L’emergenza Covid-19 ha un solo lato positivo: aver reso chiaro a tutti che da troppi anni la sanità viene lasciata in secondo piano in termini di investimenti. Nonostante ciò, grazie soprattutto all’abnegazione dei professionisti che vi lavorano, è una delle migliori al mondo, ma oggi è diventata imprescindibile – e, di nuovo, evidente a tutti – la necessità di rivedere questa impostazione. È necessario riprogrammare la sanità ed è opportuno farlo adesso, non (o almeno non solo) con una chiamata alle armi, ma con lungimiranza. Perché la sanità italiana è in emergenza da molto tempo prima dell’avvento del nuovo coronavirus, lo sanno bene quegli infermieri che da giorni non ricevono il cambio in reparto, o quelli che saltano l’ennesimo riposo, o quelli che le ferie le vedranno forse l’anno prossimo.
Emergenza coronavirus, è necessario riprogrammare la sanità
Le ultime intense settimane continuano a vedere il susseguirsi di provvedimenti che arrivano da ogni parte. Governo, regioni e comuni quasi quotidianamente aggiornano/emanano decreti e raccomandazioni per cercare di arginare il coronavirus.
Tra questi, l’annuncio dell’assessore al Welfare della Lombardia, Giulio Gallera, delle lauree anticipate per immettere subito nel sistema sanitario
oltre 100 infermieri, che sarebbero così disponibili già dal 10 marzo
.
Disponibili, forse. Perché non è scontato che tutti accettino un contratto di collaborazione post-laurea in queste condizioni (il rischio è di assistere all’ennesima infornata di precari) e, in ogni caso, pensare che un provvedimento simile possa in qualche modo dare respiro all’emergenza nell’emergenza è decisamente ambizioso.
Perseverare nello straordinario piuttosto che intervenire per migliorare l’ordinario rischia solamente di prolungare l’agonia che precede il collasso
Solo in Lombardia la carenza di infermieri è di circa 4.724, mentre in tutta Italia arriva attorno alle 50mila unità. Cento neolaureati sarebbero poco più del 2% del fabbisogno reale, ne mancherebbero ancora 4.624. Allo stesso modo poco lungimirante sembra l’idea di richiamare in servizio medici e infermieri in quiescenza, quando precari e disoccupati qualificati attendono da tempo lo sblocco delle assunzioni.
Provvedimenti speciali, in momenti come quello che stiamo vivendo, sono discutibili, ma comprensibili – come quelli avanzati dalle ASST di Lodi e di Cremona -; perseverare nello straordinario, però, piuttosto che intervenire per migliorare l’ordinario rischia solamente di prolungare l’agonia che precede il collasso.
E il collasso è quello che rischiano gli infermieri che lavorano nell’area rossa di Codogno da giorni senza colleghi che gli diano il cambio (ma con un’attenzione mediatica mai vista prima. Già, il Paese sembra essersi accorto che esistono gli infermieri).
Eroi li chiamano. Ma sono professionisti che si sentono soli, abbandonati dal sistema. Un sentimento acuito da questa emergenza nell’emergenza, ma che non è una novità.
Ecco l’unico merito del coronavirus: aprire gli occhi su un mondo che è in emergenza da troppo tempo, un mondo sul quale tutti dovremmo investire per il bene di ognuno. E dovremmo farlo ora.
eric_moos
5 commenti
provvedimenti straordinari
#2
Tra le cose "straordinarie" che accadono vi sono gli infermieri risultati idonei, disponibili e registrati nelle graduatorie post-concorsuali lasciati tranquillamente a casa mentre si cercano precari presso agenzie interinali; accanto a questo è anche straordinario che agli infermieri con competenze avanzate certificate da master universitari non venga riconosciuta la specializzazione neppure nell'assegnazione delle destinazioni; al punto che le conoscenze avanzate restano circoscritte a un fatto di semplice cultura " cultura personale" e spesso non vengano utilizzate nelle strutture stesse costituendo uno spreco di risorse umane preziosissime sia per le strutture che per la comunità nazionale e locale. Che peccato. Chissà se chi si preoccupa dei " veri problemi degli italiani" si accorge di tutto questo e magari tira fuori una soluzione ragionevole in proprosito.