La Legge Basaglia (Legge 13 maggio 1978, n.180 - "Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori"), disponendo la chiusura dei manicomi ha segnato una svolta nel mondo dell’assistenza ai pazienti psichiatrici, una cesura con il passato dalla quale non si può che andare avanti sulla strada della dignità. Perché aprire l'Istituzione non è aprire una porta, ma la nostra testa di fronte a "questo" malato
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C'erano una volta i manicomi: Legge Basaglia, quarant'anni dopo
Prima c’erano i manicomi, con tutto il carico dei loro terribili orpelli: fili spinati, cinghie di cuoio, camicie di forza, carcerieri, whisky, cloroformio e paraldeide.
Botte e acqua fresca. Fetori nauseanti e strutture fatiscenti.
Prima c’erano i matti, gli alienati, con la loro follia da confinare, da tenere lontana dalla collettività, da contenere.
C’erano celle di isolamento, occultamento e cronicizzazione di quello che era – e, forse, continua ad essere ancora oggi – uno scandalo sociale: la malattia mentale.
Prima c’erano guardiani scelti in base alle doti fisiche piuttosto che intellettive e c’erano cose, non persone. Cose da lavare e vestire, legare e fustigare.
Prima, però, c’era anche chi si sentiva divorare da tutto questo e sognava una rivoluzione del sistema, una rivoluzione culturale esplosa il 13 maggio 1978, culminando nell’approvazione della Legge Basaglia.
Sto chiuso tutto il giorno, respiro la stessa aria, la stessa puzza de fogna che stava dentro a quei reparti, facevo la stessa vita che fanno i pazienti per cui... io infermiere so' matto come loro. Questa è l'istituzione. (Dal docu-film Padiglione 25)
Franco Basaglia dimostrò che assistere i folli in un altro modo si può
A cavallo tra una sorta di padre Pio che liberò i matti dalle catene
e un ribelle velleitario che chiuse i manicomi infischiandosene delle conseguenze
. Questo, per dirla con le parole della figlia Alberta (nell’intervista a cura di Simonetta Fiori), fu Franco Basaglia.
Un comunicatore istintivo, un neuropsichiatra interessato più al malato che alla malattia e che intrecciava in modo scandaloso filosofia e psichiatria. Per questo, perché era in controtendenza rispetto a buona parte della classe medica del tempo, da Padova (dove studiò) fu spedito a Gorizia, in un manicomio di frontiera.
Dopo il primo, terribile, impatto con l’ospedale psichiatrico di Gorizia, Basaglia dimostrò che si può assistere persone folli in un altro modo
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Vennero aperti i cancelli, i pazienti furono lasciati liberi di passeggiare, di consumare i pasti all’aperto, di lavorare. Si iniziò a prestare attenzione alle condizioni di vita degli internati, ai loro bisogni e si organizzarono assemblee di reparto e assemblee plenarie.
Basaglia non aveva ancora vinto – ha dichiarato la figlia Alberta – e lo sapeva bene. Il suo progetto è stato realizzato solo in parte, ma è riuscito a imprimere una volta da cui non si torna più indietro. Ora bisogna andare avanti
.
La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d'essere.
Aprire l'Istituzione non è aprire una porta, ma la nostra testa di fronte a "questo" malato.
Legge Basaglia: Italia avanguardia europea, ma mancano ancora risorse
La Legge Basaglia è stata la prima legge al mondo a disporre la chiusura dei manicomi e l'Italia resta l'unico paese ad avere attuato in modo così radicale il processo di de-istituzionalizzazione.
Un modello, quello italiano, che ha fatto scuola in Europa; da tempo, infatti, Consiglio d'Europa e Commissione Europea raccomandano di seguire la strada battuta dall’Italia, la più rispettosa dei diritti umani ed economicamente sostenibile.
C’è chi l’ha fatto - come Regno Unito, Spagna, Portogallo e Grecia - mentre chi, come gran parte dei Paesi dell’est, non ha ancora cominciato il processo di deistituzionalizzazione.
Ma in Italia, a quaranta anni dall’approvazione della legge 180, la situazione è ancora molto disomogenea da nord a sud - sulla scia delle disuguaglianze di salute che permeano il nostro Ssn – e servono più risorse e personale per fare fronte a una malattia in crescente ascesa e continuare così il lavoro iniziato da Basaglia.
Si pensi, ad esempio, alla realtà di Trieste città libera dalla contenzione, dove la rivoluzione basagliana ha trovato terreno estremamente fertile, che stride terribilmente con le realtà di strutture disseminate a macchia di leopardo in cui ancora resistono manicomi travestiti da strutture residenziali assistenziali, dove per mancanza di risorse e di personale preparato, si assiste al fallimento della Legge Basaglia.
Mancanza di risorse e di personale, dunque. L’allarme lo ha lanciato anche la Società Italiana di Psichiatria, che ha stimato che sono 800 mila ogni anno le persone assistite nei Dipartimenti di Salute Mentale, con 370 mila nuove visite per problemi legati alla psiche.
Numeri, questi, che saranno in costante aumento, se è vero che – come stimato dall’Oms - in poco più di 10 anni le malattie mentali si posizioneranno al primo posto, sorpassando quelle cardiovascolari.
Senza dimenticare quanto ci sia da lavorare anche sull’aspetto dello stigma che bolla le persone con disturbi di salute mentale.
Perché è vero che non ci sono più fili spinati a segnare il confine tra le “città dei matti” e il resto della società, ma è anche vero che non basta una legge per capire che se non si riesce a vincere la paura dell’altro, si può quantomeno imparare a conviverci.
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