Quanti di voi tutti i giorni ricordato ai medici di reparto che: "L’uomo è una struttura vivente in continua relazione con l’ambiente in cui vive, perciò dobbiamo considerare il concetto di malattia come indissolubilmente legato a quello di vita e di ambiente. Da qui il concetto di salute nel quale tutte le funzioni del corpo, fisiologiche e psichiche, concorrono a mantenere l’equilibrio omeostatico. Dunque la malattia rappresenta l’alterazione di questo equilibrio."
Nel testo che di seguito leggerete viene descritta la figura e l'azione del medico nei confronti del paziente e della malattia. Quanti di vi si ritroveranno in quello che diremo?
UOMO E MALATTIA
L’uomo è una struttura vivente in continua relazione con l’ambiente in cui vive, perciò dobbiamo considerare il concetto di malattia come indissolubilmente legato a quello di vita e di ambiente. Da qui il concetto di salute nel quale tutte le funzioni del corpo, fisiologiche e psichiche, concorrono a mantenere l’equilibrio omeostatico. Dunque la malattia rappresenta l’alterazione di questo equilibrio.
Nella pratica clinica distinguiamo le malattie in quattro grandi categorie:
- malattie somatiche: caratterizzate da alterazioni rilevabili negli apparati dell’organismo (organi);
- malattie funzionali: ossia le alterazioni delle funzioni di determinati apparati (cardiovascolare, renale, ecc.), escluse le strutture anatomiche;
- malattie psichiche: in cui prevale il disturbo della mente in un corpo che appare assolutamente sano;
- malattie psicosomatiche: in quanto evidenziano l’esistenza di un nesso causale fra eventi di ordine psichico e fisico.
Per quanto concerne “l’espressione comportamentale nella malattia ed il ruolo di ammalato”, queste sono influenzate oltre che da esperienze precedenti di malattia anche da profonde convinzioni di natura socio-culturali (religione, condizioni sociale, ecc.) del malato, difatti si ritiene possano evocare sentimenti di vergogna, si pensi a patologie invalidanti, oppure casi in cui la malattia viene vissuta come una perdita opprimente, o una sfida da superare, o al contrario, come una punizione per qualcosa di cui ci si sente colpevoli.
In termini psicodinamici, la malattia conduce al narcisismo secondario che comporta il disimpegno dell’energia libidica dagli oggetti esterni (persone e ambiente) ed il ripiegamento sull’ Io-corpo divenuto unico oggetto dell’investimento libidico.
Alla luce di ciò si possono distinguere cinque fasi del comportamento del paziente nel corso di una malattia:
- la fase della percezione del sintomo: la persona si rende conto che qualcosa non va;
- la fase del ruolo di malato: l’individuo si rende conto di essere malato e di aver bisogno di un medico;
- la fase del contatto con l’assistenza sanitaria: l’individuo decide di rivolgersi al medico;
- la fase del ruolo di paziente dipendente: il paziente decide di trasferire al medico il controllo della propria salute e del proprio corpo;
- la fase della guarigione e della riabilitazione: il paziente gradualmente abbandona il ruolo di malato.
IL SIGNIFICATO DI CURA
Nella nostra cultura il termine ”curare” sta ad indicare l’attività esercitata dal medico, caratterizzata da comportamenti distaccati del quale il paziente svolge un ruolo passivo. Allo stesso tempo il “prendersi cura” è propriamente un istinto che negli animali si manifesta attraverso comportamenti di difesa ed accudimento nei confronti della stessa specie. Questi comportamenti inoltre hanno in comune con il “curare” la differenza dei ruoli (vedi medico: “colui che cura” e malato inteso come “paziente”) e soprattutto l’autorizzazione implicita alla violazione dello spazio corporeo individuale, pertanto curare deriva dal prendersi cura.
Nell’atto del “curare” quindi, deve esserci da parte del medico un coinvolgimento ed una preoccupazione globale verso tutti gli aspetti di vita del paziente, compresi quelli legati alla sfera emotiva. Ne consegue una cura rivolta in modo specifico alla persona: il medico dovrà incentrare il suo intervento sulla “persona” mediante competenze relazionali e comunicative adeguate.
MODELLI DI RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE
Nella medicina l’abilità del medico nel comunicare col paziente rappresenta l’aspetto più determinante della sua competenza clinica. Difatti la comunicazione costituisce l’elemento su cui fondare una relazione e come tale va impostata secondo diversi modelli in tre tipi:
- il modello attivo-passivo (simile al rapporto madre-neonato) in cui il medico si fa totale carico dell’assistenza e del trattamento del paziente, che svolge a sua volta un ruolo del tutto passivo (es.: paziente non cosciente o anche delirante);
- il modello direzione-collaborazione (relazione genitore-bambino) nel quale il medico ha un ruolo paternalistico nei confronti di un paziente dipendente (es.: paziente chirurgico o paziente affetto da malattia acuta);
- il modello di partecipazione reciproca (relazione adulto-adulto) essendo il paziente chiamato a svolgere un ruolo attivo ed in qualche modo di autogestione (es.: malattie croniche come il diabete oppure fisioterapie). Attualmente questa terza forma viene chiamata anche partnership e si instaura preferibilmente con pazienti che vogliono essere coinvolti nelle decisioni riguardanti la propria salute.
In una interazione complessa come quella che si insatura tra medico e paziente inoltre, non bisogna mai eccedere nel coinvolgimento emotivo, sapendo dimenticare al di fuori dell’attività professionale i problemi dei pazienti per non usarli come surrogati di intimità nella vita personale.
Senza parlare poi del rispetto reciproco, particolarmente indicato sia nelle cure delle malattie acute che croniche.
Un altro elemento importante è il punto di vista del paziente circa la sua malattia, ciò dovrebbe entrare a far parte non solo del piano di cure ma anche della stessa ricerca nel campo sanitario.
APPROCCIO (primo contatto)
Va ricordato che la bravura di un medico sta nell’avviare l’approccio più consono al paziente in relazione alle sue condizioni cliniche, basti pensare al paziente in coma, che è molto diverso da quello con tumore o scompenso psicopatico.
Per tale motivo schematizziamo tre tipi di approccio: obiettivante; empatico; olistico.
APPROCCIO OBIETTIVANTE
È una modalità di contatto immediato con il paziente, quindi pienamente empiristica, basata sulle capacità percettive del medico e su nozioni necessarie per studiare ed interpretare i sintomi del paziente.
A tal maniera i punti di forza dell’approccio obiettivante si evidenziano quando ci sono condizioni cliniche estreme come le emergenze o gli stati di compromissione della coscienza.
APPROCCIO EMPATICO
Storicamente l’empatia veniva etichettata come la capacità dell’inconscio di sentire le sofferenze di chi le ascoltava (pathos); attualmente la si interpreta come la capacità di immedesimazione che consente di percepire e di esprimere comprensione nella persona.
La scelta dell’approccio empatico non è semplice, in quanto il medico dovrà ben considerare due aspetti della vita propria e del paziente: l’intimità e l’emotività.
Per quanto concerne il primo aspetto, la professione medica è quella che più scava nell’intimità della persona, quindi il primo passo è la ricerca della fiducia da parte del paziente, che andrebbe conquistata in modo da far capire come l’unico obiettivo del medico sia la sua salute.
Il secondo aspetto riguarda invece lo studio dell’emotività del medico. Trovarsi in relazione con un altro essere vivente può provocare una vasta gamma di emozioni, ad es. paure, perciò esse vanno contenute per evitare che possano pervadere la relazione: sentimenti intensi di commiserazione per una situazione difficile, ad esempio, potrebbero determinare uno scoraggiamento sia da parte del medico per la perdita di sicurezza nei propri mezzi sia da parte del paziente che non si sentirà sufficientemente tutelato: cessazione di empatia.
APPROCCIO OLISTICO
Il termine greco “òlos” etimologicamente significa “intero”. L’approccio olistico prevede una verbalizzazione globale: non solo dei sintomi ma anche del sistema di vita del soggetto malato che si esprime attraverso il suo modo di vivere attraverso il suo carattere.
COMUNICAZIONE
La comunicazione non riguarda solo il linguaggio verbale, ma anche i fatti non verbali: la gestualità, il linguaggio del corpo, il comportamento associato agli stati emotivi; pertanto anche l’aspetto comunicativo è un problema di particolare importanza nel rapporto medico-paziente.
SUGGERIMENTI PER UNA MIGLIORE COMPRENSIONE DEL PAZIENTE nel linguaggio verbale:
- verificare ciò che il paziente ha compreso in quel dato momento;
- comunicare una informazione alla volta in modo chiaro e breve;
- incoraggiare i pazienti a porre domande.
La comunicazione extraverbale invece (la mimica del viso, il tono della voce, la postura del corpo), rappresenta il mezzo più immediato per trasmettere informazioni soprattutto al paziente che soffre.
Il rovescio della medaglia è rappresentato da ciò che invece il paziente potrebbe percepire da questo tipo di comunicazione, ossia quando i messaggi espressi dal medico in termini di emozioni diventano contraddittori perché non in sintonia con l’atto medico. Si consiglia pertanto di essere coerenti nel modo di comunicare nel linguaggio verbale e non.
COLLOQUIO
Nel colloquio (incontro tra medico e paziente), l’intervista ha due scopi fondamentali: raccogliere informazioni sul paziente stesso e stabilire le basi iniziali del rapporto medico-paziente.
In medicina generale, si suppone che il paziente collabori col suo curante. In psichiatria è possibile che il paziente dissimuli e non sia in grado di collaborare: è il caso delle psicosi, quando la coscienza del malato è scarsa.
COLLOQUIO ANAMNESTICO
La parola “anamnesi” in campo medico indica la prima parte dell’esame clinico che consiste nella raccolta dettagliata di notizie sulla vita del paziente, dei suoi familiari; sui precedenti processi e sul decorso della malattia in atto. Un’anamnesi accurata costituisce la storia clinica di una persona malata, ovvero la sua patobiografia.
OBIETTIVO della raccolta anamnestica è la formulazione di una diagnosi (giudizio sulla malattia).
E ne deriva dalla necessità che ha il medico di trovare il nesso di casualità tra gli eventi della vita del paziente e l’attuale patologia, attraverso descrizioni dettagliate e risposte precise alle sue domande.
Con l’anamnesi psicologica si cerca invece di giungere al riconoscimento di un determinato individuo attraverso dei fatti per cui ogni notizia è di estrema importanza in quanto concorre a delineare il profilo psicologico dell’individuo, ossia il significato del suo comportamento.
Quindi è più utile avviare fin dall’inizio con il paziente “un lavoro relazionale che serva a costruire l’alleanza terapeutica, basilare per il processo della crescita curativa" (Rogers).
Per concludere, le caratteristiche di una relazione d’aiuto dipendono: dalla persona che aiuta e da chi è aiutato, medico e paziente sono entrambi coinvolti. Chi aiuta, sa ascoltare se stesso in relazione ai propri sentimenti, se pur negativi, giacché l’accettazione del proprio Sé (oggetto dell’Io), rende autentica ogni relazione con l’Altro a proiezione di se stesso.
Mentre chi è aiutato avverte che i suoi sentimenti ed i suoi pensieri sono stati realmente sentiti e dunque non è ignorato, perché avverte di essere riconosciuto dagli altri (identità), in un feedback positivo di comprensione.
QUANTI DI VOI INFERMIERI HANNO RICONOSCIUTO I MEDICI DEL VOSTRO REPARTO NEL TESTO CHE AVETE APPENA LETTO? Scriveteci a: redazione@nurse24.it
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