A distanza di un anno dalle proposte di “limitazione della responsabilità professionale” a favore delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, in questi giorni, complice l’accelerata che si vuole imprimere alle vaccinazioni giornaliere, tentando di preservare l’integrità penale e civile degli operatori coinvolti nelle attività vaccinali, sta prendendo forma una nuova proposta (partita dalla FNOMCeO) tesa a tutelare i sopra indicati professionisti: scudo penale . L’iniziativa ha l’obiettivo dichiarato di limitare la responsabilità penale in caso di dolo o colpa grave nei confronti dei pazienti, durante le attività di prevenzione primaria legate al Covid-19. Gli addetti ai lavori, quasi all’unanimità hanno espresso parere favorevole ed anche dal mondo legale arriva pieno sostegno.
Scalise: scudo penale per sanitari è un passaggio indispensabile
Il parere dei legali Scalise e Hazan sull'ipotesi scudo penale per medici e infermieri in contesto emergenza Covid-19
Avv. Gaetano Scalise
In particolare, l’avvocato penalista Gaetano Scalise , esperto di Responsabilità medica, consulente della Società Italiana di Pediatria e Vicepresidente della Camera Penale di Roma, nel suo contributo al Corriere della Sera, lo definisce un passaggio indispensabile .
Avvocato Scalise, perché a suo avviso è necessario uno scudo penale, visto che nel profilo professionale dell’infermiere, tra le attività peculiari che gli sono proprie, si parla anche di “prevenzione delle malattie”?
La questione non investe la “prevenzione alle malattie” cui lei fa riferimento, ma l’eventuale scudo penale dovrebbe mandare esenti tutti gli operatori sanitari (medici ed infermieri) da responsabilità in caso di evento avverso derivato dalla vaccinazione. È fin troppo evidente che il sanitario nei pochi minuti a disposizione per effettuare una anamnesi del paziente da vaccinare non può avere una cognizione piena del suo stato di salute, così com’è evidente che si tratta di attività indefettibile a causa del necessario contrasto al virus .
Lei parla di diverse questioni legate al Covid-19. A cosa si riferisce e a cosa deve fare attenzione un sanitario?
Le diverse questioni cui mi riferiscono riguardano anche altri ambiti professionali, ovvero anche la problematica legata alla mancanza di posti in terapia intensiva. Se rimane un solo posto ed ho due pazienti come sceglie il medico chi ricoverare? Come lei sa vi sono due diverse linee guida, l’una della Siaarti e l’altra dell’ISS che in alcuni punti differiscono.
Cosa fare se a commettere un errore è stato uno specializzando catapultato in corsia a causa dell’emergenza e della carenza di personale? Cosa deve fare un infermiere che fino ieri era in sala parto se viene comandato in una terapia intensiva? Ecco io credo che il legislatore dovrebbe prevedere uno scudo di natura penale e civilistica che ponga al riparo dalle scelte che in questo stato di emergenza inevitabilmente il sanitario deve fare, almeno limitando le ipotesi di responsabilità solo alla colpa grave (che andrebbe definita) ed al dolo.
Attivare uno scudo penale vorrebbe però significare che un problema esiste, ovvero la vaccinazione potrebbe essere rischiosa da un punto di vista della responsabilità professionale?
Non intendevo dire questo; io credo che in ogni campagna vaccinale può venire alla luce un evento avverso, ma di questo non può rispondere il medico o l’infermiere che somministra il vaccino, per cui quegli avvisi di garanzia che alcune Procure hanno inviato ai medici che hanno somministrato i vaccini, mi sembrano nella sostanza impropri, perché non si riuscirà a provare la responsabilità del medico in un successivo giudizio (ammesso che ci si arriverà), che però viene gravato di un problema già al momento stesso del ricevimento dell’avviso di garanzia. Insomma, io credo che tutti, anche utilizzando solo il buon senso, dovrebbero in questo momento non complicare la già difficile situazione pandemica, caricandola di orpelli a danno dei medici.
Come dovrebbe essere normato questo scudo penale?
Lo strumento più veloce potrebbe essere un decreto legge, in alternativa un Disegno di Legge o una proposta di legge che poi dovrà essere approvata dal Parlamento.
Hazan: Covid ha posto l’esigenza di una più generale protezione dei sanitari
Avv. Maurizio Hazan
E da Roma a Milano, dall'avvocato Scalise all'avvocato Maurizio Hazan , fondatore e managing partner dello Studio Legale Associato Taurini e Hazan, esperto in diritto delle assicurazioni private e della responsabilità civile. L'avvocato Hazan esprime di seguito il suo punto di vista.
Di nuovo sugli “scudi”: il tema delle responsabilità dei professionisti per tutti i danni in qualche modo correlati alla pandemia è tornato di viva attualità.
Già all’inizio della prima ondata del Covid si era avviato un animato dibattito politico circa la possibilità/opportunità/necessità di proteggere il sistema sanitario e i singoli esercenti dai rischi derivanti dalla loro messa in stato di accusa, quali responsabili dei vari eventi di danno che l’emergenza pandemica ha causato; siano essi quelli da contagio ospedaliero, quelli da mancata diagnosi, da omessa o intempestiva presa in carico dei pazienti, da morte per l’esito infausto del trattamento terapeutico, da perdita di chances di guarigione per non aver potuto fruire, durante la crisi, di trattamenti medici (magari oncologici) da tempo programmati e non eseguiti per lo sconvolgimento organizzativo delle agende di cura e delle strutture .
Si pensò, all’epoca, a una norma che potesse fungere da barrage, di fronte a quel che si pensava potesse essere un profluvio di cause, più o meno speculative, avviate in un contesto in cui, almeno all’inizio della pandemia, era francamente difficile immaginare la sussistenza di effettive responsabilità, a fronte di un fenomeno catastrofale che tutto il mondo ha faticato a contenere. Quel primo progetto di riforma, fondato sulla definizione di una limitazione delle responsabilità a casi connotati da una colpa grave circoscritta e specifica (emergenziale, appunto), naufragò - per noti contrasti politici - quando ormai sembrava destinato a vedere la luce .
Di fronte al successivo e continuo susseguirsi delle ondate pandemiche, e della crescente crisi economica (e con esso del tangibile scontento della popolazione), è lecito attendersi che gli attacchi giudiziari (alla ricerca di risarcimenti e di responsabilità oggi forse affermabili con meno difficoltà rispetto all’inizio del Covid) sino ad oggi mai davvero esplosi, inizino davvero a prendere piede. Non solo: un altro tassello del problema si è andato ad aggiungere, con estrema urgenza, in relazione al tema – oggi mediatico - della “responsabilità” dei vaccinatori in caso di effetti indesiderati od eventi avversi correlati all’inoculazione del vaccino . Un tema che oltrepassa il limite del paradosso e, ovviamente, mette a rischio il buon esito della campagna vaccinale, evocando rischi penali e civili di cui i professionisti certamente non vogliono e non possono farsi carico .
Si tratta però di rischi che, a differenza di quelli legati al contagio ospedaliero o alla mancata presa in carico dei pazienti o alle morti da Covid all’interno delle strutture, appaiono in concreto prossimi allo zero. Lo statuto della responsabilità dei professionisti, così come disciplinato dagli artt 5, 6 e 7 della legge 24/2017, si fonda sul principio in base al quale non può considerarsi responsabile chi si sia comportato correttamente ed abbia diligentemente attuato linee guide e buone pratiche assistenziali .
La somministrazione di un vaccino, che non comporta rischi operativi di sorta, ben difficilmente sarà ritenuta scorretta perché effettuata in violazione delle semplicissime leges artis che riguardano quel gesto tecnico. Eventuali reazioni avverse (ove oggetto di corretta informativa preventiva) non possono certo essere imputate all’operatore, trattandosi di farmaci autorizzati in via amministrativa, salvo che l’eventuale scelta tra un vaccino e l’altro – su soggetti particolarmente vulnerabili – non sia stata conforme alle recenti indicazioni ministeriali. In ogni caso pare assolutamente improbabile che eventi avversi possano davvero esser dimostrati come causalmente riconducibili all’operato dei medici somministranti (e non invece alle caratteristiche stesse del farmaco) .
Detta in altri termini la semplice applicazione degli ordinari principi in tema di responsabilità civile e penale, e dunque l’attuale impianto normativo, offrono ampia protezione ai professionisti che somministrano i vaccini, senza necessità di alcuno “scudo” di responsabilità. E ciò vale anche per tutti i somministratori a diverso titolo abilitati anche se liberi professionisti.
La loro teorica responsabilità rimane dunque davvero un’ipotesi più che marginale, quasi irrealistica (a prescindere che si tratti di responsabilità contrattuale, o come riterrei, extracontrattuale). Il problema, semmai, è un altro. L’avvio di procedimenti penali o civili, anche se destinati ad una sistematica archiviazione o a un rigetto, comportano costi – umani ed economici - di resistenza del tutto inopportuni. Non si pone dunque un problema di scudo a protezione di improbabili responsabilità, ma semmai emerge l’esigenza di interporre un barrage in radice, tale da impedire l’avvio di iniziative giudiziarie esplorative e del tutto inopportune .
Ciò però non riguarda il solo tema dei vaccini, oggi declamato a gran voce. E forse il tempo di riprendere le fila di un discorso troppo in fretta abbandonato e di considerare la questione da un più ampio angolo visuale. Ben al di là dei vaccini, il Covid ha posto l’esigenza di una più generale protezione del comparto sanitario, che tanto strenuamente si è impegnato a difesa dei cittadini nell’emergenza.
In un contesto in cui le linee guida e le buone pratiche costituiscono un formante ancora in via di definizione potrebbe davvero tornate a pensarsi, come già si era ipotizzato agli inizi della pandemia, a una norma emergenziale che, coordinandosi con i principi di base della legge 24/2017, circoscriva tutte le responsabilità comunque correlate al Covid, limitandole alle ipotesi di una colpa grave non generica, ma anch’essa da valutarsi alla luce delle conoscenze e delle risorse disponibili al momento dell’evento avverso .
E ciò, a parere di chi scrive, dovrebbe esser fatto a tutela dell’intero sistema sanitario, e non dei soli esercenti. Giacché la pandemia ha messo a dura prova tutte le forze coinvolte nella battaglia del Covid, professionali, strutturali, organizzative. Il che non significa lasciar senza tutela le vittime dei casi più gravi né tantomeno di non proteggere le categorie professionali che, impegnate in trincea, si siano contagiate. Al contrario, è forse giunto il momento di provare a capire se la soluzione possa esser trovata, specie per i medici contagiati, in un sistema di solidarietà sociale, di tipo indennitario, rinunciando all’esercizio odioso di ricercare a tout prix responsablità risarcitorie .
Il modello no fault della legge 210/92, proprio in tema di reazioni avverse da vaccini, potrebbe costituire la base di un nuovo approccio al problema, corroborato dalla consapevolezza di poter forse disporre, oggi, di risorse economiche utili alla bisogna .
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