Alcune pubblicazioni hanno sottolineato come esista una “sovra-diagnosi” di infezione da Clostridioides difficile (C. difficile), cioè si identificano come casi di infezione pazienti che in realtà sono solo colonizzati. Questa condizione è correlata sia all’esecuzione del test colturale quando non indicato che alla difficile interpretazione dei risultati dei test diagnostici dopo l’introduzione del test in PCR. La sovra-diagnosi comporta inevitabilmente sia maggior giornate di degenza che consumo di antibiotici, misure di isolamento non necessarie e l’aumento di pazienti colonizzati da germi multiresistenti. L'abuso di antibiotici altera il microbiota intestinale, creando un ambiente favorevole per la futura infezione da C. difficile. L’infermiere attraverso l’utilizzo di algoritmi specifici può contribuire alla riduzione di prelievi inappropriati.
Ridurre i test inappropriati per la ricerca di Clostridioides difficile
Attualmente, non esiste un unico test per la diagnosi di infezione da Clostridioides difficile (CDI) sufficientemente conveniente da essere utilizzato nella diagnosi rapida della malattia, ma vengono eseguiti più test e di conseguenza è necessaria l’interpretazione dei risultati.
Il primo test è quello di immuno-assorbente enzimatico (ELISA) per la ricerca dell'antigene comune (glutammato deidrogenasi – GDH) comunemente noto come test per la ricerca dell’antigene. Questo test utilizza degli anticorpi per verificare la presenza dell’enzima GDH, una proteina presente in tutti i batteri C. difficile.
È un eccellente test di screening, perché ha una sensibilità superiore al 90%, un tempo di risposta rapido (15-45 minuti) ed è poco costoso. Tuttavia, questo test non valuta la produzione di tossine e, poiché il GDH è presente in tutte le cellule batteriche, non è nemmeno in grado di distinguere tra ceppi tossigeni e non tossigeni dei batteri, quindi la sua specificità per la malattia attiva è scarsa, ma è utile per indagare solo campioni che presentano l’antigene ed escludere i campioni negativi dall’esecuzione di ulteriori test.
Al campione positivo per la ricerca dell’antigene segue il test per la ricerca delle tossine. Utilizzando la stessa tecnica del test dell’antigene, questo test utilizza gli anticorpi per rilevare la presenza della tossina A e della tossina B responsabile delle manifestazioni cliniche.
I ceppi di C. difficile di interesse clinico sono quelli produttori di due potenti tossine: la tossina A e la Tossina B. La tossina A è una enterotossina con lieve attività citotossica. Può provocare un iniziale danneggiamento ai villi intestinali, distruggendo gli orletti a spazzola della membrana fino ad una infiammazione ed un danno alla mucosa intestinale che può arrivare fino alla sua erosione. La tossina B è una delle più potenti citotossine conosciute. Ha un effetto citotossico 100 volte più potente della tossina A. I principali effetti sono la perdita di potassio intracellulare e l’inibizione della sintesi proteica e degli acidi nucleici.
I ceppi non produttori di tossine non sono patogeni. La specificità di questo test è quasi perfetta ed è quindi un test eccellente per confermare la malattia. Come il test per la ricerca dell’antigene può essere eseguito rapidamente ed è poco costoso. La principale criticità rispetto a questo tipo di test è la bassa sensibilità (75%), che si traduce in un alto tasso di falsi negativi.
Per risolvere questa criticità si esegue quindi un ulteriore test, quello della reazione a catena della polimerasi o PCR per ricerca la presenza di organismi tossigeni di C.difficile. La reazione a catena della polimerasi (PCR) è una tecnica di laboratorio altamente sensibile che realizza una amplificazione di una specifica sequenza di DNA milioni di volte in poche ore. La PCR di C. difficile è progettata per amplificare 2 diversi geni specifici per i ceppi tossigeni di C difficile: tcdB - che codifica per la tossina B - e tcdC, che codifica per un percorso di regolazione della tossina. I batteri C. difficile che non producono tossina non portano questo gene, quindi è specifico per i ceppi tossigeni di C difficile. Questo test è altamente sensibile e specifico, sembrerebbe il test ideale e quindi la domanda da porsi è perché non venga utilizzato da solo questo test.
Innanzitutto, perché è relativamente costoso. Data la frequenza con cui viene testato il C. difficile, il test ELISA per la ricerca dei microrganismi produttori di tossina è lo screening più conveniente. Il principale difetto di questo test è che identifica i ceppi tossigeni da quelli non tossigeni, ma non rileva la produzione di tossine attive e quindi un risultato positivo può essere rilevato anche in un paziente ormai asintomatico che presenta episodi diarroici correlati ad altre cause.
Inoltre, nei pazienti che hanno avuto l’infezione da C. difficile e hanno completato un adeguato ciclo di terapia antibiotica, la PCR rimane spesso positiva, quindi è un test che risulta difficile da interpretare nei pazienti che hanno avuto in passato l’infezione.
Proprio perché ogni test presenta sensibilità e specificità diverse la maggior parte dei laboratori combina più test insieme, ma diviene necessario che venga prelevato il campione ad un paziente che presenta una specifica storia clinica.
Tipo di test | Sensibilità | Specificità | Tempo di risultato | Commento |
ELISA per ricerca antigene | Alta | Bassa | Rapido | Non è possibile distinguere tra ceppi tossigeni e non tossigeni |
ELISA per le tossine | Bassa | Alta | Rapido | Facile da eseguire, scarsa sensibilità |
PCR per la ricerca dei geni tossigeni | Alta | Alta | Rapido | Non è possibile distingue tra infezione attiva e portatore asintomatico; più costoso del test ELISA per la ricerca delle tossine |
Le linee guida internazionali indicano nella scala di Bristol lo strumento da utilizzare per monitorare la caratteristica delle feci e decidere quando prelevare un campione di feci. Il campione si ritiene idoneo quando le caratteristiche delle feci presentano un valore della scala di Bristol compreso tra 5-7 accompagnato da aumento della frequenza delle scariche nelle 24 ore.
Solo il 30 % delle diarree ospedaliere sono correlate al C. difficile, quindi di fronte ad un test per la ricerca della tossine negativo e una PCR positiva in un paziente che presenta diarrea si corre il rischio se, non ben inquadrata l’origine della diarrea, di somministrare antibiotici in pazienti colonizzati da C.difficile.
C. difficile - Guida alla decisione
Questa scheda deve essere compilata ed allegata al campione da inviare in laboratorio. Dovrebbero essere mandati solo campioni di diarrea clinicamente significativi; campioni di feci formate non verranno processati.
Domande | Risposte | Razionale |
Il paziente ha avuto feci non formate per un periodo prolungato di tempo? |
Sì NO |
Esempio più comune ≥ 3 scariche nelle 24 ore. Se meno frequenti, NON inviare campione |
Il paziente ha ricevuto lassativi, clisteri supposte od altri preparati che possano aver aumentato la motilità intestinale nelle ultime 48 ore? |
Sì NO |
Lassativi ed altri farmaci sono una causa comune di diarrea. In questo caso, il campione NON deve essere inviato ed è raccomandato la rivalutazione a 48 ore della terapia |
Nelle ultime 48 ore ha iniziato o variato la nutrizione enterale? |
Sì NO |
La nutrizione enterale è causa frequente di diarrea. In questo caso, il campione NON deve essere inviato |
Ci sono stati altri cambiamenti nelle condizioni del paziente (in aggiunta alla diarrea), quali febbre, crampi addominali, leucocitosi senza causa apparente? |
Sì NO |
C. difficile è una sindrome caratterizzata da diarrea, crampi e possibilmente febbre. Se non c’è alcun cambiamento clinico, il campione NON deve essere inviato |
Sta prelevando un campione per verificare l’efficacia del trattamento terapeutico di un paziente che ha avuto un’infezione da C. difficile durante questo ricovero? |
Sì NO |
Ripetere il test non è consigliato, così il campione NON deve essere inviato |
Firma e data |
*Per il contributo alla traduzione: Manuela Padma Jayakody
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