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Noi prescrittori di farmaci come in GB? No grazie! Quando la storia non insegna.

di Emiliano Boi

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LA SPEZIA. Correva l'anno 2006 e con l'approvazione della Legge n. 43 del 1 febbraio finalmente veniva ribadito che l'esercizio delle professioni sanitarie è subordinato al conseguimento del titolo universitario rilasciato a seguito di esame finale con valore abilitante sull'intero territorio nazionale, nel rispetto della normativa europea in materia di libera circolazione delle professioni.

 

In ossequio all'articolo 32 della Costituzione ed in conseguenza del riordino normativo delle professioni sanitarie, nonchè della riforma degli ordinamenti didattici ministeriali, al fine di adeguare il livello culturale, deontologico e professionale degli esercenti le professioni in ambito sanitario a quello garantito negli Stati membri dell'Unione europea, la legge n. 43 del 2006 avrebbe dovuto addirittura consentire in tempi brevi, previa acquisizione del parere degli ordini professionali delle professioni interessate, l'avvio di procedimenti volti all'integrazione di professionalità sanitarie di nuova configurazione rispetto alle professioni riconosciute ed esistenti.

Tutto sembrava andare per il meglio ed in quel periodo l'Italia finalmente poteva vantare un potenziale avanguardistico addirittura sull'intera compagine europea. Erano tempi in cui le associazioni e le federazioni infermieristiche d'Europa guardavano alla Gran Bretagna, patria dell'Infermieristica europea, e tutte, chi più chi meno, ambivano a tutelare e a rappresentare realmente l'evoluzione della professione. C'era un clima di profonda fiducia, di ambizione e di speranza.

Ma in Italia qualcosa forse andò storto esattamente nove giorni dopo la pubblicazione della stessa Legge 43 del 2006. Fu la testata giornalistica IGN, del portale Gruppo Adnkronos, a lanciare la notizia su Adnkronos Salute:

Roma, 10 feb. (Adnkronos Salute) – Farmaci prescritti dagli infermieri? In Italia la categoria risponde “no, grazie”. La decisione presa dal ministro della Sanità britannico Patricia Hewitt di autorizzare infermieri e farmacisti a prescrivere medicinali già dalla prossima primavera, di certo non piace a Gennaro Rocco, vicepresidente nazionale dell’Ipasvi e presidente dell’Ordine Ipasvi di Roma. “E’ bene che medici e infermieri facciano specificatamente il loro lavoro – spiega Rocco a margine del convegno sulla professione, in corso al Sanit di Roma – valorizzando le loro funzioni peculiari. Del resto – prosegue l’esponente dell’Ipasvi – in Gran Bretagna la decisione è stata presa per far fronte alla forte carenza di medici. Ma in Italia – ricorda Rocco – sul fronte dei camici bianchi di certo non abbiamo questi problemi. Non credo, inoltre, si vada nella direzione che il cittadino vuole se si va a ‘medicalizzare’ le figure dedite all’assistenza. E’ un’iniziativa – conclude – che non mi trova né entusiasta né d’accordo”.

 

Come mai Gennaro Rocco, esattamente nove giorni dopo l'approvazione della Legge 43 del 2006, in nome e per conto di tutti gli infermieri italiani dice no al modello infermieristico piu' importante al mondo?

Utile sottolineare che sin dai tempi più remoti il contributo della Gran Bretagna alla moderna professione infermieristica è stato fondamentale per l'affermazione sociale, morale, culturale e professionale dei singoli esercenti; è indiscutibilmente condiviso il fatto che Florence Nightingale è la fondatrice della moderna professione infermieristica. Come risulta da numerosi documenti la Nightingale influenzò anche negli Stati Uniti d'America l'evoluzione della professione infermieristica che, nata nel contesto della medio-alta borghesia, si affermò quale Scienza volta al miglioramento delle condizioni delle prigioni, degli schiavi e per rispondere ai bisogni fondamentali di "Salute" della popolazione. Nel 1861 la Nightingale ricevette addirittura un appello dal Ministero della Guerra di Washington, che chiedeva il suo aiuto per l'organizzazione degli ospedali e dell'assistenza ai malati e dei feriti durante la guerra di secessione. Fu proprio l'America del Nord a valorizzare l'operato della Nightingale, fra la fine del 1800 e l'inizio del 1900, decidendo di far accedere la figura infermieristica all'Università. In quegli anni in Europa la figura infermieristica, intrappolata ancora nelle congregazioni religiose, solamente grazie al contributo dell'infermieristica inglese riuscì ad ottenere un maggiore riconoscimento.

Tutte le scuole infermieristiche in Italia dell'epoca furono dirette da infermiere inglesi, compresa quella di Trieste a quel tempo sotto l'impero Austro-Ungarico. La piu' importante e grande scuola-convitto italiana fu quella dell'Ospedale Regina Elena di Roma che fu diretta con grande carisma da Dorothy Snell fino al 1932, coadiuvata da altre infermiere inglesi dedite a creare un nuovo spirito professionale fondato sulla preparazione e sull'evoluzione.

Sulla base di quanto detto, sarebbe assurdo non rendere merito all'infermieristica inglese per i numerosi sforzi che hanno portato all'evoluzione della professione infermieristica sia negli Stati d'Europa che in America.

In Italia, la stessa legge 43 del 2006, che ha ribadito il potenziale infermieristico nel contesto della libera circolazione delle professioni, paradossalmente la si deve proprio alla Gran Bretagna!

Ciò premesso, in qualità di infermiere italiano cosciente del percorso storico della propria professione sanitaria e delle potenzialità finora inespresse a causa di un mancato adeguamento a modelli più evoluti, non posso che prendere le distanze dalle affermazioni del dott. Gennaro Rocco, rese in quel lontano 10 febbraio 2006 e finora mai smentite o discusse da alcuna organizzazione istituzionale che si rispetti.

Nel rinnovare il ringraziamento alle grandi figure infermieristiche della Gran Bretagna, ritengo opportuno sottolineare che nella stragrande maggioranza dei Paesi europei agli infermieri è stata concessa l'attività prescrittiva, mentre in Italia, ancora oggi, forse a causa di un sentimento nostalgico verso le attività ausiliarie, mentalità cristallizzate pianificano il futuro delle nuove generazioni nel quale sono resi vani perfino i risultati legislativi finora ottenuti.

 



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