Perché si sceglie di diventare infermieri? È una professione adatta solo a soggetti che sono orientati al bene sociale come il fare la carità, fare un favore a qualcuno, cooperare per portare avanti un progetto, aiutare chi è in difficoltà o è una professione che necessita solo di competenze tecniche e che quindi chiunque potrebbe svolgere?
Quando e perché siamo disposti a dare aiuto
Partiamo dagli studi di psicologia sociale per chiarire che pur essendovi basi biologiche che determinano la capacità di essere empatici, come le dimensioni e la struttura della amigdala, l’iniziativa sociale può avere maggior spazio all’interno della nostra cultura, ma per sapere come ciò possa verificarsi, occorre prima analizzare le risposte che sono state date alla seguente domanda:
Quali sono le radici del comportamento umano?
Inconsapevolmente la persona può valutare i benefici della propria iniziativa
- Rispondere a un credo religioso
- Soddisfare il genitore interiorizzato
- Provare il piacere di essere stato bravo
- Alleviare l’emozione insopportabile di veder soffrire
- Pensare di poterne trarre un vantaggio personale
La persona valuta l’opportunità di fornire aiuto
- Sono realmente in grado di dare aiuto?
- Ho le risorse adeguate?
La valutazione di quali siano le risorse adeguate varia molto da persona a persona, da cultura a cultura: stesse qualità obiettive possono essere sufficienti per un gruppo e insufficienti per un altro.
Fattori contingenti possono mutare la valutazione che facciamo delle nostre risorse
- Avere fretta: può bloccare la nostra iniziativa, quando si ha maggior tempo a disposizione si è molto più disponibili a beneficiare gli altri di quando invece si dispone di tempo limitato. Nelle nostre corsie ospedaliere ne sappiamo qualcosa.
- Il clima: il bel tempo, il sole, il sereno possono avere una conseguenza sulla nostra disponibilità.
- Il senso di colpa: aver offeso qualcuno, tradito qualcuno, aver compiuto una trasgressione.
- Avere uno stato d’animo positivo: può favorire la convinzione che possediamo abbondanti risorse.
Prima di offrire aiuto il soccorritore potenziale deve potersi rendere conto che l’aiuto sia davvero necessario
Fattori anche impercettibili intervengono nell’allentare o accrescere l’attenzione verso una persona in stato di bisogno: una richiesta con un tono di voce insistente accresce la possibilità di essere accontentati, il chiasso circostante distrae invece la gente dal percepire lo stato di bisogno
Fattori sociali determinano la categoria sotto la quale la persona che si è sentita male viene ad essere classificata
Uno studio condotto al Royal Free Hospital Medical School della Università di Londra da Michael Simpson sul servizio di ambulanza e le procedure di pronto soccorso ha messo in rilievo che quando ci si trova davanti a una persona che si è sentita male, dobbiamo decidere secondo quello che oggi viene classificato come codice rosso, verde, giallo se la persona sta male solo all’apparenza, se la persona ha bisogno di soccorsi urgenti, o se la persona è morente o già morta. I fattori non consapevoli che incidono su detta valutazione sono:
- L’età: più la vittima è anziana, più la mancanza di segni vitali potrà essere considerata come fattore irreversibile, sette su dieci delle persone anziane osservate al pronto soccorso vennero classificate come morte e non si prestò loro aiuto. La stessa mancanza di segni vitali apparenti può essere invece classificata come arresto cardiaco, quando si tratta di una persona giovane. Tutti i pazienti tra i trenta e i quarantatré anni di età furono sottoposti a energici tentativi di rianimazione
- La presunta moralità: prostitute, omosessuali, barboni, i soggetti che fanno uso di droghe, i tentati suicidio, le persone ferite in una rissa, l’uso di alcool, specialmente se la persona è stracciata e sporca, porta al convincimento che si tratta solo di un ubriaco. Ci si comporta come se queste persone meritassero meno di essere aiutate.
- Una persona di successo, secondo il giudizio corrente, vestita bene, riceve un soccorso rapido e continuo. I tentativi di rianimazione iniziano subito, lo staff dell’ambulanza continuerà con i tentativi, l’équipe del pronto soccorso avrà approntato quanto necessario per l’arrivo del paziente.
Si arriva a questo risultato paradossale: le persone che sono spesso in maggiore difficoltà si trovano tra coloro che appaiono socialmente meno attraenti e quindi sono i meno idonei a suscitare la volontà di soccorso. Lo studio conclude con un certo sarcasmo:
Se vuoi evitare di morire di attacco cardiaco, cerca di apparire giovane, vestiti bene, nascondi eventuali devianze
L’attribuzione di causalità
L’aiuto è meritato? A contrastare l’inclinazione a prestare aiuto può intervenire la convinzione che la gente sia responsabile dei propri guai, per cui se si attribuisce la causa della sofferenza di una persona alla persona stessa, si è meno disposti ad aiutarla di quanto non si faccia quando si ritiene che la causa risalga a circostanze che sfuggono al controllo del soggetto.
Occorre sapere che la spinta empatica a portare aiuto può convivere con la tendenza a disprezzare la vittima e si possono nutrire sentimenti ostili anche verso gli amici più cari, pur prevalendo il sentimento positivo.
Abbiamo visto che nel fornire aiuto le persone tengono conto del piacere o bisogno personale, di eventuali risorse e disagi, delle caratteristiche delle vittime, ma vengono influenzate anche da altri fattori:
Ambiente circostante
Uno studio ha fatto emergere che alla presenza di un gruppo di sei persone, c’è il 30% di possibilità che ci si precipiti verso una invocazione di aiuto entro quattro minuti, mentre alla presenza di un gruppo di tre persone c’è il 62% di possibilità che si intervenga nello stesso lasso di tempo, e infine alla presenza di una persona da sola c’è l’85% di possibilità che il soggetto accolga la richiesta di aiuto.
Perché il numero delle persone presenti in una situazione di richiesta di aiuto influisce sulla prontezza a intervenire da parte del singolo?
- La responsabilità dell’intervento è distribuita agli altri, si pensa che qualcun altro si farà carico del problema
- Vi è maggiore possibilità di doversi vergognare nel caso di un fraintendimento
- La definizione collettiva che viene data alla situazione può bloccare l’azione:
Se gli altri guardano, traggo la conclusione che non c’è bisogno di aiuto o che farlo è rischioso
. - Vi sono invece condizioni che influenzano positivamente l’essere gruppo nel prestare soccorso: L’ampio spettro di ruoli che un intervento di aiuto consente di assumere
- La possibilità di comunicare
- La coesione del gruppo
Allora per rispondere alla domanda iniziale, Fare l’infermiere è una professione che chiunque può svolgere?
, sì, se accanto alle competenze tecnico professionali che sono il bagaglio previsto dal percorso di studi, si è capaci di essere empatici, valore che ogni soggetto in una società progredita potrebbe e dovrebbe acquisire.
L’empatia si può insegnare e imparare, è traducibile con il mettersi nei panni dell’altro
, assumere il punto di vista dell’altro e non vederlo solo da un punto di vista obiettivo. Per farlo si deve cercare di avere informazioni sulle cause che hanno prodotto la sofferenza, così da inibire i sentimenti negativi e incrementare quelli positivi.
Occorre iniziare questa attività educativa già con i bambini, i quali possono essere abituati sin da piccoli in famiglia, a scuola, ad assumere il punto di vista altrui, tecnica che poi aumenta la disposizione ad aiutare chi è in difficoltà. Solo così si potrà arrivare a vivere in una società solidale, disponibile a prestare aiuto senza distinzione di credo religioso o di presunta predisposizione personale.
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