Raccogliamo la storia di Monica, infermiera di UTIN, una storia che ci costringe a riflettere su declinazioni del sentire che pesano come macigni, ci urlano domande senza risposta. Oggi. Ancora.
Infermieri in TIN: 400 grammi di vita tra le nostre mani
Bimbo nato prematuro
Quando il confine si sposta, non siamo in grado di allinearci. Trasognati, eseguiamo. Fare! L’imperativo che ci porta a salvare . Chi? Chi non può chiedercelo, che se potesse direbbe di smetterla. Chi non reputa una vita di qualità, quella che ostinatamente tu decidi di donargli.
Osservo quel lettino . Fino a qualche ora fa abitato dal mio ultimo neonato “piuma”. Quattrocento grammi di vita tra le nostre mani. Carni tagliuzzate, ricucite, cresciute in cattività. Tubi, aghi, infusioni, respiratori. Non è quello che ti aspettavi mamma! Non è quello che pensavi per il tuo bambino .
Sono giunta in ospedale con le contrazioni in atto. Pensavo ad un aborto spontaneo , così mi ha detto la zia quando l’ho chiamata al telefono per avvertirla di quello che stava succedendo .
Sei giovane, bambina mia! Non ti preoccupare, ne arriverà subito un altro!
Ed invece il mio bimbo respirava .
Che miracolo della vita. Quanto sei forte piccolo mio!
Nei mesi seguenti questa magia perdeva lucentezza; non è la vita, è l’onnipotenza dell’uomo, la tecnologia, il progresso delle macchine. Lo hanno riempito di tubi e lo hanno fatto crescere. A volte mi sembra una piccola oca, lo ingozzano per ricavarne foie gras .
Ora, dopo 5 mesi lo porto a casa. Con una macchinetta per respirare. Mi hanno detto che non vede bene, che ha danni al cervello, che dobbiamo aspettare per quantificarli. A volte penso che i medici facciano un corso speciale per confondere le idee e non dire nulla, dicendo tante cose .
Ha tante cicatrici sulla pancia a causa degli interventi che ha subito. Piange arrabbiato, lo capisco, ha ragione, è stato troppo tempo da solo in quel lettino di plastica. Le uniche mani a toccarlo sono quelle di medici e infermiere. Mentre lui aveva bisogno dell’odore della sua casa .
Quanto ti ho desiderato, voluto. Ma ora ho paura. Non immaginavo che potesse andare in questo modo, non so se ho il coraggio e l’energia per affrontare quel che sarà. Mi hanno dato delle goccine per rilassarmi. “Ce la farai, mamma”. Ma hanno deciso loro, di tenerti in vita e che io devo farcela
Avrei voluto che qualcuno mi chiedesse… se continuare, se lasciarlo andare, quante volte operarlo, quanti minuti rianimarlo. Avrei voluto che qualcuno mi parlasse. Mi chiedesse quale era il mio limite, quali parti di mio figlio volevo, quali erano irrinunciabili, quali potevo sopportare di perdere, fino a che punto tagliuzzare, trattenere, rianimare, sedare, infondere .
Quante volte i nostri occhi hanno parlato, figlio mio. “Ma la vita è questa cosa qui? Buchi, luci, monitor e pianti, silenzi concitati, freddo, solitudine? Non lo so, mammina mia, se ne vale la pena! Io non ce la faccio più!” Io non lo so cosa è la vita, mio bimbo piuma, cosa sarà la tua vita. Qualcuno lo ha deciso al posto nostro .
Devo fare un passo indietro. Non posso decidere quale sia la vita giusta da vivere. Non posso sostenere il peso delle mie domande. Non ne ho il tempo, non ne ho lo spazio. Monitoro, vigilo, valuto. Pianifico, pungo, alimento.
Le domande, però, mi seguono mentre accarezzo mia figlia, mentre mangio un gelato. Mentre guardo, vivo, penso. Tu potrai farle tutte queste cose mio piccolo bimbo piuma? Arrivo per il turno, prendo la consegna. Tutti sembrano tranquilli, nessuno fa domande, nessuno condivide dubbi. Non ne hanno o forse decidono che sia inutile farsele.
Mi rintano in un angolo. Dilato questo confine, costruisco nuove mappe di senso. Respiro! Straniera morale.
Commento (0)
Devi fare il login per lasciare un commento. Non sei iscritto ?