Non sempre è facile esprimere e scrivere quello che si prova, ma dopo 19 lunghi mesi vedere ancora certi comportamenti e soprattutto sentire certi discorsi è rivoltante e orribilmente triste. Ancora oggi mi ritrovo a pensare ai mesi del lockdown, a quel silenzio assordante attorno a noi, al senso di impotenza che provavo mentre percorrevo la strada vuota per recarmi in ospedale, senza sapere se quel giorno avrei lavorato nella mia unità operativa o se mi avrebbero spostato da qualche altra parte. Noi infermieri siamo tutto fare e proprio per questo abbiamo le competenze per poter lavorare in qualsiasi reparto. Quello che in quel periodo mi dava più fastidio era sentire i mass media raccontare noi sanitari definendoci eroi. Non l'ho mai vissuto come un complimento o un apprezzamento piacevole, anzi lo trovavo quasi offensivo. Sono diplomata dal 2005, ho sempre amato il mio lavoro e l'ho sempre svolto con professionalità, mettendoci oltre che la competenza anche il cuore. Il Covid-19 non ha cambiato il modo di esercitare la mia professione, probabilmente l'ha ulteriormente migliorata.
Covid-19 ci ha e mi ha cambiato
Cerco di capire le motivazioni che portano una persona a non vaccinarsi, tanti mi dicono che è per paura, allora forse dovremmo iniziare a curare la paura
Poi un bel giorno è arrivata anche per me la chiamata per essere spostata temporaneamente ad eseguire i tamponi in Fiera a Vicenza. Ricordo ancora quella telefonata, un brivido freddo mi ha attraversato la schiena, avevo paura; sicuramente sarei stata ancora di più a stretto contatto con il virus. Alla stessa maniera in quel momento la mia competenza e la mia professionalità erano richieste altrove ed era giusto accettare questo nuovo incarico: iniziava la mia battaglia contro Covid-19 .
Mi hanno colpito subito gli spazi grandi della Fiera, ma il non vedere le finestre e la luce del sole entrare mi dava una strana sensazione, anche di malinconia e tristezza. Nonostante questo, proprio in Fiera ho ritrovato colleghi con cui avevo lavorato quando ero più giovane e ne ho conosciuti di nuovi con cui si è instaurato fin da subito un bellissimo rapporto. Sembrava che ci conoscessimo da tempo, c'era una bella sintonia ed armonia.
E mi sono resa conto che eravamo proprio noi, con la nostra mission, a riempire di calore e di luce quelli spazi grandi . Ora che sono tornata alla mia Unità Operativa, con molti di loro sono ancora in contatto, non solo al lavoro. Ci confrontiamo ancora tra noi per condividere emozioni e sensazioni, notizie e riflessioni sulla pandemia. E ancora mi arrabbio. Mi parte l'embolo, dico, per descrivermi quando mi infervoro nella discussione. Perché ancora ci credo a quello che facevo .
Mi chiedo come sia possibile dopo così tanto tempo dall'inizio della pandemia vedere che le regole basilari che ci sono state insegnate - e che taluni con insofferenza considerano imposte - non siano ancora diventate comportamenti di routine.
In ospedale mi ritrovo ad essere stanca di richiamare le persone per il mal posizionamento della mascherina o per il lavaggio delle mani, ma nonostante questo continuo a farlo perché credo sia fondamentale il rispetto delle tre norme sanitarie per superare questa pandemia. Allo stesso tempo mi chiedo cosa ci sia di così complicato nel farlo, lo ha capito mio figlio che adesso ha 6 anni. I bambini sono molto più recettivi degli adulti e soprattutto più rispettosi delle regole. Penso anche che se tutti adottassimo gli stessi comportamenti corretti, ci sarebbero meno contagi e tutto sarebbe più semplice.
Quando vedo le persone con la mascherina sotto il naso o che non si lavano le mani dopo essersi soffiati il naso o semplicemente per entrare in un negozio, più che l'embolo mi parte direttamente l'ictus. E tu sei lì in ospedale che lavori con mascherina ffp2, scafandro o visiera, lavaggio delle mani per ogni paziente e le persone si arrabbiano o si infastidiscono se vengono richiamate per i loro comportamenti errati. Quanto egoismo e poco rispetto per gli altri!
Rabbia, rabbia, rabbia, il mio cuore ne è pervaso ma nonostante questo continuo a svolgere il mio lavoro con amore e professionalità, anche se non è sempre facile. Mi spaventa terribilmente sapere che ci sono ancora persone che non credono a questa malattia, che non credono ai mezzi che abbiamo per sconfiggerla o perlomeno renderla meno aggressiva e pericolosa. Negazionisti, no vax, nì vax ossia gli indecisi, no tamp, mi chiedo cosa passi nella loro testa, ma chissà se loro si chiedono cosa passa nella nostra.
Covid-19 ci ha e mi ha cambiato , mi ritrovo ad essere meno tollerante verso alcune situazioni. Anche noi sanitari, quando ci siamo vaccinati (purtroppo non tutti), avevamo paura, eppure siamo stati i primi e se fosse andata male la sanità avrebbe potuto chiudere, invece siamo ancora qui a lavorare, a combattere questo virus che è molto più intelligente di noi. Cerco di capire le motivazioni che portano una persona a non vaccinarsi, tanti mi dicono che è per paura, allora forse dovremmo iniziare a curare la paura .
Sinceramente mi fa molta più paura il Covid e soprattutto il Long Covid , di cui nessuno parla, rispetto un vaccino, che ha comunque superato tutti i test prima di essere approvato. E poi non esiste il farmaco o la terapia senza effetti collaterali. Mi chiedo come mai non ci sia la stessa repulsione o paura per le terapie chemioterapiche sperimentali (che hanno comunque degli effetti collaterali) o per le sostanze che i giovani assumono per "sballarsi", senza sapere cosa prendono ma che hanno effetti devastanti conosciuti e studiati.
Il Covid mi è stato accanto, lo vedevo sui test antigenici che facevo, lo ascoltavo nei racconti delle persone che si erano contagiate, lo percepivo e lo sentivo nel dolore di quelli che avevano perso un loro caro. Quanta angoscia, quanto dolore, quanta paura ho visto negli occhi della gente. Questi sentimenti non dovrebbero avere nessuna affinità con la parola rischio ragionato e calcolato.
Curare la paura non mi spaventa , mi spaventa curare o lottare contro l'ignoranza, è una battaglia persa ancora prima di iniziare. Nonostante tutto sono ancora qua che combatto la mia battaglia, perché credo nella medicina e nel mestiere che faccio. Sono orgogliosa di essere un'infermiera, malgrado le difficoltà, la stanchezza e la paura di quest'ultimo periodo. Che ancora non finisce.
Alessandra Boarin - Infermiera
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