Aprire una partita iva può essere un esercizio all’apparenza semplice, ma che nella pratica, per via delle norme fiscali italiane, si trasforma spesso in qualcosa di terribilmente complicato ed è per questo che molti preferiscono rivolgersi a un commercialista. Per i più arditi, cerchiamo di fornire un breve vademecum per chi vuole aprire autonomamente la propria posizione iva.
Partita iva, a chi rivolgersi per aprirla
La richiesta deve essere presentata a qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle Entrate, la quale espleterà la pratica gratuitamente oppure, come si diceva poc’anzi, ci si può avvalere di un commercialista (o di un altro professionista abilitato) il quale, per il servizio, richiederà un compenso che, a seconda della sensibilità del professionista, potrà partire dalla gratuità fino a giungere a superare i 150 euro.
Per la richiesta occorrerà utilizzare il modello AA9/12 scaricabile dal sito dell’Agenzia delle Entrate e che potrà essere consegnato allo sportello con le seguenti modalità:
- a mano, in duplice copia, recandosi presso qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle Entrate;
- per via telematica, direttamente dal contribuente: si tratta di una procedura più lunga, perché richiede la preventiva autorizzazione dell’Agenzia delle Entrate alla trasmissione, che non sarà immediata;
- a mezzo del servizio postale, mediante raccomandata, inserendo nella lettera anche copia del proprio documento di identità e una busta già affrancata per farsi spedire il certificato. In alternativa si potrà indicare nella lettera la propria casella di posta elettronica.
Detto che la procedura telematica è alquanto brigosa, quella postale altrettanto, la migliore non rimane che quella “a mano”: si è certi della consegna della documentazione e, soprattutto, il tanto sospirato numero di partita iva lo si avrà in tempo reale.
Nel caso in cui, viceversa, si sceglierà di rivolgersi a un professionista, tutte le pratiche saranno svolte da quest’ultimo, il quale rilascerà, dopo qualche giorno, il numero di partita iva.
Come compilare il modello per l’apertura della P.IVA
La data di inizio attività
Innanzitutto bisogna indicare la data di inizio attività. Questa può essere il giorno stesso in cui si compila il modello (o il giorno in cui ci si reca allo sportello) o, al massimo, la si può retrodatare di 30 giorni: se, per esempio, il giorno 20 ottobre 2016 presentiamo il modello allo sportello, la data di inizio attività non può essere anteriore al 20/09/2016, pena il pagamento di una sanzione minima di euro 516,00.
Dati anagrafici e codice ATECO
Una volta indicata la data d’inizio attività si dovranno inserire, nel Riquadro B, alla voce “Ditta o ragione sociale” i propri dati anagrafici e il luogo di esercizio dell’attività, che potrà essere anche la propria abitazione, a meno che non si scelga di svolgerla in locali diversi, quale un ambulatorio, ad esempio. La casella “Scritture contabili” va barrata nel caso in cui si decida di conservare presso la propria abitazione la contabilità e le relative fatture. Nel caso in cui si deleghi al commercialista tale compito, occorrerà indicare nel riquadro C i suoi dati anagrafici, barrando nel campo “Tipo Comunicazione” la casella “A”. Nel successivo Riquadro C andranno inseriti, nuovamente, i propri estremi anagrafici. Il campo codice ATECO, invece, si riferisce a quei codici che identificano, ai fini fiscali e statistici, l’attività svolta: nel nostro caso il codice ATECO da inserire è “86.90.29 Altre attività paramediche indipendenti nca”.
Il regime fiscale della partita IVA
Descrizione dei regimi fiscali
L’infermiere libero professionista può decidere, in sede di apertura, di avvalersi di un regime fiscale di vantaggio, oppure di adottare un regime fiscale “ordinario”. Nel caso si opti per il primo tipo, occorre indicare la scelta nel modello di apertura della partita iva inserendo il numero “2” nell’apposita casella del quadro B. Ma come si fa a capire qual è il regime fiscale più conveniente? Nel regime fiscale “ordinario” le tasse si calcolano nel seguente modo:
reddito da tassare = compensi effettivamente percepiti – spese effettivamente sostenute
I compensi effettivamente percepiti sono quelli che io ho effettivamente incassato in un anno (si chiama anche “criterio di cassa”). Ciò vuol dire che se io faccio la fattura il giorno 15 dicembre 2016 e mi viene pagata a marzo 2017, su quel compenso nel 2016 non pago effettivamente le imposte sui redditi, ma le pagherò l’anno successivo. Stesso discorso per le spese: se ricevo una fattura il 20 dicembre 2016, ma la pago a febbraio 2017, la spese mi verranno detratte nel 2017, cioè quando l’ho effettivamente sostenuta.
Sul reddito da tassare verranno applicate, poi, le aliquote progressive previste ordinariamente per i redditi (si parte dal 23% fino a 15.000 per arrivare al 43% per redditi che superano i 75.000). Nel regime forfettario, la regola generale sopra illustrata è, invece, un’altra: si tengono in considerazione i compensi effettivamente percepiti sui quali vengono applicati dei coefficienti forfettari per ridurli. Sul valore così ottenuto si calcola, poi, una imposta del 5%. Le spese sostenute non vengono prese in considerazione. Nel caso di un infermiere libero professionista il coefficiente è pari al 78% dei ricavi. Ciò vuol dire che il reddito da tassare sarà pari a:
reddito da tassare = compensi effettivamente percepiti x 78%
Occorre precisare, però, che i requisiti per accedere a questo regime fiscale sono:
- non pagare stipendi o altre indennità a dipendenti e collaboratori superiori ai 5.000 euro;
- non avere compensi effettivamente percepiti nell’anno superiori ad euro 30.000.
In più non possono accedere al regime forfettario coloro che sono soci di società di persone o di associazione professionali o di srl che abbiano optato per il regime di trasparenza.
Nel caso, invece, in cui ci si trovi in una delle seguenti condizioni, l’aliquota sale dal 5% al 15%:
- l’attività di infermiere libero professionale è la continuazione di un’attività svolta in precedenza sotto forma di lavoro dipendente (cioè ci si licenzia per diventare liberi professionisti);
- l’infermiere ha esercitato, nei tre anni precedenti, altra forma di attività di impresa (cioè aveva una partita iva aperta per un altro tipo di attività.
Quale regime fiscale scegliere?
La domanda potrebbe avere una risposta immediata e facile: quello che costa meno e cioè il forfettario, perché si paga solamente il 5% di tasse.
In realtà la risposta potrebbe non essere corretta. Occorre valutare:
- quante spese si pensa di sostenere in un anno: nel regime forfettario queste sono escluse, ma in quello ordinario, invece, si possono detrarre. Tenendo a mente che la soglia di esenzione dal reddito da lavoro autonomo nel regime ordinario è di euro 4.800,00, potrebbe accadere che per effetto della differenza tra compensi e spese, il reddito da tassare sia inferiore a tale soglia e, di conseguenza, non ci sarebbero imposte da versare. Cosa che non accade nel regime forfettario, in quanto le spese non vengono considerate;
- presenza di oneri detraibili o deducibili: possono essere tipicamente le spese mediche, le detrazioni per i figli e/o il coniuge a carico, le spese per le ristrutturazioni edilizie e il risparmio energetico, ecc. Nel regime forfettario tutti questi oneri non si considerano. Nel regime ordinario, invece, sì. Potrebbe anche qui accadere, quindi, che la contemporanea presenza di molte spese e oneri detraibili o deducibili facciano scendere il reddito da tassare sotto la soglia di esenzione, vanificando l’effetto agevolativo del regime forfettario che sarebbe, in questo caso, più oneroso.
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