Esiste un range di SpO2 ideale per il neonato?
Il range di SpO2 che possa considerarsi ideale per il neonato sottoposto a O2 terapia non è noto, secondo quanto riportato dalla letteratura attuale. Le ragioni di questa mancanza di conoscenze sono molteplici e queste sono riferibili a una quasi totale assenza di studi riguardanti il neonato come categoria propria, poiché la maggior parte della letteratura disponibile è orientata allo studio delle conseguenze ossigeno-mediate sulla categoria dei neonati prematuri, e in particolare degli extremely preterm; ciò sembra attribuibile al fatto che quest'ultimi siano più vulnerabili ai danni suscitati da un'esposizione a un'eccessiva quantità di O2, rispetto alle altre categorie di neonati (per esempio late preterm 32 < GA < 37 settimane, moderate preterm 28 < GA < 32 settimane, a termine 38 < GA < 41 settimane).
Un'altra ragione di mancanza di conoscenze in quest'ambito è determinata dalla complessità stessa del neonato. L'ossigenazione neonatale è un processo molto complesso, nel quale entrano in gioco diverse variabili come la PaO2, l'SpO2, la tipologia di Hb, alle quali si aggiungono la gittata cardiaca e le resistenze vascolari periferiche. Le condizioni cliniche estremamente mutevoli del neonato e le sue caratteristiche fisiche e fisiologiche fanno sì che il processo di ossigenazione sia neonato-specifico, per cui difficile da standardizzare e alle cui variabili non è facile attribuire dei valori specifici e generalizzabili a tutti i soggetti appartenenti a una stessa categoria (per esempio SpO2 pari a 88 - 92% per tutti i neonati nati prima della 28esima settimana di gestazione).
Una terza motivazione alla carenza di conoscenze correlate al range ideale di SpO2 è rappresentata dalla modesta quantità di studi, specialmente RCTs, effettuati sui neonati umani. Questa limitazione può essere giustificata da un lato dalle implicazioni etico-legali che la pratica clinica sperimentale richiede per questa categoria di soggetti-campione, dall'altro dalla scarsa disponibilità di risorse economiche, condizionanti in particolare lo sviluppo di RCTs.
Le più solide evidenze, attualmente presenti nella letteratura, con l'obiettivo di identificare un range di SpO2, che possa considerarsi sicuro per la salute del neonato, sono state prodotte dai risultati di 5 RCTs: Surfactant, Positive Pressure and Pulse Oximetry Randomized Trial (SUPPORT), 3 Benefits of Oxygen Saturation Targeting Trial (BOOST II), e Canadian Oxygen Trial (COT). Il limite principale di questi cinque studi è la categoria di neonati che prendono in esame, ovvero quella dei neonati estremamente prematuri. I risultati ottenuti, dunque, non sono estendibili o generalizzabili a tutta la categoria neonati, bensì, al limite, ai soli neonati extremely preterm considerate le caratteristiche dei soggetti esaminati.
Per quanto riguarda l'enterocolite necrotizzante, dall'associazione dei risultati ottenuti dagli studi SUPPORT, BOOST II e COT emerge un aumento, in termini di incidenza, pari al 25% nello sviluppo di questa patologia fra i neonati appartenenti al gruppo low saturation target rispetto a quelli appartenenti al gruppo high saturation target. Le ragioni di questa significativa differenza non sono chiare, tuttavia si ipotizza che un basso range di SpO2 possa influire negativamente sulla comparsa di ischemia intestinale, e quindi evolvere, successivamente, verso un quadro di enterocolite necrotizzante.
Circa l'incidenza di retinopatia grave, gli studi ne riscontrano un aumento pari al 26% fra i soggetti appartenenti al gruppo con range di SpO2 compreso tra 91% e 95%, rispetto ai soggetti del gruppo low saturation target. Vista da un'altra prospettiva, l'incidenza di retinopatia appare significativamente diminuita fra i soggetti con un setting di SpO2 compreso fra 85% e 89%. La differenza evidenziata fra i due gruppi di neonati, si dimostra particolarmente marcata nel SUPPORT e risulta significativa anche nello studio BOOST II. Nel COT, su questo outcome, non si riscontrano valori d'incidenza differenti fra il gruppo low saturation target e il gruppo high saturation target. Questo perché, secondo i conduttori dello studio, il numero di neonati esposti a valori di SpO2 > 95% è stato, in proporzione, minore rispetto a quello riscontrato nello studio SUPPORT. Tuttavia, il maggior rischio di retinopatia grave, complessivamente accumulato fra i soggetti con range di SpO2 pari a 91%-95%, si presenta d'accordo con quanto evidenziato nella descrizione della fisiopatologia di questa complicanza e, nello specifico, con i concetti riguardanti l'influenza che l'O2 ha nel processo della sua patogenesi: la soppressione dei fattori di crescita angiogenetica ossigeno–mediati, quali eritropoietina e VEGF, fondamentali per la vascolarizzazione retinica dell'occhio del neonato.
Per quanto riguarda l'incidenza di Bdp, invece, malgrado alcune differenze nella definizione dell'outcome nei diversi studi (si ricorda che per gli studi SUPPORT e COT è stata intesa come O2 dipendenza a 28 giorni/necessità di >30% di O2 /pressione positiva delle vie aeree a 36 settimane PMA, mentre per lo studio BOOST II come la necessità di supporto con O2 per mantenere SpO2 al 90%) non sono emerse differenze significative fra i gruppi low e high saturation target. Come per la retinopatia, molti studi, soprattutto laboratoristici e/o anatomo-patologici, sono stati condotti per esplicare la correlazione fra l'O2 e la Bpd. Le evidenze fisiopatologiche emerse, tuttavia, derivarono, nella quasi totalità degli studi, da esperimenti e analisi ottenuti da campioni animali. L'assenza di evidenze risultata dai 5 RCTs e la conduzione di studi di fisiopatologia mirati, nella maggior parte dei casi, a specie animali non escludono in alcun modo il rischio ossigeno-correlato nei neonati, specialmente se prematuri, legato allo sviluppo di Bpd.
Sebbene i criteri per definire il danno cerebrale differissero dagli studi SUPPORT e BOOST II, i quali si limitarono all'esito di emorragia interventricolare di grado 3 o 4, allo studio COT, il quale comprendeva, oltre all'emorragia interventricolare di grado 4, leucomalacia cistica, ventricolomegalia e cisti poroencefalica, non sono state evidenziate differenze, in termini d'incidenza, fra il numero di soggetti riportante danno cerebrale fra i gruppi low e high saturation.
Circa l'incidenza inerente la pervietà del Dotto di Botallo, come nel caso del sopra citato danno cerebrale, non vi sono differenze fra i neonati appartenenti al gruppo con range di SpO2 pari a 85%-89%, e quelli del gruppo con range di SpO2 pari a 91%-95%.
Nonostante le differenze espresse dai cinque RCTs considerati, le evidenze da loro prodotte risultano essere le più robuste e interessanti per la pratica clinica fra quelle presenti attualmente nella letteratura. Riassumendo, per un neonato extremely preterm sottoposto a O2 terapia un range di SpO2 pari a 85%-89%, fino alle 36 settimane PMA, sembra essere associato a una maggiore incidenza di mortalità e di enterocolite necrotizzante, mentre un range di SpO2 compreso fra 91%-95% a una maggiore incidenza di retinopatia. Non si evince, dunque, quale possa essere il range di SpO2 ideale per il neonato estremamente prematuro, tuttavia, in attesa di successivi studi in merito, gli autori di questi studi suggeriscono l'adozione di un range di SpO2 fra 90% e 95%, secondo quanto promosso dalle più recenti linee guida europee (2013).
Integrando quanto appena discusso, la letteratura offre un'ampia gamma di studi di tipo descrittivo, esplorativo, prospettico e retrospettivo, attraverso i quali, gli autori cercarono di definire quali fattori entrano in gioco, nel determinare un quadro di iperossia nel neonato e quali possano essere delle strategie efficaci, applicabili nella pratica clinica quotidiana, per contenere questo fenomeno. Uno dei fattori che influisce maggiormente sulla promozione di iperossia nel neonato è la tolleranza, da parte degli operatori della salute, verso alti valori di SpO2 (SpO2 > 95%-96%) in soggetti sottoposti a O2 terapia. Questa tolleranza si traduce in un setting sbagliato degli allarmi sul monitor, e dunque dei limiti superiori di SpO2, oppure nell'ignorarli completamente.
Le ragioni di queste pratiche sono da attribuire alla scarsa educazione degli operatori al tema dell'iperossia e delle sue conseguenze sul neonato, alle precarie conoscenze riguardanti l'ossigenazione neonatale e l'utilizzo del monitor e alla mancanza di linee guida e protocolli, sia a livello di unità operativa, sia a livello nazionale.
In uno studio condotto da Kaufman et al. (2014), sul tempo trascorso da un campione di 102 neonati, con età gestazionale inferiore alle 32 settimane o con peso alla nascita inferiore a 1500 grammi, nel range di SpO2 previsto (83%-93% con O2 terapia) durante le 24 ore, si è riscontrato un arco di tempo, in media, pari a 4,5 ore al di fuori del range di SpO2 prescritto, di cui 2 ore con SpO2 > 93%. Un altro fattore che sembra influire sulla corretta gestione dell'O2 terapia e sulla compliance al mantenimento di un preciso range di SpO2, è il carico di lavoro degli infermieri. Un maggior numero di pazienti per singolo infermiere, sembra, infatti, essere associato a una minor quantità di tempo dedicata dall'infermiere al singolo paziente. Questo comporta un aumento del rischio di eventi avversi che, nella fattispecie, sono gli episodi di iperossia a cui viene esposto il paziente, con le relative conseguenze.
Una buona gestione dell'O2 terapia può, inoltre, dipendere dalla scorretta valutazione di una condizione ipossica del paziente da parte dell'infermiere. Questo perché, fra questi, appare diffusa la pratica del fare affidamento a osservazioni personali per la somministrazione di O2. In particolare, sembra che molti infermieri si basino su segni come il colore della pelle del paziente e la sua escursione toracica all'atto di respirazione, per regolare il flusso di O2 , anziché basarsi su dati ben più obiettivi quali i valori di SpO2 o di PaO2, per esempio.
Due ulteriori componenti, che condizionano una buona pratica clinica nei confronti della somministrazione di O2, sono la tipologia di pulsossimetro e la tipologia di regolatore di FiO2 erogata. Rispetto al primo elemento, il limite comune a tutte le tipologie di questo dispositivo, sembra essere la rilevazione di SpO2 nei soggetti che presentano estremità fredde, condizione di shock e sotto effetto di inotropi, a causa dell'alterato flusso sanguigno a livello del sistema vascolare periferico, che risulta inadeguato per permettere la rilevazione della quantità d'O2 nel sangue, da parte del pulsossimetro. Riguardo la tipologia di regolatori di FiO2 erogata, essi si differenziano, principalmente, in manuali e automatici. Lo svantaggio dei regolatori manuali consiste in una regolazione, che essendo apportata dalla mano di un operatore, varia ampiamente per misura (ampiezza) e frequenza. Ne consegue, dunque, il vantaggio offerto da quelli automatici, quello di una miglior compliance nel mantenere un range di SpO2 preciso ed entro i limiti minimi e massimi impostati. I regolatori automatici, inoltre, non richiedono l'aggiustamento del valore di FiO2 da parte dell'infermiere e questo si traduce in un minor carico di lavoro per quest'ultimo, ovvero un miglioramento in termini di servizio offerto al neonato. Questi dispositivi, tuttavia, presentano la necessità di essere adattati anche a sistemi di ventilazione che non siano esclusivamente Continuous Positive Airway Pressure (CPAP).
Attualmente, il range di SpO2 che le migliori evidenze, finora prodotte dalla letteratura, suggeriscono di adottare, nella somministrazione di O2 nei neonati estremamente prematuri e fino alla 36esima settimana Pma, è compreso fra 90% e 95%, secondo quanto promosso anche nell'ultima revisione delle linee guida europee (2013). L'adozione di questo range, sommata all'educazione degli infermieri verso il riconoscimento della problematica iperossia, ossia promuovendone il corretto utilizzo dei sistemi di monitoraggio di SpO2 e PaO2, l'impostazione di allarmi per limiti superiori non eccedenti SpO2 = 95%, l'utilizzo di pulsossimetri all'avanguardia, e di regolatori automatici di FiO2 erogata (perlomeno nei casi di ventilazione tramite Cpap), sembrano essere in grado di limitare questo fenomeno e l'incidenza delle sue conseguenze,.
Per quanto riguarda il bambino non sono stati definiti range ottimali, sembra tuttavia necessario valutare il singolo caso per evitare di essere sempre orientati a ottenere il 100% di SpO2. Una possibilità potrebbe essere quella di valutare in base alla situazione clinica e alle patologie di base il range ottimale e di tenerne conto durante tutto il periodo di ricovero.
Articolo scritto in collaborazione con il dr. Michele Castellin
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