinciale dei medici-chirurghi e odontoiatri. Tale attestato non può costituire titolo alcuno ai fini concorsuali e di graduatoria. Forse non tutti sannoche le succitate disposizioni, ai sensi dell'art. 1 comma 5 della Legge 5 febbraio 1992, n. 175 e s.m.i.,si applicano anche alle restanti professioni sanitarie.

 

Per le ragioni di cui sopra appare ancor più disarmante il fatto che presso il sito telematico istituzionale dell'Ipasvi, oltre a non comparire una corretta denominazione di qualifica degli "infermieri", non compaia nemmeno una citazione rispetto alla nuova disciplina sulla pubblicità.

 

In molti si domandano se oggi la Federazione possa ulteriormente procrastinare una corretta pubblicizzazione dei propri iscritti all'interno degli elenchi generali di categoria, tenuto conto che oltre a dover correttamente denominarli quali "infermieri" dovrebbe altresì renderli edotti e vigilare sulle modalità di distinzione univoca degli infermieri specialisti che hanno conseguito il master rispetto agli infermieri non specialisti che tuttavia possono esercitare tali funzioni.

Infermiere

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