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Prendersi cura, la più bella delle arti belle

di Redazione

Solitamente, quando ci si riferisce all’assistenza e al processo di cura in genere, si è soliti distinguere il “to care” dal “to cure”. Non perché si voglia creare un netto divario fra il curare e il prendersi cura della persona, poliedrica nel suo essere, ma semplicemente perché due parole, con una radice pressoché simile, creano due consapevolezze completamente differenti.

To care o to cure

prendersi cura

C'è chi nasce per prendersi cura degli altri

Non ci si dovrebbe fermare infatti alla lettura superficiale e veloce di un termine apparentemente uguale ad un altro, ma interpretarlo fino in fondo, farne proprio il reale significato e comprendere, in ultima analisi che ”to cure” non vuol dire prendersi cura, preoccuparsi (tutti verbi che, anche nella loro forma infinita, prevedono la presenza di un’altra persona, prevedono la presenza di un feedback, l’instaurarsi di un rapporto) e in effetti queste ultime accezioni sono tipiche del to care.

Tutto questo per descrivere, specificatamente, le esperienze che ciascun professionista sanitario vive quotidianamente nel suo piccolo, cambiando l’essenza delle cose con un sorriso, facendo da protagonista, insieme alla persona assistita, nel processo che porta al cambiamento, alla svolta e, quando si lotta e si vince davvero, anche alla completa guarigione.

C’è chi nasce per prendersi cura, per farsi carico, per metterci l’anima (e lasciarcela pure quando occorre). Nel corso della mia, ancora breve, esperienza lavorativa, mi sono spesso messa in discussione, mi sono spesso chiesta fino a che punto bisognava avvicinarsi alla persona assistita, fino a che punto bisognava essere empatici, per quale motivo si è mesti o si gioisce nello stesso momento in cui si perde o si vince una battaglia. A questi miei dubbi non sono mai riuscita a trovare una risposta e probabilmente non mi interessa trovarla.

Ti rendi conto che stai facendo la cosa giusta quando non riesci a trattenere le lacrime alla notizia di un probabile trapianto per un paziente in attesa da tempo, ti rendi conto di fare la cosa giusta quando ti raccomandi con lui, provi a smorzare l’ansia del momento e lui ti stringe così forte la mano da farci passare tutta la paura che sta provando, in modo da dividerla con te. Ti rendi conto che stai facendo la cosa giusta quando non bastano la stanchezza, lo stress, la paura a fermarti, ad un certo punto non ti ferma davvero più nulla perché l’assistenza è un’arte e se deve essere realizzata come un’arte, richiede una devozione totale e una dura preparazione come per qualsiasi opera di pittore o scultore con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo umano, tempio dello spirito di Dio, è una delle arti belle, anzi la più bella delle arti belle

Buone feste a tutti i miei pazienti, in particolare ad uno che, anche se in ritardo, oggi sta per ricevere il più bel regalo: un cuore nuovo.

Un’infermiera

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