Esiste davvero un lavoro che fa ingrassare? Secondo Eleonora Buratti, autrice del libro "La dieta dei mestieri", la risposta è affermativa. Si tratta di sedici tipologie di lavoratori, tra cui l'Oss, che più di altre sono predisposte alla comparsa di patologie legate alla cattiva alimentazione, come stress, sovrappeso o obesità.
Mangiare meglio seguendo i consigli de La dieta dei mestieri
Il testo, che racchiude in sé un'anima scientifica, diventa un manuale con consigli pratici per una giusta alimentazione.
Abbiamo incontrato la studiosa e scrittrice Eleonora Buratti per capire meglio quale sia il legame tra alimentazione e mestiere svolto, ma soprattutto cosa le aziende o i lavoratori stessi possono fare per ridurre i rischi per la salute.
È la prima volta che si associano in modo sperimentale i rischi sulla cattiva alimentazione e le prestazioni lavorative. Cosa ti ha portato a scrivere un libro su quest'argomento?
Mi interesso di alimentazione da parecchi anni e sono studiosa dei comportamenti alimentari soprattutto delle dipendenze che alcuni alimenti possono dare. Dall'incontro con Carlo Giolo, consulente in materia di salute e sicurezza sul lavoro è nato dapprima il progetto Rischio Alimentazione®, che prevede interventi di formazione e consulenza nelle aziende per insegnare ai lavoratori ad alimentarsi correttamente.
Abbiamo pensato all'alimentazione, perché nella sua definizione più completa, riportata anche dal Testo Unico sulla sicurezza, lo stato di salute non è solo assenza di malattia bensì anche “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale” e questo, che fa riferimento evidente allo stile di vita, include ovviamente anche le abitudini a tavola.
L'alimentazione gioca un ruolo centrale sul benessere del lavoratore? Cioè, mangiare bene aiuta a lavorare e stare meglio?
L’alimentazione è fondamentale per lo stato di salute, lo confermano ormai fonti ufficiali e lo ha imparato chiunque in questi ultimi anni abbia messo mano alle proprie abitudini alimentari sbagliate e ne abbia tratto beneficio immediato. Gli antichi lo sapevano già, tant'è che dallo studio delle abitudini dei lavoratori del passato emergono spesso esempi di scelte alimentari mirate al tipo di lavoro.
Gli stessi soldati dell'antica Roma conoscevano l'importanza dei cereali germogliati che fornivano energie e resistenza fisica durante le lunghe marce; gli operai che costruirono la Muraglia Cinese venivano alimentati con riso e cavoli fermentati, che erano di facile digestione e permettevano di rimanere in forza e in salute più a lungo.
E così anche i costruttori delle piramidi, che ingerivano spicchi d’aglio per tenere lontane le infezioni e i gladiatori, che traevano forza dal consumo di orzo in chicchi.
E questo lo sapeva bene anche Bernardino Ramazzini, padre della medicina del lavoro, che nel '700 consigliava ad alcune categorie di lavoratori come ad esempio i fabbri, di aumentare il consumo di bietola per favorire l'attività intestinale impigrita dalle sostanze tossiche presenti nelle esalazioni della lavorazione dei metalli.
Viceversa, quanto l'attività lavorativa svolta influisce sulle abitudini alimentari e può provocare rischi per lo stato di salute del lavoratore?
Lo abbiamo chiamato Rischio Alimentazione® e nasce dalla percezione del lavoratore di non avere tempo a sufficienza per consumare un pasto equilibrato, non disporre di un luogo adatto per la pausa pranzo, non poter scegliere tra una varietà sana di alimenti e risentire della fiacchezza del dopo pasto.
In più, durante il nostro studio che ci ha visti impegnati per parecchi anni tra ricerca bibliografica e sperimentazione sul campo, abbiamo individuato anche quelle attività che favoriscono il sovrappeso e l’obesità. Così possiamo serenamente affermare che alcuni lavori fanno davvero ingrassare.
Tra le sedici tipologie di lavoratori è citata anche quella dell'Oss, come mai?
Il personale sanitario lo abbiamo conosciuto durante uno degli interventi in un’azienda padovana del settore dove la partecipazione volontaria di alcuni dipendenti ci permise di sperimentare l’efficacia di un’educazione mirata nei luoghi di lavoro.
Il nostro metodo di intervento parte dalla valutazione dei rischi legati al mestiere e si orienta alla ricerca di quegli alimenti funzionali che possano aiutare il lavoratore a prevenire infortuni o ridurre l’insorgenza di alcune patologie professionali.
Come le strutture sanitarie o socio-assistenziali possono limitare i rischi alimentari per i propri OSS e contemporaneamente garantire la produttività?
Gli interventi che siamo soliti fare nelle aziende di qualsiasi tipologia si orientano su programmi specifici che vadano a implementare azioni migliorative nell’area strutturale, organizzativa e comportamentale.
Li abbiamo chiamati DPIm, ossia dispositivi di protezione immunitaria e sono sane abitudini che ricalcano le raccomandazioni dell’Oms, come quella di consumare almeno 5 pasti di frutta e verdura al giorno e traggono spunto da tutto quel che è messo in evidenza dalla letteratura sull’argomento.
A questo si associano quelli che abbiamo chiamato alimenti funzionali, che sono specifici per la riduzione di alcuni rischi propri della professione. Ad esempio, alimenti capaci di contrastare il rischio biologico e il rischio da radiazioni ionizzanti, ma anche abitudini alimentari corrette per non appesantirsi durante il lavoro notturno e mantenere alto il livello di concentrazione.
Il primo intervento per migliorare l’alimentazione degli Oss è informativo e formativo e fornisce gli elementi necessari per meglio comprendere quali percorsi possibili intraprendere nella scelta degli alimenti durante la giornata lavorativa.
Poi segue un intervento di consulenza mirato a individuare le criticità legate all’ambiente di lavoro, ai turni e alle relazioni interpersonali tra colleghi che potrebbe mettere in evidenza quanto semplici accorgimenti o azioni correttive possano anche aumentare la produttività.
Quale dieta o abitudine alimentare consiglierebbe ad un Oss che nella maggior parte dei casi svolge un lavoro su turni, spesso irregolari?
Il lavoro organizzato a turni comporta un rischio aggiuntivo per la salute del lavoratore che incontra difficoltà nell’alimentarsi correttamente. Nel caso per esempio di lavoro notturno, i primi a non essere rispettati sarebbero i ritmi circadiani che confermano il legame tra ogni forma di vita e il ritmo solare e che si identificano in tre cicli di otto ore.
Gli aggiustamenti all’alimentazione di chi svolge un lavoro notturno partono dalla colazione che finisce spesso con il fine turno. Per non andare incontro a un difficile riposo disturbato da una lunga digestione, meglio orientarsi verso una porzione di frutta intera o frullata, o una tazza di tè bancha (tè verde giapponese con pochissima teina). In alternativa si può scegliere un frullato di verdura cruda a foglia o due fette di pane (preferibilmente integrale o di segale) con un po’ di marmellata naturale o miele grezzo.
Da evitare, per una colazione fatta prima di andare a dormire, i prodotti di origine animale come le brioches impastate col burro, i bomboloni fritti, ma anche i tramezzini con gli insaccati e le uova cotte.
Per quel che riguarda invece l’alimentazione notturna, non deve mai mancare un’insalata di apertura, una parte di cereali integrali e una giusta porzione di proteine. Trattandosi del momento della giornata più critico per la digestione è opportuno tener conto del fatto che, solo per fare qualche esempio, il latte grasso richiede un tempo di digestione più lungo rispetto a quello scremato; le uova troppo cotte sono meno digeribili di quelle crude; il pane più digeribile è quello biscottato; i legumi sono più digeribili se passati; la carne più indigesta è quella cotta ai ferri; e le verdure più digeribili sono quelle crude o quelle cotte a vapore per pochi minuti.
Alcune spezie come la curcuma, i semi di anice, i semi di cumino e lo zenzero, possono inoltre favorire la digestione di zuppe, budini o torte naturali.
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