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Transitional care, la sfida per il futuro della sanità italiana

di Chiara Sabati

Transitional care è un’espressione non facile da tradurre in italiano, soprattutto per un uso corrente; si potrebbe rendere con cure traslocazionali o cure della fase di trasferimento da un setting a un altro. Ne fanno parte quell’insieme di azioni concepite per assicurare il coordinamento e la continuità di cura, quando i pazienti vengono trasferiti o da una struttura a un’altra o da un livello di intensità di cura a un altro.

Continuità di cura, in Italia mancano progetti strutturati

Il tema è diventato oggetto di attenzione da parte della ricerca, in particolare gerontologica, in quanto si è da più parti osservato che alla continuità assistenziale, intesa come individuazione di un percorso completo senza interruzioni, spesso non si accompagna anche una continuità di cura, intesa invece come sviluppo del percorso diagnostico- terapeutico, secondo elementi di coerenza tra una fase e l’altra. Da questo punto di vista la sola lettera di dimissione non può essere sufficiente nei casi più complessi e occorre sviluppare ulteriori fattori di trasferimento delle informazioni al momento della traslocazione.

Anche se i sistemi sanitari dovrebbero aver rimosso la centralità dell’ospedale, purtroppo, di fatto non è così e la compressione dei posti ospedalieri cui assistiamo in Italia dal 1980 al 2000 è superiore al 50%, a questo si aggiunge la riduzione dei giorni di degenza di quasi il 45% e la riduzione della degenza media del 40%, in maniera tale che il presidio ospedaliero sia quasi esclusivamente dedicato all’acuzie e alla diagnostica d’urgenza. I nuovi tagli alla sanità della spending review a fine 2013 hanno portato i posti ospedalieri al 3,7 per mille, dove il 3% sono posti per acuti e lo 0,7 posti dedicati alla riabilitazione e alla lungodegenza. Il forte invecchiamento della popolazione e una diversa distribuzione dei nuclei familiari, dove la famiglia mononucleare insiste per oltre il 30%, richiede che si ponga forte attenzione ai problemi della lungo assistenza. L’urgenza delle dimissioni ospedaliere, la scarsa capacità del territorio di sostenere una domiciliazione del paziente hanno portato a individuare soluzioni intermedie all’ospedale per acuti con definizioni che indicano la peculiarità di questo tipo di cure, definite con termini anglosassoni, intermediate care o transitional care, ovvero: Gamma di servizi integrati finalizzati a promuovere un più rapido recupero della malattia, prevenire ricoveri ospedalieri non necessari, supportare le dimissioni dall’ospedale nei tempi giusti, ottimizzare l’autosufficienza e l’indipendenza nella quotidianità di vita. Questa è la definizione adottata dalla British Geriatric Society nel 2002.

Di fatto, il transitional care è l’insieme delle azioni volte a garantire il coordinamento e la continuità delle cure ricevute dal paziente trasferito al proprio domicilio o durante il trasferimento ad altri livelli di cura (Parry et al., 2008). Un’altra definizione viene data da Randmaa e rispettivi collaboratori (Randmaa et al., 2014), essi affermano che per transitional care applicato all’infermieristica si intende il ruolo dell’infermiere specializzato, e quindi adeguatamente formato, nella transazione/continuità delle cure da un contesto di cura (ambulatoriali di base, specialistiche ospedaliere, assistenza primaria, assistenza a lungo degenza, riabilitazione e assistenza domiciliare) a un altro. Ognuno di questi spostamenti, da una specialità ad altra o al domicilio è definito transazione di cura.

Una rete strutturata di cure intermedie e domiciliari che sostengano paziente e familiari potrà ridurre il numero di re-ricoveri

Il transitional care nasce per fornire supporto allo staff ospedaliero coinvolto nel processo di dimissione diminuendo di fatto le riammissioni negli ospedali, garantire la continuità assistenziale e, più in generale, per l’educazione dei pazienti alla sicurezza nella continuità della cura (Kangovi e Grande, 2014). Troppo spesso, questi ricoveri ospedalieri, sono il prodotto di un sistema sanitario frammentato (Hitch et al., 2016).

La mancanza di un sistema che garantisca la continuità delle cure mediche e infermieristiche, a pazienti dimessi dall’ospedale al proprio domicilio, oppure verso altre specialità di cure, ha causato errori terapeutici nel 50,8% dei pazienti generando a sua volta una frammentazione delle cure stesse. Nel 22,9% dei casi questi errori sono stati gravi. Inoltre, il 30,3% di questi pazienti ha riportato un evento avverso da farmaco (Kripalani et al., 2012).

Nonostante in Italia si parli di transitional care dai primi anni ‘90, non esistono ancora progetti strutturati sul territorio che garantiscano al paziente dimesso una continuità di cura, una sfida questa che deve essere colta dal sistema sanitario nazionale il prima possibile vista la riduzione di posti letto e i ricoveri sempre più brevi. Una rete strutturata di cure intermedie e domiciliari che sostengano paziente e familiari potrà ridurre, come testimoniano numerosi studi, il numero di re-ricoveri e potrà favorire il miglioramento e l’implementazione delle cure domiciliari con un sempre maggior empowerment dei caregivers e dei pazienti stessi, favorendo così anche un abbattimento dei costi sanitari.

La creazione di una cartella sanitaria integrata informatizzata gestita da un’équipe multidisciplinare, che segua il paziente dall’ambito ospedaliero a quello domiciliare, potrà migliorare la transizione delle cure e ridurre problemi quali errori terapeutici e diminuire la riammissione in ospedale.

L’attività ospedaliera necessita di una forte integrazione organizzativa con l’assistenza territoriale che sviluppi connessioni e modalità di relazione a ponte, in un’ottica di continuità delle cure: con questi presupposti la riconversione di parte della rete ospedaliera in rete di assistenza primaria si presenta come un processo di implementazione innovativo, ma complesso, che necessita di una metodologia rigorosa.

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