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Intervista al Prof. Festini, docente associato e abilitato Ordinario in Med/45

di Marco Alaimo

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PISTOIA. Professore Associato e abilitato ordinario, Dipartimento di Scienze della Salute (DSS) dell'Università di Firenze MED/45 - Scienze infermieristiche generali, cliniche e pediatriche.

Intanto i migliori auguri per questa nuova avventura, o meglio, per un’avventura già iniziata nel 2005 anche se gli studi e l’attività di ricerca si sono sviluppati nella sua carriera già in anni precedent, con una particolare attenzione all’infermieristica pediatrica ed alle persone affette da fibrosi cistica. E’ di doppia nazionalità ovvero Americana e Italiana.Si è occupato anche di Infermieristica infettivologica e si è interessato all’assistenza ai pazienti appartenenti a minoranze etniche ed alle problematiche dell’integrazione.

Presso l’ospedale pediatrico di Firenze è stata recentemente istituita un’unità operativa di ricerca infermieristica dell’azienda ospedaliera Meyer ed il prof. Festini ne è il coordinatore. Il prof. Festini è anche il presidente della Società Italiana di scienze Infermieristiche pediatriche.

 

Un curriculum di tutto riguardo che spazia veramente su molti fronti scientifici. Sarebbe troppo lungo elencare tutte le cose che ha fatto e che sta facendo.

 

Dal 30 novembre scorso sono stati pubblicati sul sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università a della Ricerca i risultati dell'Abilitazione Scientifica Nazionale e gli elenchi dei nuovi professori; e lei è stato uno dei primi sei infermieri italiani abilitati al ruolo di ordinario in Scienze Infermieristiche.

 

Ecco alcune domande che vogliamo rivolgere in questa intervista esclusiva per nurse 24.it

Riteniamo che questo ulteriore riconoscimento sia un passo in avanti per tutta la professione. Come ha appreso la notizia? Ci sperava e con quali aspettative ha vissuto l’attesa della notizia?

E’ stata una bella soddisfazione e un riconoscimento per tutta la famiglia professionale. Quando si fa ricerca, la si fà in gruppo: io ho coltivato un gruppo di giovani infermieri ricercatori e questo è un risultato anche di questa squadra. Sono grato anche all’intera comunità Infermieristica in quanto se sono arrivato sino a questo punto lo devo anche allo sforzo di tutti gli Infermieri che hanno lottato in tutti questi anni per riconoscere il nostro ruolo anche nelle università.

Ovviamente come gli altri colleghi ci tenevo molto, ci speravo, anche se ero abbastanza tranquillo in quanto sapevo di superare tutte e tre le famose "mediane" degli indicatori di performance accademica, requisito per superare la valutazione.

Sono inoltre incredibilmente onorato di essere in compagnia di altre persone come la professoressa Di Giulio e la professoressa Saiani, che sono vere Capo-Scuola per le Scienze Infermieristiche Italiane.

Nella sua vita professionale e scientifica essendo un infermiere, si è mai sentito un professore di serie “B”? ha avuto contrastasti con altri professori storicamente “ordinari”?

Sul piano umano i rapporti con i professori medici sono sempre stati ottimi e cordiali in particolare con quelli del MED/38 (pediatria) che mi hanno sempre accolto come un loro pari.

Mi hanno invitato a collaborare con le loro ricerche, alla preparazione di linee guida per l’area pediatrica etc, da questo punto di vista non ci sono mai stati problemi soprattutto nel dipartimento a cui appartengo.

Paradossalmente devo dire invece che se qualche problema l’ho avuto è stato proprio con alcuni colleghi infermieri e questo mi ha fatto scoprire un lato dell’università che in realtà non conoscevo, il lato più deteriore, fatto di invidie e di competizione spesso spietata. Pensi che un collega ha addirittura fatto avviare un'azione disciplinare contro di me, dalla quale peraltro sono stato completamente prosciolto dal CUN !

Sul piano generale, invece, devo lamentare che l’università nel suo complesso non presta la dovuta attenzione alla crescita delle Scienze Infermieristiche.

Quanto dico è dimostrato dal diverso trattamento che viene riservato alle discipline mediche ed alle scienze infermieristiche quando si parla di investimenti e di assunzioni di docenti e ricercatori. Faccio un esempio: le Facoltà di Medicina e Chirurgia in Italia si reggono su due pilastri, anche da un punto di vista economico, che sono il corso di Laurea in Medicina e il corso di Laurea in Infermieristica, equivalenti tra loro come numero di studenti e come introiti per l'Ateneo. Esaminando le cifre, non si può non notare l’enorme, stratosferico divario nel rapporto tra numero di professori di ruolo per CFU e per ore di lezione, che esiste tra le materie mediche e le Scienze Infermieristiche. Nel mio ateneo, ad esempio, se si applicassero alla nostra disciplina i criteri standard applicati alle scienze mediche, per il numero di ore d’insegnamento Med/45 erogate dovrebbero essere assunti ben 121 professori associati !

Quindi, anche se sul piano personale non mi sono mai sentito un professore di serie “B”, sul piano complessivo la sensazione è quella. La scelta politica degli Atenei italiani sembra essere quella di tenere le Scienze Infermieristiche in disparte.  E devo dire che la mia Università, quella di Firenze, rispetto ad altre ha investito di più.

E’ una questione da affrontare secondo me sul piano politico, e si deve fare di più come famiglia professionale sul piano dell'informazione.

 

Cosa ci può dire delle nuove competenze Infermieristiche?

Questo nuovo accordo, se andrà in porto definitivamente, può portare frutti molto buoni anche nel campo della ricerca. Però dobbiamo dire subito due cose: la prima è che anche altre volte, delle normative buone sono rimaste sulla carta, come ad esempio la Legge 43 del 2006; ottima ma poi di fatto la figura di infermiere specialista che prevedeva è rimasta sulla carta e non viene riconosciuta nei concorsi; la seconda è che gli accademici infermieri in questo dibattito e in questa “cabina di regia” non sono stati consultati e questo non è buono in quanto si poteva avere un buon contributo su tutta la questione.

Comunque è bene che si parli di competenze nuove e avanzate per gli infermieri perchè questo ci avvicina ad altre esperienze come quella britannica e ci fa uscire da quella “palude” in cui ci eravamo impantanati con la figura dell’infermiere unico, “tuttologo”, appiattito verso il basso, che non ha possibilità di carriera.

Nel Regno Unito ci sono ben 8 livelli professionali nella carriera infermieristica con competenze differenziate, retribuzioni differenziate e soprattutto responsabilità differenziate. Ora speriamo che anche in Italia gli sbocchi di carriera diventino più diversificati, soprattutto sul piano delle responsabilità. In alcune realtà italiane, è vero, sono stati attivati i DS Professional ma salvo alcuni casi lodevoli non hanno avuto un reale impatto sul progresso professionale. Si può sperare anche in un'evoluzione dei corsi di Laurea Magistrale verso contenuti esclusivamente clinici, per la formazione di infermieri di cure avanzate. Ovviamente serve prima un riconoscimento legislativo e contrattuale.

 

La ricerca in Italia non passa grandi momenti di sviluppo; nel campo dell’infermieristica come siamo messi? Quali prospettive future?

Siamo messi, in effetti, abbastanza male per il fatto che mancano le risorse umane e materiali e i finanziamenti. Mancano infermieri da dedicare alla ricerca, le aziende sanitarie spesso non riescono a darci del personale dedicato alla ricerca e non viene quasi mai riconosciuto il ruolo degli infermieri che fanno ricerca. I fondi in realtà si possono trovare se vengono proposte delle ricerche interessanti.

Ma cosa possiamo definire interessante, dal punto di vista del pubblico? Il grosso problema di noi Infermieri è che non siamo riusciti a fare capire all’opinione pubblica l’importanza della ricerca infermieristica in termini di salute per i cittadini. E devo dire che questa è prevalentemente una nostra responsabilità. Perché ci siamo chiusi troppe volte a cercare di definire che cos’è la ricerca infermieristica e su quali ambiti deve concentrarsi l’infermiere con la ricerca, perdendo del tempo. È questo ci ha in un certo senso relegati in un “recinto” in cui ci siamo auto-segregati.

L’approccio giusto -anche per trovare i finanziamenti- secondo me è quello di non considerare la ricerca Infermieristica diversa da qualsiasi altra ricerca: come la ricerca di qualsiasi altro ambito nell’area Biomedica, il suo scopo fondamentale è quello di dare un contributo per migliorare i benessere della persona malata.

Tutto ciò che riguarda in senso ampio il benessere della persona con problemi di salute, o il benessere della persona che è in un percorso di recupero e della salute rientra nei potenziali interessi di ricerca degli infermieri, i quali hanno quindi un universo da esplorare davanti a loro. La ricerca infermieristica avrà un riconoscimento dall'opinione pubblica quando io ricercatore potrò dire che con la mia ricerca, con il mio operato, ho migliorato un ambito della salute delle persone. Senza stare a differenziare ciò che è "infermieristico" da ciò che non lo è.

Ad esempio, il mio gruppo ha di recente concluso un RCT (randomized controlled trial) per ridurre l’ansia preoperatoria nei bambini. E’ stata creata un app per tablet con delle immagini (un video con dei clown) e delle informazioni adatte ai bambini, in cui si spiega l’intervento, cosa si può trovare in sala operatoria etc. Abbiamo dimostrato che questo intervento è efficace nel ridurre l'ansia preoperatoria. Ogni infermiere, medico o altro può ogni volta usarlo per affrontare con il piccolo paziente la preparazione all’intervento.

Senza pensare di rimanere confinati in qualcosa di "infermieristico", abbiamo creato qualcosa di multicompetenziale. Nella ricerca, il concetto di “campo riservato” semplicemente non esiste. La ricerca infermieristica è soltanto la ricerca fatta da infermieri, ovviamente per il benessere della persona con problemi di salute. Senza per forza voler dare dei limiti “infermieristici” alla ricerca. Sicuramente gli infermieri possono portare un punto di vista diverso, e non è tanto importante definirlo ma il progettare e fare ricerca.

 

Cosa si sente di consigliare ai giovani studenti infermieri? E a quelli che da diversi anni stanno lavorando e magari hanno messo da parte la formazione e lo studio?

Sicuramente di andare avanti e soprattutto di approfondire la conoscenza della lingua inglese che è alla base di tutta la ricerca e dell'autoaggiornamento professionale. Ma mi rendo conto che oggi la priorità tra i giovani non è la ricerca ma la disoccupazione infermieristica: sicuramente il problema lavorativo è un'emergenza e non si era mai verificata prima, nel campo dell’infermieristica, una tale crisi di assunzioni. Dobbiamo intervenire in modo coraggioso per risolvere il problema.

Tanti miei ex studenti vanno lavorare all’estero e da un lato fa piacere perchè significa che abbiamo nuovi infermieri aperti al futuro, coraggiosi e capaci di lanciarsi in nuove sfide, dall'altro lato però è un peccato, perché stanno andando via i nostri migliori elementi. Uno dei motivi della disoccupazione degli infermieri è il persistente grande divario che ancora esiste in Italia tra le assunzioni di medici e di infermieri e questo purtroppo si verifica in quanto il nostro sistema è ancora “medicocentrico”: tutti i sistemi sanitari moderni ormai stanno gradualmente "de-medicalizzando" la sanità.

Nel nostro SSN i medici invece fanno spessissimo delle cose che non c'è alcun bisogno che siano fatte da loro. Ad esempio, posso dire che negli ambulatori della pediatria di base non meno del 35% di quello che fa il pediatra potrebbe essere fatto, legalmente, con la stessa efficacia e lo stesso livello di competenza da un infermiere.

Spero che la "partita" delle competenze ci indirizzi ad uno sguardo futuro di più ampio respiro anche da questo punto di vista.

A coloro che invece, come me, lavorano da tanti anni, mi viene da dire che non esiste un'età limite per studiare ed aggiornarsi; noi infermieri della vecchia guardia siamo spesso brontoloni e disillusi e invece dovremmo impegnarci almeno a non ostacolare i più giovani, entusiasti e con idee nuove.

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