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Dirigenza infermieristica

Comitato Infermieri Dirigenti

di Marco Alaimo

Il Comitato Infermieri Dirigenti è una Società scientifica apartitica e senza fini di lucro, nata negli anni 60, con specifica attenzione ai problemi di programmazione e di gestione dei servizi sanitari, alla valutazione della qualità delle cure e alla formazione infermieristica, intende aggregare tutti i professionisti infermieri interessati e coinvolti nelle tematiche della governance socio sanitaria.

La storia del CID

L’Associazione nasce a Roma come luogo di incontro di dirigenti (non ancora formalmente riconosciuti) e professionisti impegnati nell’organizzazione e nella formazione ed evolve in seguito, divenendo Società Scientifica dal 2003, con l’intento di rispondere alla crescente necessità di sviluppo della cultura scientifico-disciplinare infermieristica in ambito manageriale.

Negli anni, il CID si è impegnato nel costante e innovativo aggiornamento nelle diverse aree tematiche della Governance socio sanitaria, specialmente attraverso la pubblicazione di articoli e testi di management, la formazione residenziale specifica ed eventi a carattere nazionale ed internazionale con ampia partecipazione ai lavori, anche di importanti esponenti del mondo manageriale, politico e istituzionale (oltre 500 partecipanti annualmente).

La struttura organizzativa del CID prevede una rappresentanza nazionale eletta democraticamente, con mandato quadriennale, che agisce sul territorio attraverso i Coordinamenti Regionali costituiti localmente e rappresentativi delle diverse realtà. Per questo triennio 2016 - 2019 è stato anche prodotto un Manifesto di impegno dal titolo “Lo sviluppo della professione infermieristica passa per il riconoscimento di una dirigenza forte”.

Lo stesso presidente del CID Nicola Barbato dichiara che: siamo consapevoli che i Dirigenti hanno una notevole responsabilità, sia di sistema che su ogni singolo operatore coinvolto nel raggiungimento degli obiettivi istituzionali. Il momento storico non aiuta e non favorisce la dirigenza infermieristica, che mai come in questi ultimi anni è ignorata e declassata nelle sue funzioni e nelle sue autonomie. Ogni giorno è necessario presidiare e monitorare i processi comunicativi, le norme e le azioni delle più disparate aree di pensiero e professionali della nostra società civile e professionale, che in modo incessante e spesso velato, mettono in dubbio la nostra esistenza di Dirigenti.

Sia internamente al sistema salute che in tutte le attività umane, gli Infermieri sono spesso tema di discussione, ognuno sente il dovere di esprime giudizi su singoli fenomeni o situazioni che vengono a crearsi e in cui immancabilmente sono presenti gli “Infermieri” che, improvvisamente, divengono i soli protagonisti di fatti e azioni nefande.

Il manifesto di impegno degli Infermieri Dirigenti prevede:

La libertà di formarsi

Gli infermieri devono avere la possibilità di accedere liberamente al più alto livello di formazione attraverso un sistema economicamente sostenibile per la professione e le aziende. Deve essere favorita la progressione accademica e clinica senza interruzioni e ostacoli sul lavoro.

Il progetto di aree di specializzazione clinica è un’importante opportunità per gli Infermieri e i cittadini che potranno usufruire di un servizio sanitario eccellente e più rispondente alle loro necessità. Questo prevede un contratto di lavoro con la definizione di una progressione di carriera clinica fino alla dirigenza per il governo dei processi assistenziali specifici. Riteniamo che sia un diritto di ogni professionista avere l’accesso ad uno o più percorsi professionalizzanti di specializzazione clinica e manageriale capaci di creare una nuova generazione di infermieri dinamici, inter-culturalmente predisposti ai cambiamenti e alle nuove sfide del sistema salute. Non riteniamo strategico che l’istituzione favorisca anche economicamente solo alcune professioni sanitarie, sicuramente indispensabili, ma non solutori di tutti i bisogni di salute.

Il CID si impegna ad essere protagonista per promuovere iniziative, documenti e proposte di legge capaci di sensibilizzare gli enti preposti verso questo obiettivo.

La partecipazione interprofessionale

Gli infermieri devono essere partner preferenziali con i medici e gli altri operatori sanitari, per ricostruire e ridefinire l’assistenza sanitaria in Italia. Un progetto ambizioso che, attraverso lo studio dei modelli di assistenza nel mondo, può dare un impulso decisivo al cambiamento tanto auspicato.

L’infermiere e il medico sono un binomio indissolubile per l’immediato approccio al potenziamento, cura e ripristino della salute dei cittadini di un paese che vede e vedrà continue sfide specialmente nell’area geriatrica. È necessario ridefinire e pianificare le dotazioni organiche rispetto al bisogno reale di salute utilizzando modelli per complessità e intensità di cure. Riteniamo ribadire che non può esistere un unico professionista totipotente né tanto meno al centro del sistema: la nostra convinzione è nelle competenze e nelle conoscenze integrate che, come in altri sistemi, rappresentano la chiave di lettura per un management moderno e competitivo. Il concetto nuovo è condivisione della decisione per una condivisione delle responsabilità.

Il CID si impegna ad essere interlocutore e proporre, attraverso la sperimentazione, modelli di assistenza integrata capaci di produrre risultati di forte impatto sulla qualità e sulla sostenibilità del sistema.

La libertà di comunicare

Gli infermieri sono consapevoli che uno dei migliori modi con cui possono influenzare il cambiamento all’interno della professione e del sistema sanitario, è quello di diffondere le informazioni. L’informazione clinica, manageriale, di innovazione tecnologica sono in grado di migliorare l’assistenza infermieristica. I diversi studi, i centri di ricerca, le riviste, gli articoli e le revisioni devono essere di immediata disponibilità e fruizione per gli infermieri in tutti i livelli e in tutti i luoghi operativi, garantendo il “tempo dell’informazione”. L’utilizzo di soluzioni digitali e la capacità di approfondire i canali comunicativi non può e non deve essere un fenomeno personale o di gruppo, ma è una strategia istituzionale in cui gli infermieri sono protagonisti.

Il CID è consapevole che l’aggiornamento professionale non può essere la sola raccolta di crediti, per cui riteniamo importante e di valore la formazione sul campo, in orario di servizio, su un bisogno di aggiornamento che integri quello professionale con quello aziendale al fine di poter dare risposte efficaci ai bisogni di salute. La tecnologia digitale deve tenere conto dell’enorme potenzialità che gli infermieri possono offrire per innumerevoli soluzioni ai bisogni di salute.

L’assistenza è valore etico, ma anche economico

L’infermiere ha un valore professionale importante nel progetto salute di ogni individuo. Egli contribuisce in maniera elevata alla risposta di intervento, quando è presente un bisogno potenziale o reale di salute. Riteniamo fondamentale per il futuro degli infermieri certificare e assegnare un valore economico al tempo professionale utilizzato in forma autonoma per produrre i risultati assistenziali e terapeutici. Questo permetterà di pesare il contributo infermieristico nella risoluzione, mantenimento e ripristino della salute, ed evitare distrazioni o funzioni improprie che possono depauperare o annullare l’intervento assistenziale. La volontà di “pesare” il risultato professionale rispetto ad indicatori quali il tempo, le competenze e il contesto, sono aspetti irrinunciabili per codificare la necessità e l’inderogabilità dell’atto assistenziale e quanto, se viene meno, incide sul processo di cura.

Il CID vuole proporre sistemi e modelli della tecnologia digitale per identificare attività, risorse, metodologie e risultati attesi nell’ottica di una integrazione e condivisione con la componente medica e delle altre professioni Sanitarie

Il ruolo sociale

Gli infermieri hanno bisogno di consenso e di apprezzamento professionale. È importante che l’infermieristica esca dalle mura ospedaliere e si confronti con i diversi settori dell’attività umana e da essa tragga il più possibile per comprendere i diversi e nuovi meccanismi dell’agire sociale. Il confronto con le altre professioni e con gli ambienti di lavoro è una condizione imprescindibile per riconoscere l’importanza di questa professione, di quanto possa dare per assolvere alle criticità dei diversi sistemi di lavoro e non, della possibilità di integrarsi in ambiti da cui apprendere innovazione e capacità di cambiamento.

I cittadini devono conoscere l’infermiere e la sua professione quando sono nel pieno della loro salute, affinché questo permetta una visione chiara e reale di questo professionista, contribuendo ad un confronto alla pari che implica il concetto di “progetto soggettivo di salute” in cui gli infermieri possono essere importanti e insostituibili partner.

Il CID auspica e supporta l’approvazione e concretizzazione di ogni progetto di prevenzione territoriale in ogni ambito della vita umana, dal suo nascere fino alle grandi aree gerontologiche, in cui i grandi adulti devono approdare a nuovi progetti di salute.

L’emigrazione professionale

L’emigrazione in altri paesi degli infermieri è un fenomeno sociale di questi ultimi anni. Molti infermieri emigrano fuori dall’Italia per motivi economici, ma anche sociali. Riteniamo che gli aspetti sociali siano dati dalla consapevolezza nella professione, dello scarso riconoscimento istituzionale che ha visto diminuire nel tempo il loro ruolo strategico nel sistema salute fino ad arrivare alla diminuzione dei posti universitari per il corso di laurea specifico, nonostante manchino oltre 100.00 unità in Italia. Gli infermieri italiani emigrano in Inghilterra, Germania, Irlanda, Australia e USA, con la possibilità di scegliere la destinazione, vista la grande e continua richiesta.

Questa deve essere considerata un’importante opportunità di lavoro per i nostri infermieri, con la possibilità di confrontarsi con sistemi sanitari diversi e processi formativi innovativi.

Nell’eventuale loro ritorno, la competenza maturata e l’esperienza potrà sicuramente essere estremamente utile al nostro sistema. In quest’ottica possiamo solo favorire l’emigrazione, se la situazione occupazionale resta limitata ai pochi posti messi a bando dalle diverse aziende.

D’altro canto l’emigrazione non è solo degli infermieri, professione difficile e certo non molto ambita dai giovani europei, ma anche di molte altre aree professionali dell’agire umano. La caratteristica principale però è la giovane età di chi emigra e la forte volontà di libertà professionale e finanziaria.

Il CID si propone di migliorare la conoscenza e i meccanismi di accreditamento professionale nei paesi europei per fornire un’informazione utile agli infermieri, per questo scopo utilizza i propri contatti internazionali.

L’accreditamento professionale

Gli infermieri, attraverso il loro “ordine professionale”, hanno urgente necessità dell’accreditamento professionale istituzionale che ne certifichi le competenze e il livello retributivo minimo. Ogni infermiere, a qualsiasi livello e posizione organizzativa, ha necessità di essere valutato e apprezzato per quello che rappresenta, deve essere codificato un sistema autorizzativo di accreditamento e certificazione capace di fornire agli altri, imprenditori, associazioni e istituzioni, le informazioni necessarie per scegliere il professionista “migliore”ove ne sia richiesta l’opera.

Il CID ritiene importante questo punto per aprire un mercato libero della professione infermieristica, dove anche il privato e privato accreditato possa scegliere e retribuire secondo il livello di professionalità richiesta.

L’autonomia

Gli infermieri hanno necessità di utilizzare pienamente le loro conoscenze per migliorare la pratica professionale. La presenza di leggi, decreti, regolamenti e posizioni politiche lobbistiche, che ostacolano tale possibilità, devono essere rimossi o modificati. Con l’ingresso delle competenze avanzate e dei nuovi settori di attività professionale autonoma, gli infermieri devono avere la possibilità di valutare, diagnosticare e prescrivere interventi assistenziali necessari al bene delle persone.

In particolare la prescrizione di presidi, che sono utilizzati normalmente nella pratica infermieristica, deve poter essere competenza degli infermieri in possesso di specifica specializzazione clinica. Prevediamo anche la possibilità di effettuare autonomamente test diagnostici e di proporre il ricovero in ambiente sanitario e socio-sanitario.

Il CID ha previsto, con un processo di ricerca su scala internazionale e con un confronto con le istituzioni e la componente medica, nella convinzione che l’infermiere non deve e non può sostituirsi al medico, la possibilità di individuare le migliori strategie di approccio al tema.

Queste dichiarazioni e l’impegno del CID prevedono una importante condivisione con la F.N.C. IPASVI e i Collegi provinciali, le istituzioni ministeriali e regionali, le forze sindacali e le Università.

Riteniamo però prioritario il consenso degli infermieri che devono proporsi come protagonisti di questo cambiamento, nessuno di noi ha l’arroganza e la presunzione di portare avanti e lottare per questi punti se non si ha ampia condivisione di tutti noi. L’ambiente di lavoro non è certo favorevole ai cambiamenti, ognuno di noi auspica più stabilità di progetto che dinamicità disordinata, ma il rischio, oggi, è di costruire nuovi muri e linee di confine che bloccheranno ancora una volta il fisiologico sviluppo di questa professione.

La dirigenza nell’infermieristica non deve essere per i pochi, ma per i molti, con livelli di responsabilità e di complessità decisionale diversi. Possiamo anche derogare alla parola dirigenza ormai banalizzata e sfruttata, ed utilizzare un nuovo soggetto, ma la sostanza non cambia. Se crediamo che al momento della laurea e dell’abilitazione un infermiere ha il diritto di accedere a percorsi di studio, ricerca e di lavoro capaci di condurlo alle più elevate competenze conosciute e al giusto riconoscimento economico.

Competenze del Dirigente Infermiere

Oltre all’evoluzione legislativa e professionale dell’Infermiere Dirigente e alle capacità di governo clinico-assistenziale e dei processi gestionali dell’organizzazione sanitaria sembra interessante anche evidenziare alcune caratteristiche che sono attribuibili ad un buon leader. Infatti è questo quello che molti si aspettano da un buon dirigente, ovvero la capacità di ascolto e una comunicazione efficace con tutte le linee di governo.

Un nuovo modo di sviluppare queste capacità e competenze comunicative è l’uso dell’ Intelligenza emotiva visto come un fattore distintivo dei manager e soprattutto in Sanità, dove la comunicazione su più livelli è indispensabile e necessaria non solo tra gli infermieri che tutti i giorni devono rapportarsi e confrontarsi con i cittadini/utenti, ma anche tra i livelli di coordinamento e dirigenza dove i flussi comunicativi spesso sono alterati o disfunzionali al buon esito del processo di trasmissione delle informazioni.

Nel voler approfondire lo studio sulla comunicazione, ma soprattutto volendo capire le cause che influiscono sia positivamente che negativamente sulla sua efficacia, ci sembra utile focalizzare il nostro interesse su alcuni pensieri e abilità che sembrano essere necessarie al fine di ottenere delle relazioni stabili e durature.

La strategia comunicativa è una base necessaria al fine di ottenere la condivisione degli obiettivi e mantenere nel tempo livelli di qualità e performance. Gli infermieri e in particolare i Dirigenti devono necessariamente affinare certe abilità che purtroppo non sempre sono presenti e che la formazione personale o professionale riesce a fornire in maniera continua.

Salovey e Mayer nel 1990 scrivono un famoso articolo in cui espongono la prima definizione ufficiale d’intelligenza emotiva, descrivendola come l’abilità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e degli altri, di distinguerle tra di loro e di usare tali informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni.

Successivamente, per meglio spiegare la loro idea di intelligenza emotiva, la divisero in quattro livelli di abilità fondamentali:

  1. percepire ed esprimere le emozioni;
  2. usare le emozioni per facilitare il pensiero;
  3. capire le emozioni;
  4. gestire le emozioni.

Fu Goleman nel 1996 ad adattare il loro modello definendo l’intelligenza emotiva come la capacità di motivare sé stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare.

Nella sua opera evidenzia come il quoziente intellettivo, riferito alle tradizionali capacità logico-matematiche, verbali e spaziali, mostra i suoi limiti quando viene utilizzato come indice per prevedere il successo di un individuo. Spiega quindi la nozione di intelligenza emotiva, già descritta da Gardner nelle due forme intrapersonale e interpersonale, distinguendo tra le competenze personali e le competenze sociali. Le prime si riferiscono, in generale, alla capacità di cogliere i diversi aspetti della vita emozionale, mentre le seconde, si riferiscono al modo con cui si comprendono gli altri e ci si rapporta ad essi.

Per Goleman l’intelligenza emotiva è l’insieme di cinque abilità tra cui la conoscenza delle proprie emozioni che riguarda la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta, l’autoconsapevolezza, intesa come una continua attenzione riflessiva verso la propria esperienza. Il monitoraggio dei sentimenti è fondamentale per la comprensione globale di sé stessi, ed è importante per gestire al meglio le varie situazioni della vita non solo personale ma anche lavorativa; è su questo che un Dirigente dovrebbe riflettere e porre le sue attenzioni cercando di colmare il vuoto che spesso si presenta nelle criticità comunicative e nella mancanza di competenze non sempre apprese o sviluppate durante il percorso formativo.

I cinque sensi – tatto, olfatto, gusto, udito, vista – raccolgono una quantità di dati ogni secondo, ma solo una minima parte di queste informazioni viene elaborata consapevolmente.

In molti casi le reazioni emotive sono dovute al fatto di aver prestato attenzione solo ad alcuni dati, trascurandone altri molto rilevanti. La capacità di allargare il focus della propria attenzione può essere sviluppata ed esercitata. Per raggiungere la strada dell’autoconsapevolezza è necessario ampliare il più possibile l’insieme delle informazioni che si è in grado di analizzare.

L’osservazione di sé permette una consapevolezza equilibrata di sentimenti, siano essi positivi o negativi. Questa consapevolezza è la competenza emozionale fondamentale sulla quale si basano tutte le altre.

L’autoconsapevolezza delle proprie emozioni è l’elemento costruttivo di un altro importantissimo aspetto dell’intelligenza emotiva, ossia la capacità di liberarsi di uno stato d’animo negativo.

L’autoconsapevolezza emozionale implica l’addestramento al riconoscimento precoce della propria emotività:

  1. a livello fisiologico;
  2. a livello verbale;
  3. a livello cognitivo.

livello fisiologico per comprendere meglio la natura di fenomeni organici quali la sudorazione, l’aumento del battito cardiaco ecc., che preannunciano la comparsa dell’emozione e per contribuire ad avere un maggior controllo dell’ansia.

livello verbale, per arricchire il vocabolario diretto alla descrizione dell’evento e favorire il monitoraggio e la gestione dell’emozione.

livello cognitivo per migliorare la capacità di riconoscere i pensieri rigidi, irrazionali e automatici che intervengono fra la situazione-stimolo e l’emozione, per interpretarla e per aiutare a ridurre l’impatto degli stati d’animo negativi.

Goleman ha distinto tre ampie tipologie di funzionamento meta-emotivo a seconda di come gli individui percepiscono e gestiscono le loro emozioni, quali l’autoconsapevole, il sopraffatto, il rassegnato.

Nell’autoconsapevole la visione chiara e sofisticata delle proprie emozioni rafforza altri aspetti della personalità.

Si tratta di individui autonomi e sicuri dei propri limiti, che godono di una buona salute psicologica e tendono a vedere la vita in una prospettiva positiva. Quando sono di cattivo umore, costoro non continuano a rimuginare e a ossessionarsi, e riescono a liberarsi dello stato d’animo negativo prima degli altri. Infatti il loro essere attenti alla propria vita interiore li aiuta a controllare le emozioni.

Il sopraffatto è colui che viene facilmente sommerso dallo “sfogo” delle proprie emozioni. Essendo dei tipi volubili e non pienamente consapevoli dei propri sentimenti, questi individui si perdono in essi invece di considerarli con un minimo di distacco. Di conseguenza, rendendosi conto di non avere alcun controllo sulla propria vita emotiva, costoro fanno ben poco per sfuggire agli stati d’animo negativi. Spesso si sentono sopraffatti e incapaci di controllare le proprie emozioni.

Il rassegnato invece è colui che, pur avendo spesso idee chiare sui propri sentimenti, tende tuttavia a subirli piuttosto passivamente. In questa categoria rientrano in particolar modo due tipi di soggetti: quelli che solitamente hanno stati d’animo positivi e perciò sono scarsamente motivati a modificarli, e coloro che, nonostante siano chiaramente consapevoli dei propri stati d’animo, e siano suscettibili a sentimenti negativi, tuttavia li accettano assumendo un atteggiamento passivo senza cercare di modificarli nonostante la sofferenza che essi comportano.

Il controllo e regolazione delle proprie emozioni si riferisce alla capacità di controllare i sentimenti in modo che essi siano appropriati alla situazione.

Spesso un dirigente deve proprio regolare queste emozioni. I momenti difficili, come del resto anche quelli positivi, danno sapore alla vita, ma per poterlo fare devono essere in equilibrio; infatti è proprio il rapporto tra emozioni positive e negative che determina il benessere di un individuo. I sentimenti estremi, le emozioni che diventano troppo intense o durano troppo a lungo, minano la stabilità e per questo è importante che i sentimenti molto intensi non sfuggano al controllo.

Sicuramente l’istinto a reagire alle situazioni problematiche con una risposta immediata è stato di aiuto alla sopravvivenza della specie, ma oggi è noto che le reazioni istintive spesso si dimostrano inefficaci per risolvere i problemi. Per riuscire a controllare meglio i propri impulsi è necessario utilizzare ciò che si sa sui propri sentimenti e su quelli degli altri, sul proprio punto di vista e su quello altrui. Il controllo delle emozioni comporta la capacità di dominare i propri stati interiori, i propri impulsi e le proprie risorse.

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