La legge prevede una quota di rappresentatività per le società scientifiche. Ma gli infermieri rischiano di restare a guardare. Motivo? Noi infermieri non siamo iscritti alle associazioni. Il D.M. della Salute dello scorso 2 agosto, infatti, ha istituito l’elenco dei soggetti deputati alla creazione delle linee guida sulle quali dovranno parametrarsi le prestazioni degli esercenti le professioni sanitarie alla luce della legge Gelli-Bianco (sulla sicurezza delle cure e sulla responsabilità degli attori della sanità). Dalla sua analisi più di una perplessità è sorta riguardo al requisito della rappresentatività richiesto, tra gli altri, per l’accesso all'elenco.
Società scientifiche, e le associazioni infermieristiche?
La norma sembrerebbe lasciare poco margine alle interpretazioni: “Rappresentatività di almeno il 30% dei professionisti non in quiescenza nella specializzazione o disciplina, prevista dalla normativa vigente, o nella specifica area o settore di esercizio professionale. Per i medici di medicina generale è richiesto…il 15%...” (art.2 c.1 lett. b).
Si tratterebbe semplicemente di rapportare tra loro due cifre e verificarne il rapporto: per esempio, numero degli iscritti all’Aniarti, fratto il numero dei professionisti esercitanti nel ramo di interesse (area critica). Se il risultato fosse maggiore o uguale a 0,3 il requisito sarebbe soddisfatto.
Detto questo la nostra voce si alza in direzione di tutti quegli infermieri che lavorano nelle varie unità operative di Pronto soccorso, terapia intensiva, rianimazione, ecc... del territorio italiano per spronarli ad effettuare in tempi brevissimi la propria iscrizione alla suddetta associazione, in modo tale da permettere all’associazione di garantirne il requisito di rappresentatività.
E così pure il nostro richiamo si rivolge a coloro che operando in settori non specialistici (in quanto non riconosciuti come tali a livello formativo e legislativo): le associazioni di riferimento non potrebbero rientrare nel novero di quelle papabili per l’iscrizione all’elenco, pur avendone il requisito numerico. Ciò nonostante a questi infermieri porgeremmo un caloroso invito ad iscriversi in massa quantomeno all’Aislec: non dimentichiamo che ogni appartenente alla categoria dovrebbe avere nel bagaglio personale la perfetta conoscenza di quella che fu la prima materia di emancipazione propriamente scientifica della figura infermieristica, nonché di riconoscimento di quell’autonomia operativa che da oltre un ventennio palpita sotto la divisa agognando una crescita che, al vaglio della responsabilità (anche giuridica), proprio ora necessita di un ulteriore passo evolutivo.
È innegabile che sia ormai giunto il momento di assumere pienamente il richiamo alla autoresponsabilizzazione che i tempi e il legislatore pretendono anche dagli infermieri, dando un forte segnale di appartenenza e di consapevolezza.
Semplicemente iscrivendosi
Tuttavia tale gesto di ulteriore tendenza emancipatoria di per sé non sarebbe sufficiente. L’impianto giuridico deputato a normare e attuare l’elenco in questione è figlio di un retaggio culturale in cui la figura del medico è percepita ancora in posizione dominante rispetto agli altri professionisti della sanità (ricordiamo che i requisiti richiesti dal decreto Lorenzin dello scorso agosto ricalcano quelli del decreto Sirchia del 2004). E se è pur vero che la tradizione scientifica medica è di gran lunga la più affermata nella storia, altrettanto vero è che da almeno un quarto di secolo la crescita in tal senso della categoria infermieristica è esponenziale e non deve essere ostacolata, sia nell’interesse della classe infermieristica in sé che in quello delle persone assistite.
A maggior ragione in un quadro dove il riconoscimento della responsabilità professionale e giuridica vede gli infermieri rispondere del proprio operato in prima persona, anche davanti ai magistrati.
Affermare l’impossibilità di produrre il requisito della rappresentatività per le associazioni infermieristiche è conseguenza di un fatto concreto: mentre esiste, e da tempo, il registro dei medici in attività, non ne esiste uno che censisca gli infermieri. Da ciò risulta oggettivamente inapplicabile alla popolazione infermieristica l’operazione matematica da cui ottenere il rapporto che indichi la rispondenza al requisito richiesto.
Senza inoltrarci sulle ragioni di tale assenza (non è questa la sede per capirne la fattibilità di un eventuale registro di categoria, e nel caso la possibilità di sovrapposizione tra soggetti titolati e quelli realmente operanti in un dato settore specialistico o meno), possiamo sicuramente richiamare l’attenzione su un ulteriore dato di fatto, come già sottolineato dal movimento Noi siamo pronti attraverso un articolo pubblicato sul proprio sito web.
E cioè che non sia stato ancora applicato il comma 566 della legge di stabilità del 2015, che definisce istituzionalmente i rapporti tra categorie sanitarie e al loro interno, in funzione della rispondenza tra bagaglio formativo (e chissà un giorno pure contrattuale) e livelli di responsabilità nell’applicazione dell’assistenza sanitaria soprattutto in equipe.
In considerazione della reale possibilità che la classe infermieristica non abbia, allo stato dei fatti, di accedere all’elenco istituito dal ministero della Sanità, e che l’accesso ad esso è strumentale alla possibilità e alla necessità di autodefinirsi (per ogni categoria sanitaria) in ragione di quegli indici di condotta professionale su cui basarsi nelle proprie prestazioni, l’urgenza di porre rimedio è stringente. Gli strumenti che potrebbero essere utilizzati, a livello istituzionale, risulterebbero essenzialmente due:
- un ricorso al giudice amministrativo per ottenere l’annullamento del decreto, da effettuarsi a livello di categoria attraverso una o più associazioni, o tramite la Federazione Ipasvi;
- una interrogazione scritta al ministro, la cui propulsione spetterebbe ad un membro del Parlamento.
L’appello che stiamo lanciando attraverso questo articolo poggia sulla consapevolezza che le associazioni infermieristiche si stanno già confrontando sul tema, e sulla speranza che i singoli professionisti prendano attivamente posizione, compatibilmente col proprio ruolo, per attuare la rivoluzione nella rivoluzione.
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