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Dibattito Infermieri

Quel passaggio al management che non riusciamo ad accettare

di Alba Tavolaro

Alcuni giorni fa è stato pubblicato un articolo su questo giornale, di una collega, del suo passaggio dall'area operativa a quella del management, una testimonianza del proprio vissuto e come tale meritevole di rispetto anche se qualcuno non lo ritiene condivisibile. E invece, nei social, c'è stata una pioggia di insulti personali e commenti inappropriati. 

Infermieri e manager, c’è di mezzo un mare di retaggi culturali

manager ospedale

Il passaggio dall'area clinica a quella gestionale è visto ancora con diffidenza dagli infermieri 

Esiste un sentimento di frustrazione profonda negli infermieri che svolgono la propria attività operativa, frustrazione che non sono in grado di gestire e risolvere nei propri contesti e alla prima occasione di sfogo si tuffano dentro i social per insultare uno sconosciuto che presumibilmente rappresenta il nemico di cui credono essere vittima e causa di tale frustrazione?

Bisogna dare importanza, rilevanza a questo tipo di strumentalizzazione dei social? Quanto, una minoranza che urla, incide sugli equilibri di una disciplina che si trova in una presunta crisi di identità? Esiste ancora la convinzione che il proprio essere infermiere sia legato alle cose da fare, per cui chi si dedica a un’area più intellettuale o gestionale debba essere oggetto di disprezzo, debba essere considerato non più infermierema qualcosa d’altro perché “non fa”?

Esiste una reale distanza tra l'area gestionale e la clinica? Esistono conflitti dei quali non si può o non si vuole parlare? Quanto il fattore culturale incide su questi conflitti più che la scala gerarchica? Quanto invece la comunicazione spesso affidata al buonsenso piuttosto che alla formazione nei vari livelli? Infine, quanto incide il pregiudizio di esercitare un "mestiere ausiliario" nutrito da un retaggio culturale ancora duro a morire?

Ha senso condurre battaglie per affermare una disciplina che definiamo intellettuale le cui fondamenta risiedono nelle teorie e nella ricerca, quando si ritiene che in molti contesti vige ancora la mentalità della mansione e del compito, molti dei quali delegabili? Gli infermieri si sentono vittime di sistemi che non li considerano professionisti? Quali strategie mettono in campo per uscire da questi meccanismi, per andare oltre il vittimismo, il senso di impotenza? E quali strategie mettono in campo le dirigenze perché i professionisti si sentano parte di un organismo sano, vitale, fiero? Conviene alle organizzazioni gestire "officine di operatori" piuttosto che professionisti ai quali bisogna riconoscere la responsabilità e l'autonomia clinica che non dovrebbe contrapporsi a quella manageriale?

Esiste una categorizzazione tra chi lavora nella formazione e nella ricerca e chi lavora sul campo come due compartimenti separati senza essere gli uni a servizio degli altri creando così inutili pseudogerarchie? Molti auspicano e promuovono una cultura dell’unita di intenti, un corpo solo che funziona grazie alla diversità dei suoi organi, ma quanto è utopistica questa visione e cosa si può fare per renderla più concreta?

Molte domande, alcune provocatorie, alle quali è difficile dare risposte senza correre il rischio di esprimere solamente giudizi superficiali se non sono motivate dallo studio e dalla ricerca piuttosto che dall'emotività del momento. 

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Commenti (1)

ambernurse

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2 commenti

...occorre dimostrare!

#1

la nostra professione a carattere intellettuale va dimostrata , ecco perchè non è accettata! cominciamo a costruire e scrivere progetti di cura per la persona, nero su bianco tutto ciò che si fa e si pensa ogni giorno! scrivere e condividere!
si fa fatica lo so, dopo 20 anni di leggi e libri non si parla ancora poco di management infermieristico.. ma siamo noi il cambiamento!