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Management

Coordinamento e dirigenza nell'evoluzione della professione

di Bruno Cavaliere

Come affrontare la complessità assistenziale?

Per affrontare la complessità e la relativa capacità decisionale per risolvere i differenti problemi ritengo che si possa fare riferimento all’impiego dei principi dell’intelligenza collettiva e dei comportamenti emergenti.

Il concetto di intelligenza collettiva può essere studiato come esempio particolare di manifestazione di comportamento emergente che ha luogo nei sistemi dinamici non lineari (come ad esempio gli stormi di uccelli, lo sciamare dell’ape regina con il suo nuovo alveare o i sistemi frattali). In sistemi di questo genere le parti atomiche che rappresentano gli elementi primitivi e costitutivi dell'insieme, prese a sé stanti, possiedono proprietà e funzionalità che le contraddistinguono in maniera univoca e lineare. Nel momento in cui un numero elevato di questi elementi primitivi si aggregano in modo tale da formare un sistema e raggiungono una soglia critica, per effetto delle relazioni che si stabiliscono fra di essi, cominciano a manifestarsi nell'aggregato complessivo delle proprietà e dei comportamenti spesso di tipo non lineare, di cui non si aveva traccia negli elementi atomici e che denotano quindi il cosiddetto comportamento emergente.

Si ha un comportamento emergente, quindi, ogni qualvolta uno schema o una configurazione di alto livello si origina a partire dalle migliaia di interazioni semplici che avvengono tra agenti locali. L'emergenza, in tal modo, è una proprietà che non può essere ritrovata nelle componenti individuali di un sistema, in quanto si genera esclusivamente grazie all'interazione delle sue parti.

Secondo questa prospettiva, dunque, la complessità di un sistema emerge dall'interazione delle parti che lo compongono. Un primo esempio di sviluppo e auto-organizzazione lo ritroviamo nel Gioco della vita o A-Life sviluppato dal matematico inglese John Horton Conway sul finire degli anni sessanta: una simulazione che mostra come schemi complessi possono emergere dall'implementazione di regole molto semplici.

Steven Johnson parla di sistemi emergenti considerando i meccanismi di auto-organizzazione bottom-up, ovvero dal basso verso l'alto, ponendo l'attenzione sulle connessioni.  Presi singolarmente, una formica o un neurone non sono particolarmente intelligenti. Tuttavia se un numero abbastanza elevato di elementi così semplici interagisce e si auto-organizza, può attivarsi un comportamento collettivo unitario, complesso e intelligente, definito anche swarm intelligence. Se questo comportamento ha anche un valore adattativo, ci troviamo di fronte ad un fenomeno emergente, come una colonia di formiche o il nostro cervello.

Steven Johnson fa l'esempio delle colonie di formiche studiate da Deborah Gordon, le quali presentano alcuni dei comportamenti tipici dei sistemi bottom-up. Le formiche, cioè, non possiedono veri e propri capi e la stessa idea di formica regina è fuorviante: esse seguono piuttosto la logica di sciame.

Johnson ha indicato cinque principi alla base della formazione della macrointelligenza:

  • la quantità, nella quale si disperde l'errore e avviene il massimo della cooperazione;
  • l'ignoranza individuale, che mantiene in equilibrio il sistema;
  • gli incontri casuali, che rendono il sistema dinamico quanto basta;
  • le configurazioni dei segnali;
  • l'osservazione dei vicini.

Secondo lo studioso americano Howard Bloom, qualsiasi sistema mostri un comportamento intelligente - dalle colonie batteriche alle società umane - può essere spiegato nei termini sia di sistema complesso adattivo generato dal computer che algoritmo genetico, due concetti elaborati dallo studioso John Henry Holland.

Nell'ambito dell'intelligenza artificiale e della robotica, il concetto di swarm intelligence – una intelligenza emergente collettiva di un gruppo di agenti semplici – ha offerto un modo alternativo di progettare i sistemi “intelligenti”, nei quali l'autonomia, l'emergenza e le funzioni distribuite sostituiscono il controllo, la programmazione e la centralizzazione.

L'intelligenza collettiva può essere interpretata, alla luce di queste riflessioni, come appunto un aggregato sistematico di intelligenze individuali, le cui relazioni reciproche e la cui collaborazione producono effetti massivi a livello culturale, sociologico, politico e antropologico di tipo emergente e difficili da studiare con i criteri applicati sui singoli individui che ne fanno parte.

Nel suo libro del 1995, Out of Control, Kevin Kelly sostiene che macchine artificiali e sistemi sociali stanno raggiungendo un livello di complessità tale che a breve non saranno più distinguibili da apparati biologici. Kelly riconosce che quest'ultimi sono stati finora la tecnologia esistente più complessa: le invenzioni umane si sono infatti potute evolvere copiando le strutture esistenti in natura. Kelly, a tal proposito, parla di una sorta di mente globale che emerge da una integrazione tecno-culturale di rete.

Oltre al pensiero emergente, che nasce da una intelligenza collettiva, si deve sottolineare la possibilità che tra molteplici individui ve ne siano alcuni con particolari caratteristiche capaci di essere “visionari” e quindi facilitatori del cambiamento.

I visionari in questo senso sono coloro che hanno la capacità di immaginare cose non rispondenti alla realtà, ma che potrebbero diventarlo. Insomma sono coloro che hanno in loro la capacità di immaginare una possibile soluzione futura che i più non riescono neanche a vedere né tantomeno a comprendere. In sintesi sono coloro che, grazie alla loro intuizione, riescono a fare evolvere il processo attraverso nuove regole di sistema. Gli esempi si perdono nelle moltitudini delle scoperte scientifiche.

In sanità sono gli approcci innovativi della chirurgia endoscopica, delle tecnologie diagnostiche negli approcci concettuali delle relazioni nello stravolgimento dei sistemi di comunicazione e documentazione, ecc. Il visionario è colui che riesce a vedere una nuova via, ne immagina il percorso o lo riesce a comunicare come se esso fosse già reale.

In un certo senso anche i setting assistenziali potrebbero essere territorio dei visionari, che con le loro capacità potrebbero aiutare i professionisti a realizzare nuovi livelli di cura mediante strumenti semplici e di forte impatto scientifico e di garanzia di esito.

Oggi, l’organizzazione dei servizi sanitari moderni, efficaci, efficienti ed etici, tende ad essere fortemente orientata ai risultati sia dal punto di vista del percepito (da parte dell’assistito) che dal punto di vista disciplinare (da parte dei professionisti ).

L’aspetto etico ha consentito di affrontare il tema del rischio clinico ponendo fortemente il quesito della sicurezza come requisito fondamentale dell’efficacia della prestazione. Per rendere sicure le cure si possono attivare numerosi sistemi, impiegare numerosi strumenti, ma è provato indiscutibilmente che il vero cambiamento lo si attua attraverso la gestione dei processi operativi ovvero il “chi fa”, “che cosa” , “con chi” , “come” e “per chi”.

Per realizzare queste rivoluzioni in ambito sanitario e con differenti professionisti, di differenti discipline e quindi in un ambito estremamente complesso, bisogna “standardizzare” i processi mediante regole scientifiche riconosciute internazionalmente. Notevoli risultati si possono realizzare mediante la realizzazione di Disease Management Team (D.M.T.).

I D.M.T. realizzano i Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (P.D.T.A.) che consentono di tracciare il miglior percorso di cura e di assistenza possibile per un determinato problema di salute insieme a un gruppo di professionisti all’interno di una specifica organizzazione nel rispetto delle evidenze scientifiche internazionali. Vengono quindi indicate le soglie minime di rischio, attesa, organizzazione ed altro.

Le professioni sanitarie devono iniziare a proporre setting di buone pratiche, che devono essere garantite agli assistiti. L’infermieristica, proprio come l’assistenza medica, ha regole di buone pratiche che non possono essere tralasciate e, anzi, devono essere sempre rispettate.

Per realizzare questo tipo di risultato si può proporre un sistema abbastanza semplice che si basa su principi scientifici per i contenuti, utilizza l’Information and technology communication (I.C.T.) per la sua gestione ed è in grado di tracciare tutti i passaggi per la sicurezza del processo.

Lo strumento dei dizionari delle attività è fondamentale per potere realizzare i modelli di pianificazione, che sono appunto lo strumento che viene proposto per realizzare il P.D.T.A. che si andrà ad integrare con quelli proposti dalle altre discipline.

I modelli di pianificazione rappresentano la standardizzazione di piani di assistenza tradizionali assegnabili a molti assistiti. Questi strumenti definiscono attività cruciali e ampiamente validate che potranno essere prescritte ad un singolo assistito. Pensate, si potranno organizzare dei gruppi di lavoro ad hoc che predisporranno modelli di pianificazione, dei P.D.T.A. che siano rispettosi delle indicazioni del modello assistenziale scelto e quindi della tassonomia assunta (N.A.N.D.A.; I.C.N.P., ecc.).

Con questo strumento tutti i professionisti in poco tempo potranno realizzare pianificazioni assistenziali con un adeguato supporto anche operativo, certificato e validato. Quest’ultimo elemento conclude la parte di classificazione del sistema delle cure e consente di procedere alla fase d’implementazione della pianificazione ed esecuzione. Per ulteriori precisazioni si rimanda alla metodologia degli indici di complessità assistenziale (I.C.A.) e alla relativa piattaforma informatizzata denominata ICAcode©.

Riepilogando i concetti fondamentali che in questa relazione sono stati sottolineati, si può dire che senza una forte identità professionale non si può avere un team capace di confrontarsi con le altre professioni e capace di incidere strategicamente nei processi di cura.

I dirigenti e i coordinatori per garantire un adeguato sviluppo di best practice devono quindi cercare di: sviluppare una chiara identità professionale, progettare modelli organizzativi capaci di proporre opportunità di espressione e, quindi, favorire le «intelligenze emergenti», condividere e sostenere un linguaggio comune, diffondere ed attuare best practice per la cura degli assistiti, avere sensibilità e dare sostegno ai «visionari».

Inoltre è auspicabile che i dirigenti e i coordinatori progettino ed attuino modelli organizzativi basati sulla presa in carico e sulla relazione empatica e condividere sistemi di audit sensibili alle cure infermieristiche capaci di agire una governance degli esiti sugli Assistiti.

I “segni” dell’agire sono come impronte che segnano lo scorrere del tempo, solo alcune hanno la forza di resistere e trasformarsi in “simboli” capaci di indicare una nuova via.

Io non vi auguro una “meta” sicura, ma un avventuroso viaggio da potere vivere per raggiungerla.

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Editorialista
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