La storia la scrivono i fatti. E un fatto – forse “il” fatto - per la professione infermieristica è che la politica non ha mai avuto lo stimolo giusto per darle congruo riconoscimento. Facile parlare di mancato interesse, di scarsa voglia, dell’ingordigia di politicanti miopi e pure sordi da un certo orecchio. Questo non è altro che l’eterno ritorno dell’identico. Il punto è che se in politica si vuole contare bisogna sapersi comunicare. Ed è qui che siamo ancora traballanti.
Perché la lettera Fnopi a firma “infermieri italiani” non è di tutti
Anacronistica. La lettera che la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) ha indirizzato a Governo, Parlamento, istituzioni e Regioni arriva fuori tempo massimo e veicola contenuti “di pancia” che vanno esattamente in direzione contraria alle intenzioni. Se è la dignità della professione che si vuole difendere, non è scrivendone l’epicedio che si fa.
I giochi sono fatti: la legge di bilancio è andata (per l’ennesima volta), il rinnovo del contratto non ha margini di miglioramento (almeno per la parte economica), la politica è distratta da altro. Cosa resta? Promesse e pacche sulle spalle. Esattamente ciò di cui rimbrottiamo al netto de la misura è colma
più o meno da 15 anni, perché è più o meno da 15 anni che, in soldoni, è questo che portiamo a casa se escludiamo qualche lampo di luce qui e là.
Ecco perché non avevamo bisogno dell’ennesima lettera che inizia evidenziando qualcosa che non si è per colpa di chissà chi. Primo, perché se l’arte di vincere la si impara nelle sconfitte gli infermieri dovrebbero essere un’armata ormai invincibile. Secondo, perché scaricare su terzi le cause dei propri fallimenti stride con abnegazione, deontologia, sacrificio, tutela, vicinanza, competenza
di cui ci facciamo scudo. Terzo, perché se si indirizza una lettera che inizia con la storia la scrivono i vincitori
a quelli che siedono nella stanza dei bottoni è certo che questi non andranno oltre la prima riga. La loro attenzione è già persa, gli si sta dicendo qualcosa che sanno già. Quarto? La firma.
Si è perso il conto delle piazze e degli scioperi che abbiamo raccontato in questi anni. Che cosa si è ottenuto in quelle piazze dove hanno fatto la passerella tutti i politici? Solo promesse. Il routinario bolo di sedativo che non ha fatto altro che allungare la sofferenza professionale e logorare lo stato di salute di un SSN già al collasso.
Ecco perché leggendo la firma – gli infermieri italiani
(qualche malpensante potrebbe perfino vederci del velato razzismo) – sembra di non riconoscerne i firmatari. Sì, perché gli infermieri operanti in Italia hanno perso la speranza molto prima dell’avvento di Covid-19. La dignità degli infermieri, in Italia, è calpestata da molto prima della pandemia. Gli infermieri “vivono” in continua mediazione (o sedazione) di questo o quell’altro ente o sindacato da decenni.
La situazione attuale è colpa di una mediazione che in realtà non è mai esistita e non è mai stata conveniente per la categoria, con il tacito consenso di tutti. L'ho già detto e lo ripeto: manca il dibattito, mancano confronto e contraddittorio interni alla professione. Il silenzio renderà tutti colpevoli.
È vero che peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla, ma siamo sinceri: la consapevolezza di aver raggiunto il fondo è consolidata da tempo. Davvero vogliamo farci notare scrivendo un basta pacche sulle spalle
, quando la strategia comunicativa intrapresa, invece, invita a riservarci proprio questo? Perché il rimbalzare sui social di un hashtag – l’ennesimo, oltretutto – può essere un tentativo di leccarsi le ferite a vicenda, ma non deve essere la via di affrancamento professionale.
Una lettera che – oggi, nel 2022 – riversa ancora su “altri” la colpa di un mancato riconoscimento professionale, un aut aut che “minaccia” ancora una volta una risposta unitaria
(quando è lampante che non v’è cosa più complessa che tenere uniti gli infermieri) da collocarsi non si sa bene quando e dove nello spazio-tempo, non porta il nome di tutti. Non il mio, almeno.
Perché se nel rivolgersi alle Istituzioni si sceglie ancora una volta di giocare la carta degli infermieri che, ancora in prima linea, soffrendo, continuano a tenere in piedi il sistema salute, anche se in balìa di attacchi e violenze (…)
, allora non è poi così vero che non vogliamo sentirci chiamare “eroi” con un buffetto sulle guance. E il rischio è che quel poco che abbiamo ora tra le mani sia proprio quello che ci meritiamo.
Sono decenni che 456mila infermieri chiedono conto di tutto ciò che non è stato fatto. Se dalla politica si vuole essere ascoltati, bisogna sapersi comunicare. E bisogna saper leggere i tempi. Questo è il tempo di puntare i piedi, non di piangersi addosso. Non più.
cogi1967
13 commenti
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#3
Le istituzioni sono state chiare.
Sopperire alla carenza reclutando infermieri all'estero, cosí facendo, lasciare bassi i compensi.