Uno dei principi cardine della valutazione del paziente critico è quello di stabilire se sia cosciente o meno. Ma cosa succederebbe se il paziente tornasse cosciente durante la rianimazione cardiopolmonare, ma con un ritmo sottostante non compatibile con polso? Si tratta di un’evenienza rara, ma non per questo non degna di attenzione.
La coscienza indotta dalla RCP: i case report
Nel corso degli ultimi anni gli avanzamenti metodologici e tecnologici in termini di rianimazione cardiopolmonare sono stati notevoli: dall’adeguamento delle linee guida sino ad arrivare all’utilizzo dei massaggiatori automatici. E proprio nel corso degli ultimi anni in letteratura sono emerse sempre più segnalazioni di comportamenti simili alla vita in pazienti senza polso sottoposti a compressioni toraciche esterne. Diversi case report, difatti, hanno segnalato pazienti in arresto cardiaco che erano in grado di respirare, parlare, eseguire comandi e compiere movimenti mirati durante la rianimazione.
Nel tentativo di spiegare meglio questo fenomeno, Olaussen et al. (2015) hanno definito la coscienza indotta dalla RCP (CPRIC) come una manifestazione di almeno uno dei seguenti comportamenti in pazienti senza polso sottoposti a RCP attiva:
- apertura spontanea degli occhi
- tono della mascella
- linguaggio o movimento del corpo
Senza tralasciare il fatto che, fisiologicamente, questo fenomeno non è ancora del tutto spiegato, il comportamento incoerente con l’arresto cardiaco nei pazienti senza polso crea una situazione difficile per il personale sanitario. Il ritorno della respirazione spontanea, dell’attività motoria, della consapevolezza, della coscienza e della percezione del dolore nel contesto dell’arresto cardiaco rendono più difficile il ripristino della circolazione spontanea poiché il paziente può resistere attivamente alle compressioni toraciche e scollegare i device in uso per la gestione delle vie aeree.
Dal punto di vista del paziente, inoltre, la coscienza, la consapevolezza e il dolore rendono traumatici gli sforzi di rianimazione e introducono un nuovo potenziale di danno psicologico. I sopravvissuti a un arresto cardiaco senza CPRIC hanno riportato diversi gradi di conseguenze psicologiche a seguito di una rianimazione riuscita in passato. Queste esperienze sono spesso raggruppate insieme e descritte come esperienze di pre-morte (NDE), ovvero, come definito da Greyson et al. (2003), “un evento psicologico profondo con elementi trascendentali e mistici dopo una crisi pericolosa per la vita”. La consapevolezza e il ricordo di eventi di rianimazione sono temi rari tra le segnalazioni di NDE in pazienti senza CPRIC; tuttavia, è possibile che i pazienti con CPRIC possano elaborare l’esperienza della rianimazione in modo simile. È altrettanto possibile che i pazienti con CPRIC abbiano un’esperienza psicologica unica di rianimazione, ma sarebbero necessari più studi che pongano specificamente questa domanda.
Attualmente non sono presenti in letteratura linee guida standardizzate per questi comportamenti e i team di rianimazione talvolta devono prendere autonomamente decisioni rispetto a contenzioni, analgesia e sedazione basandosi solamente sul proprio giudizio. Alla luce di ciò, Pourmand et al. (2019) hanno condotto una revisione della letteratura che ha indagato sia il punto di vista dei soccorritori sia dei pazienti, cercando di stabilire temi e condizioni unificanti che potrebbero dirigere gli sforzi di ricerca futuri e apportare maggiore conoscenza al dibattito in tema.
La prospettiva dei pazienti
In una revisione sistematica con meta-analisi, Haydon et al. (2017) hanno esaminato la qualità della vita dopo la RCP e ha scoperto cinque temi qualitativi nei sopravvissuti all’arresto cardiaco. Questi temi includevano una moltitudine di sentimenti contrastanti, interruzione nel continuum del tempo, nuova realtà e sfide psicologiche, cambiamento del corpo con nuove limitazioni e confronto con la morte.
Un’altra revisione sistematica ha valutato la funzione cognitiva dopo un arresto cardiaco extraospedaliero e la rispettiva rianimazione. Mouler et al. (2009) hanno scoperto che esiste un’ampia gamma (6-100%) in termini di prevalenza di disfunzione cognitiva in questi pazienti. Il deterioramento della memoria era la forma più comune di disfunzione cognitiva segnalata, sebbene fossero degni di nota anche i deficit nell’attenzione e nel funzionamento esecutivo.
La qualità della vita e gli esiti per i sopravvissuti all’arresto cardiaco sono stati nuovamente valutati nell’ambito di una revisione della letteratura condotta da Haydon et al. (2017), i quali hanno concluso che i sopravvissuti ad arresti cardiaci affrontano per lo più una qualità di vita accettabile. Nella loro revisione, hanno notato anche che alcuni sopravvissuti sperimentano ansia, depressione, disturbo da stress post-traumatico e deficit cognitivi.
In una revisione di 2060 casi di arresto cardiaco, Parnia et al. (2014) hanno intervistato 101 sopravvissuti sull’esperienza di arresto cardiaco e rianimazione. Nel 46% dei pazienti sono stati riportati ricordi con temi generali relativi a paura, animali, piante, luce intensa, violenza, déjà vu e famiglia, nonché ricordi di eventi dopo l’arresto cardiaco. Un piccolo gruppo di pazienti (9%) ha raccontato una NDE. Un paziente ha avuto un periodo di consapevolezza cosciente che è stato ritenuto accurato.
Una precedente revisione di Parnia et al. (2007) ha concluso che i pazienti che sopravvivono all’arresto cardiaco possono avere un certo livello di cognizione che si verifica al momento dell’arresto e durante la rianimazione e che un numero selezionato di questi pazienti è in grado di ricordare correttamente gli eventi della rianimazione durante i periodi di CPRIC. Gli autori hanno suggerito che la NDE possa agire come un meccanismo di protezione psicologica.
In una revisione di French et al. (2005) l’incidenza di NDE tra i sopravvissuti all’arresto cardiaco è risultata variabile. Sebbene l’incidenza riportata sia compresa tra il 6,3% e il 23% dei sopravvissuti all’arresto cardiaco, gli autori concludono che la vera incidenza di NDE è probabilmente compresa tra il 10% e il 12% dei sopravvissuti. Questo articolo ha esaminato diverse teorie - spirituali, psicologiche e organiche relative alla NDE, oltre a esaminare specificamente le NDE nei sopravvissuti all’arresto cardiaco. In questa revisione sono stati inclusi 4 studi prospettici sulla NDE nei sopravvissuti ad arresto cardiaco, i quali hanno mostrato che i pazienti che avevano avuto il loro primo infarto del miocardio così come i pazienti di età pari o inferiore a 60 anni avevano maggiori probabilità di riconoscere di avere una NDE, mentre i pazienti con disfunzione della memoria dopo la rianimazione avevano meno probabilità di riportare NDE. Inoltre, un numero maggiore di pazienti che hanno riportato una NDE è morto entro 30 giorni da un evento cardiaco, mentre per i sopravvissuti ad un arresto cardiaco con NDE possono sperimentare sequele psicologiche di lunga durata.
Un protocollo di trattamento per la CPRIC
A causa di queste esperienze e dell’impatto della NDE e potenzialmente della CPRIC, le linee guida suggeriscono come in questo caso i pazienti dovrebbero essere sedati. Nel merito, le uniche linee guida identificate sono le linee guida nazionali olandesi e il protocollo dello Stato del Nebraska. In particolare, le linee guida olandesi raccomandano l’uso di fentanil e midazolam mentre il Nebraska Model Protocol opta per l’uso di ketamina e midazolam, prima come bolo e successivamente seguito da un’infusione continua.
Dato che ogni servizio di soccorso extraospedaliero può differire nei protocolli terapeutici, le future linee guida dovranno considerare il fatto che i soccorritori possano avere o meno a disposizione a farmaci specifici, nonché la necessità di fornire a questi pazienti sia analgesia che sedazione.
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