Nel giorno di Pasquetta, mentre milioni di italiani sono costretti in casa, e migliaia di lavoratrici e lavoratori sono costretti al lavoro per contenere la pandemia in atto, arriva la lettera della Presidente della Fnopi in cui si elenca un percorso rivendicativo in sette punti per la professione. Un documento che avrà il pregio di consegnare alla storia il portato del suo spessore e all’attualità del momento, la forza dei suoi contenuti.
Rivendicazioni professionali ai tempi del Covid-19, una riflessione
Nella fase attuale però un intervento come quello in oggetto corre il rischio di apparire inopportuno se non intempestivo, dato che di tutto c’è bisogno (nel vero senso della parola) tranne rivendicare particolarismi che possano essere male interpretati, o creare tensioni, oltre quelle già presenti, o peggio, rompere il fronte di coesione sociale e lavorativa in atto.
Sollevare distinguo di sorta, oggi, può rischiare di essere male interpretato o di cadere nel dimenticatoio. In questo frangente qualsiasi rivendicazione venga sollevata non può che avere un generico plauso finalizzato a rimandare la verifica delle cose da fare. Lo stesso Presidente del Consiglio ha detto: Non vi dimenticheremo. Molto bene, sta a tutti noi ricordarglielo, quando si potrà (o quando non se ne potrà fare a meno), ma nel farlo ora si rischia di parlarsi addosso.
Schematicamente, il contenuto della lettera può essere diviso in due macro aree: una propriamente professionale e l’altra più sbilanciata sul piano sindacale. Sul piano della professione è di rilievo il richiamo a concetti quali: l’equità da ristabilire, la multidisciplinarietà vera e la giustizia nell’organizzazione del lavoro
. Non si può non essere concordi con il bisogno di equità in un paese in cui la pandemia ha colpito principalmente gli strati più fragili della popolazione, quelli che soffrono per le disequità sanitarie, sociali, salariali, di genere, di età e molto altro ancora.
L’iniquità del sistema Italia
Il Sars-CoV-2 forse ha dimostrato l’iniquità del sistema Italia in maniera chiara, quanto tragica. Purtroppo. Ed in questo si deve fare appello alla multidisciplinarietà irrinunciabile. La stessa che ha permesso ad infermieri e medici di poter avere i presidi necessari grazie a chi ha cucito le mascherine e a chi le ha trasportate, magari per uno stipendio di poche centinaia di euro. Una multidisciplinarietà che consideri la dignità lavorativa di tutti, anche dei janitor, gli addetti alle pulizie, che si sono portati via tonnellate di rifiuti potenzialmente infetti.
Un sistema socio-sanitario equo non lascia indietro nessuno e riconosce pari dignità a tutte le professionalità che concorrono a costruirlo, dai tecnici di laboratorio e di radiologia agli assistenti sociali e agli OSS, dai fisioterapisti (una collega fisioterapista ha pagato con la vita, al pari di tanti altri, il tributo alla lotta contro la pandemia) agli educatori, ai volontari sulle ambulanze e ai tanti meccanici che si sono respirati la peggior robaccia del mondo, cercando di mantenere in funzione le migliaia di mezzi sanitari e civili che hanno trasportato uomini e risorse in giro per questo paese dannato.
È vero, come si scrive nella lettera, è necessaria una giustizia vera nell’organizzazione del lavoro, ma qui la questione è così complessa che non bastano certo due righe di buoni intenti per risolvere i problemi. L’organizzazione del lavoro sanitario, e non solo, è strutturalmente gerarchica ed iniqua, stratificata e classista e da sempre riesce a produrre buoni risultati quando diventa meno rigida, meno corporativa e più umana. Come in questa fase.
Credo però che la messa in discussione delle gerarchie sociali e sanitarie presenti in questa società passi in primo luogo con il garantire la tenuta democratica e solidale di questo nostro paese; poi si potranno investire le tante risorse mobilitate in questi giorni, per costruire sì una società più giusta.
Per quello che riguarda i servizi che hanno dimostrato carenze, tagli, lacune o altro, su questo sicuramente si dovrà investire in futuro. E non servirà solo aumentare il numero degli infermieri.
Certo più infermieri, magari qualcuno in più dei “mancanti” 53.000 per arrivare, chissà, alla media Ocse o ai livelli di paesi moderni come la Norvegia, o che altro. Questo porta anche a sollevare un’altra questione, tutta legata alla professione.
Il bisogno di nuove leve
L’infermieristica moderna, con le sue competenze avanzate, le sue prospettive di sviluppo, il suo portato scientifico, è tempo che venga applicata e diffusa da professionisti giovani, freschi ed agili e che si mandi dunque in pensione le migliaia di colleghe e colleghi over 55 che non ne possono più di garantire al meglio le prestazioni, sul piano fisico, cognitivo, e relazionale.
Una infermieristica moderna, giovane, aperta al territorio (e non solo), che non subisca più il peso di turni di lavoro massacranti, delle trentasei ore settimanali – più i frequenti salti riposo - che dovrebbero essere ridotte per gli infermieri, per gli OSS, per gli autisti, per tutti.
Un tempo si diceva lavorare meno per lavorare tutti, così magari - e questa è materia sanitaria - c’è la possibilità di arrivare un po’ meno fragili, da grandi, davanti al Sars-CoV-2. Ovviamente tutto questo è declinato in termini professionali e propri della disciplina infermieristica e non tanto sul piano sindacale.
Già, dimenticavo, e il piano sindacale? Beh, in questo caso c’è ben poco da dire, le questioni sollevate sono, in parte, materia per addetti ai lavori (segretari e delegati di sorta), ma in primo luogo sono argomenti che gli stessi lavoratori, infermiere e infermieri, dovranno discutere, analizzare, rivendicare, valutare.
Lavoro difficile, ma è il sale della democrazia diretta e del sindacalismo come strumento di emancipazione dei lavoratori tutti e quindi non di competenza di un ordine professionale. Altro ancora? Non credo. Un ringraziamento per il lavoro svolto da Lei, ma soprattutto da tutte le colleghe e i colleghi – e non solo da loro – in questo momento. Andrà tutto bene! E se magari qualcosina si inceppa, se ne riparlerà presto.
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