Professioni sanitarie: il campo specifico d’azione
L’attività prevalente delle professioni sanitarie oggi, non è più rappresentata solo da azioni delegate e/o affidate da altri professionisti (la professione medica); alle professioni sanitarie viene richiesto di prendersi carico di attività di analisi, di decisione, d’attuazione, di valutazione in ambiti complessi, di relazione diretta e di garanzia dell’assistito.
In sintesi, essere in grado di determinare una “misurabile” differenza rispetto al risultato del processo di cura integrato (multidisciplinare) rivolto ad un cittadino. Oggi c’è bisogno di rendere esplicito il valore aggiunto della propria competenza attraverso la definizione di un proprio campo specifico d’azione integrato con le altre discipline.
L’attuale assetto organizzativo non è più in grado di garantire la realizzazione di questi nuovi elementi che caratterizzano l’attività delle nuove professioni sanitarie, dell’Infermiere, del tecnico, del fisioterapista, dell’ostetrica, ecc. ed è per questo motivo che vi è una impellente necessità di cambiamento del contenuto dei processi e dei meccanismi di coordinamento.
Come abbiamo visto, le professioni sanitarie di nuova istituzione hanno rafforzato la propria posizione organizzativa all’interno del Sistema Sanitario Italiano conquistando un pieno e definitivo riconoscimento di “professione sanitaria”. La competenza tecnica esclusiva è però, di fatto, ancora fortemente limitata nella dimensione operativa. Come mai non si riescono a rendere operative le norme e le conoscenze scientifiche? Diverse sono le ipotesi di risposta a questo quesito, ma il più ricorrente e condiviso sembrerebbe essere dato dalla velocità di sviluppo professionale.
Quando delle professioni, per fatti contingenti, riescono a guadagnare posizioni in merito alla società di riconoscimento, di utilità sociale e di autonomia operativa troppo rapidamente, si assiste ad uno scollamento tra la base operativa (il professionista) e le norme. Questa situazione si genera per un fatto culturale e d’identità professionale. Il soggetto non si riconosce nel profilo descritto da un documento astratto e riconosce maggiormente il modello reale, anche se lo stesso appartiene a una visione di quel professionista che apparentemente viene superata dai documenti pubblicati.
Per sostenere nuove identità professionali ci vogliono tempo ed evoluzione culturale
Se io dico ad un infermiere strumentista che la sua attività, come tecnico, non potrà mai raggiungere reali livelli di autonomia professionale, ma bensì al massimo livelli di autonomia limitata, dipendenti sempre da un’altra professione, egli tenderà a non condividere il mio punto di vista anche se quanto affermato è corretto ed indiscutibile.
Essere professionista, in sintesi, vuol dire che la disciplina che rappresenti, che conosci e che puoi esercitare, è in grado di risolvere specifici problemi attraverso l’impiego di azioni coordinate tra loro. L’identificazione, il progetto di risoluzione e l’esecuzione degli interventi dipendono integralmente dal processo decisionale di quella disciplina che volendo, per alcune sue fasi, si può anche avvalere di collaboratori al quale affidare parte del processo.
La definizione generica di professionista, quale “persona molto esperta in qualcosa, che viene retribuita per le proprie prestazioni e non si dedica ad altra attività” non ci consente di comprendere appieno la reale complessità di questa definizione.
Essere professionista presuppone l’avere intrapreso un percorso evolutivo composto da più caratteristiche, che sommate tra loro consentono ad una professione e poi ad un soggetto di acquisire una “specifica competenza” rispetto ad un’attività. Questo termine, tuttavia, viene spesso utilizzato impropriamente.
Greenwood considera una professione come un gruppo organizzato avente continui interscambi con la società che forma la sua matrice, un gruppo che compie la sua funzione sociale attraverso una rete di relazioni formali ed informali indicando degli attributi distintivi, quali:
- teoria sistematica;
- autorità professionale;
- sanzioni della comunità;
- codice etico;
- cultura professionale.
Sempre lo stesso autore sottolinea cha la differenza tra un’occupazione professionale ed una non professionale non è di carattere quantitativo, ma qualitativo. È pur vero che gli attributi sopraesposti non sono patrimonio esclusivo dei professionisti; anche le attività non professionali posseggono queste caratteristiche, ma in misura minore.
Come indicato da Greenwood, gli attributi si acquisiscono attraverso un processo di professionalizzazione che prevede, nel tempo, l’acquisizione di queste caratteristiche; alcune di queste sono state conquistate da pochissimo tempo dalle professioni sanitarie menzionate e per questo devono essere ancora consolidate in un arco temporale che si esprime in dimensione “generazionale”.
L’iter formativo - più o meno lungo - quasi sempre svolto in ambito accademico è uno di questi, come del resto lo stesso riconoscimento sociale, che, pur se in costante sviluppo, non ha ancora raggiunto i livelli desiderati in quanto gli stereotipi e le categorizzazioni rispetto al passato sono le variabili più difficili da modificare, soprattutto fra gli stessi professionisti.
Le norme che regolamentano l’esercizio ad oggi ci garantiscono - almeno in linea teorica - la possibilità potenziale di espandere e consolidare il nostro ruolo e non credo di esagerare affermando che molto dipenderà da noi stessi.
È rincuorante la forte e ricca esistenza di associazioni scientifiche di categoria, che rappresentano il cuore pulsante di una professione, la fucina per lo studio e l’applicazione di nuovi approcci, di nuovi strumenti e la condivisione di nuovi standard assistenziali.
Henry Mintzberg, nel suo testo, “La progettazione dell’organizzazione aziendale”, affronta, attraverso l’analisi delle configurazioni organizzative, lo studio e la ricerca del modello organizzativo sanitario identificando una specifica configurazione denominata “burocrazia professionale”.
In questa struttura organizzativa “il nucleo operativo” è costituito dai professionisti, ovvero da coloro che erogano la prestazione e che hanno una relazione diretta con l’utente. Mintzberg, con ragione, dice che nella burocrazia professionale il nucleo operativo riveste la parte più importante dell’organizzazione in quanto i professionisti sono coloro che erogano la prestazione e quindi rappresentano il vero “valore aggiunto” della struttura.
Questa affermazione è molto evidente in quanto un amministratore di una struttura sanitaria sa perfettamente che per realizzare un buon ospedale non bastano strutture moderne e presidi idonei (per avere quello bastano le risorse economiche), ma la vera differenza sta nei professionisti i quali devono poter esprimere le loro potenzialità all’interno della struttura stessa.
È ormai noto che nelle motivazioni e nelle scelte del personale i benefit non sono rappresentati solo dall’aspetto economico (che non si intende sminuire nella sua importanza), ma anche da altre variabili come, ad esempio, la possibilità di intraprendere nuove metodologie o di poter partecipare a congressi o a gruppi di lavoro scientifici, ecc. (per avere questo bisogna creare adeguati modelli organizzativi, non bastano solo i “soldi”).
I professionisti sono fortemente motivati ad intraprendere progetti di ricerca e sviluppo nell’ambito dell’organizzazione che siano in grado di evidenziare il loro ruolo attraverso “azioni” capaci di rendere maggiormente visibili le loro “competenze”.
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