Il 5 novembre scorso la Calabria ha visto lo svolgersi della prima giornata nazionale formativa sulla Formazione Infermieristica organizzata dalla Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi.
Formazione universitaria infermieri a partire dalle criticità di ieri e oggi
Sono oltre 20 anni che la formazione di base degli infermieri avviene solo nelle Università, anche se è dagli anni 60 che in queste si sono avviati i processi di formazione. Ormai generazioni di professionisti provengono solo da questa modalità di studi. E sono dieci anni che l’infermieristica ha le sue scuole di dottorato. In questa giornata analizzeremo cosa si è fatto finora, cosa ci si deve aspettare e cosa si deve fare per il futuro della formazione. E per futuro intendiamo un orizzonte temporale di almeno altri venti anni.
Queste le parole di Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale Ipasvi, con cui si è aperta a Feroleto Antico (Catanzaro) la prima Giornata nazionale sulla formazione infermieristica lo scorso 5 novembre.
Dobbiamo formare professionisti per un mondo che ora possiamo solo immaginare come evolverà dal punto di vista assistenziale – ha detto Mangiacavalli – e vorremmo che questo potesse essere un momento di ‘carotaggio’ delle politiche della formazione, per la quale è necessario lavorare in sinergia con tutto il mondo accademico e fare con questo e con le istituzioni passi avanti congiunti.
La giornata è stata aperta dai saluti del coordinatore dei Collegi della Calabria Stefano Sposato e delle autorità locali; a moderare, la vicepresidente Ipasvi Maria Adele Schirru e Gennaro Rocco, docente di Scienze Infermieristiche all’Università Tor Vergata di Roma.
Tra i rappresentanti del panorama infermieristico presenti ritroviamo Loredana Sasso, Professore associato FAAN Università degli studi di Genova Dipartimento Scienze della Salute, che nei giorni scorsi ha ricevuto dalla American Academy of Nursing il riconoscimento di "Fellow", rientrando così tra i 164 infermieri in tutto il mondo a potersi fregiare di tale titolo. Sasso ha sottolineato che interrogarsi sul futuro della formazione vuol dire analizzare lo scenario internazionale che spesso ha precorso questa scelta. Sulla scia di questo principio ha illustrato due studi nessuno dei quali, tuttavia, analizza la situazione italiana.
Stato dell’arte delle professioni sanitarie, Commissione Lancet (2011)
Sasso ha ricordato le criticità emerse dallo studio: squilibrio fra competenze e bisogni dei pazienti e della popolazione, ristretta focalizzazione sulla tecnica senza una più larga comprensione dei contesti, cure episodiche invece che continue; orientamento prevalente verso gli ospedali alle spese delle cure primarie; debole leadership nel miglioramento delle prestazioni dei sistemi sanitari. Inoltre, tribalismo delle professioni (tendenza delle professioni ad agire in isolamento); mancanza di accountability e conseguente sotto-finanziamento della formazione.
Le possibili soluzioni sono quelle di una “rotazione” nel dialogo professionista-paziente che parta dalle persone, dalle loro esigenze e attraverso il sistema formativo da un lato e il sistema sanitario dall’altro raggiunga e metta in moto il mercato dei professionisti sanitari.
Studio RN4Cast
RN4CAST Italia ha fissato alcuni punti nel processo: misurare lo staffing basandosi sulla qualità dell’assistenza e sulla sicurezza alle persone assistite; pianificare il bisogno di risorse infermieristiche sulla base di dati certi e confrontabili con le altre realtà internazionali; sostenere i valori del nursing; correlare la formazione infermieristica alla qualità dell’assistenza.
Sempre attraverso RN4CAST, ha proseguito Sasso, è stato possibile affermare che quando non si garantisce un organico adeguato e sufficiente di professionisti qualificati, viene negato il diritto di esercitare appieno la propria professione e la possibilità di mettere pienamente a frutto le proprie competenze.
Di conseguenza: si mette a rischio la sicurezza del paziente (mortalità); si generano outcome negativi per i pazienti; si generano moral distress e burnout nei professionisti; aumentano i costi per la gestione degli esiti negativi; si crea un’immagine negativa per l’organizzazione. Il tutto impedendo così anche un’adeguata formazione dei giovani in stage.
Concludendo – ha sintetizzato Sasso – serve maggiore integrazione tra gli ambienti formativi (accademici–clinici); la distanza tra gli ambienti formativi (aspettative/esperienza) genera dissonanza cognitiva e moral distress; la formazione degli infermieri ha una ricaduta diretta sugli esiti del paziente e sulla mortalità; lo staffing ha influenza “anche” sugli esiti della formazione.
Andamento dell’offerta formativa
Paola Ferri, ricercatore e presidente CLI Università Modena Reggio (sede di Modena) ha descritto l’andamento dell’offerta formativa per le scienze infermieristiche. Nonostante le difficoltà in ambito lavorativo, quest’anno si registra una ripresa occupazionale, che passa dal 65% stabile degli ultimi 2 anni all’attuale 67%. Per il fabbisogno, la stima delle Regioni pari a 15.408 posti è inferiore del -7,9% rispetto ai 16.725 dello scorso anno. Ancora maggiore, pari al -20% è la differenza rispetto ai 19.285 proposti dalla Federazione IPASVI. A determinare comunque l’offerta formativa è solo l’Università, che negli ultimi 6 anni si è attestata sulla media di 15.700 posti all’anno e di 14.224 sulla media di 16 anni dal 2001 al 2016.
Ferri ha poi illustrato i risultati di un’indagine sul tutorato, svolta allo scopo di esplorare le caratteristiche delle figure tutoriali coinvolte nella formazione degli studenti dei Corsi di laurea in Infermieristica (ruoli, funzioni, competenze e aree di responsabilità).
Le Funzioni e aree di responsabilità prevalenti del Tutor universitario e della Guida di Tirocinio sono state, per quanto riguarda il tutor di tirocinio, la progettazione delle esperienze cliniche, supervisione indiretta, creazione e mantenimento dei rapporti con le sedi di tirocinio, supervisione diretta e modelling, valutazione certificativa, didattica e laboratori, consulenza e sviluppo capacità guida di tirocinio. Per quanto riguarda la guida di tirocinio, invece, supervisione diretta e modelling, creazione delle condizioni di apprendimento, garanzia di sicurezza allo studente e al paziente, valutazione formativa e talvolta certificativa, didattica di laboratorio.
Ferri ha presentato anche i risultati di un’indagine sul ruolo del Coordinatore/Direttore, svolta allo scopo di esplorare il ruolo del Coordinatore (denominazione, caratteristiche, funzioni, livello di autonomia e aree di responsabilità).
Il Coordinatore/Direttore gestisce e presidia le seguenti funzioni, frequentemente in collaborazione con i Tutor: attività di riesame; organizzazione e coordinamento esami finali di tirocinio, esami di Stato, attività o progetti integrati con le aziende, progetti di tirocinio, supervisione sulla qualità del tutorato, formazione e aggiornamento dei tutor e delle guide di tirocinio, supervisione su coerenza dei programmi e valutazioni.
Le attività nelle quali ha un minor coinvolgimento e dove invece sono parte attiva il personale amministrativo e i tutor sono: l’elaborazione dei calendari, le date delle sessioni degli esami e le attività relative alla sicurezza.
In conclusione, Ferri ha evidenziato come punti di forza la disponibilità di linee di indirizzo per i CdS: principi e standard per il tirocinio; esame finale; contenuti core dei programmi di Infermieristica. Poi il ruolo dei Coordinatori/Direttori e dei tutor, la stabilità del sistema formativo e la revisione piani degli studi: D.I. 19 feb. 2009.
Per quanto riguarda le vie da seguire, importanza e necessità di presidiare la qualità dei corsi di studio nella logica dell’accreditamento periodico e il costante coinvolgimento degli stakeholders nella definizione dell’offerta formativa e della valutazione dell’efficacia, sottolineando anche la necessità di Linee di indirizzo per i protocolli d’intesa Università/Regione.
Luisa Saiani, professore ordinario di Scienze Infermieristiche Università degli studi di Verona, ha subito sottolineato l’importanza di una strategia formativa concordata con i diversi livelli istituzionali coinvolti e la necessità di calibrare bene i corsi di studio sulle possibilità/capacità degli studenti che per l’intensità e la difficoltà dei corsi da seguire hanno poco tempo per studiare e affrontano tirocini sempre più faticosi. La revisione del numero di anni dell’attuale laurea triennale potrebbe essere una soluzione, anche solamente prevedendo un periodo di sei mesi più lungo.
Saiani ha poi evidenziato le necessità raccolte sul campo nell’attività di insegnamento e ha evidenziato come una richiesta di molti studenti sia quella di avere un collega più esperto accanto come guida per inquadrare al meglio la propria attività. Questo perché le competenze avanzate degli infermieri dovrebbero esserlo soprattutto - e secondo la Ue - dal punto di vista clinico.
Saiani, nel suo intervento, ha sostanzialmente affrontato tre problematiche:
- laurea di base, triennale o quadriennale?;
- formazione specialistica post base, da quali bisogni delle organizzazioni e degli infermieri nasce?;
- laurea magistrale per un’infermieristica più colta o per «specializzare»?
Nei “pro” per un’eventuale maggiore durata della formazione abilitante, Saiani ha evidenziato più tempo disponibile per lo studio, la possibilità di aumentare i tirocini al 3°-4° anno, maggiori esperienze di transizione verso contesti nuovo. Tra i contro, invece, la sostenibilità per studenti e famiglie, il rischio di allontanamento «dal letto del malato», la spinta al scivolamento di attività assistenziali agli OSS, la sostenibilità costi.
Per quanto riguarda i bisogni di competenza specialistica percepiti dagli infermieri, al primo posto di un’indagine illustrata da Saiani, con il 62% di risposte positive c’è il clinical assessment di casi complessi, valutare cioè segni e sintomi di un peggioramento e interpretare parametri clinici.
Gli stessi infermieri che hanno dato la valutazione si attendono da un collega «specialista»:
- competenze cliniche: molto esperto nella gestione di pazienti e presidi complessi («occhio clinico- capacità sorveglianza»);
- organizzative: guidare i colleghi, pianificare le attività e le risorse, conoscere percorsi e protocolli di integrazione tra servizi;
- di leadership: essere leader, organizzare momenti di briefing e debriefing ad inizio turno, appianare i conflitti, fornire feedback, identificare bisogni formativi, trasferire evidenze scientifiche, organizzare corsi, motivare al miglioramento dell’assistenza, offrire consulenza ai colleghi.
Attese, ha sottolineato Saiani, che corrispondono con quelle previste nei documenti europei in cui sono indicate: pratica clinica, ricerca, formazione, leadership, collaborazione, consulenza.
La proposta Ipasvi
Durante la giornata è stata illustrata la proposta della Federazione nazionale IPASVI per la formazione infermieristica, presentata da Beatrice Mazzoleni, segretaria della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi, che ha ripercorso le tappe dell’evoluzione delle competenze infermieristiche, da Annalisa Silvestro, senatrice e componente del Comitato centrale della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi, che ha spiegato le ragioni e gli obiettivi della proposta e da Rosaria Alvaro, Professore associato di Scienze infermieristiche dell’Università degli studi “Tor Vergata” di Roma, la proposta della Federazione nazionale Ipasvi per la formazione infermieristica, entrata nel merito della proposta.
Gli obiettivi sono quelli di elaborare una proposta che definisca la prospettiva della FNC per quanto attiene la tematica “evoluzione delle competenze” indicando tipologia funzionale, percorso formativo e agibilità nell’organizzazione dell’infermiere:
- con competenze cliniche perfezionate;
- con competenze cliniche esperte;
- con competenze cliniche specialistiche.
Il tutto partendo dalla formazione in ambito universitario, dalle richieste del sistema sanitario e socio sanitario e dalla spendibilità delle diverse tipologie di competenze infermieristiche nel mercato del lavoro.
I livelli formativi (non gerarchici) corrispondono ad un approfondimento delle competenze sull’asse della clinica e ad un’espansione delle competenze sull’asse della gestione. Nel modello proposto sull’asse della clinica c’è la linea della “produzione” di servizi e del governo dei processi assistenziali, si posizionano le competenze/responsabilità agite dagli infermieri nei confronti dell’utenza e l’acquisizione del titolo di infermiere specialista non determina un distanziamento dall’assistenza diretta. Sull’asse della gestione si sottolineano la linea del governo dei processi organizzativi e delle risorse, l’azione sui contesti organizzativi, le competenze agite dagli infermieri in rapporto alla gestione delle risorse, facilitazione/garanzia dell'efficacia e l'appropriatezza dei servizi e risultati di qualità all’utenza.
Nella definizione si è partiti dalle funzioni definite dal profilo professionale, ovvero l’infermiere specialista utilizza le conoscenze ed abilità avanzate acquisite nell’area di specializzazione scelta, attraverso percorsi formativi che si possono declinare:
- in ambito universitario, quando ineriscono competenze relazionali, comportamentali, modelli cognitivi e i quadri concettuali e metodologici sottesi all’intera area di esercizio professionale specialistico;
- nell’ambito regionale/aziendale, quando intendono mantenere, aggiornare o implementare delle specifiche competenze o abilità tecnico operative caratteristiche di una specifica area.
Nel corso della tavola rotonda "Pensieri e posizioni: confronto con le istituzioni" ci si è concentrati innanzitutto sull'omogeneità dell'applicazione delle norme che regolano il percorso formativo di tutte le professioni sanitarie.
Laurea triennale abilitante di base, master di primo o secondo livello, laurea specialistica, dottorato: quale la formula giusta per assicurare una piena corrispondenza tra profilo professionale e curriculum accademico dell'infermiere così come di altre preziose figure del nostro Sistema sanitario nazionale?
I ministeri coinvolti in questo delicato processo – quello della Salute e quello dell'Università – hanno entrambi partecipato al dibattito.
Luisa Antonella De Paola, dirigente del Miur, ha spiegato: Se attualmente non poniamo troppi paletti lo facciamo per non ingabbiare in alcun modo l’autonomia didattica degli atenei. Se poi esistono dei master che possono apparire bizzarri nelle loro formulazioni essi sono comunque il frutto di tale libertà e al limite il loro insuccesso sarà determinato dal basso numero di iscrizioni.
De Paola ha lodato l'attuale valore della laurea triennale in Infermieristica, una delle poche, a suo giudizio, a favorire una pronta immissione (entro i tre anni) nel mondo del lavoro per i laureati. Non ha escluso però la possibilità di allungare di un semestre questo percorso di base abilitante. Ma tutto avverrà sempre in un clima di massima concertazione e trasparenza
, ha assicurato.
Cristina Rinaldi, direttore dell'ufficio di disciplina delle Professioni sanitarie al Ministero della Salute, ha sottolineato il carattere unico del percorso formativo comune ai professionisti sanitari. Siamo preparatissimi e competitivi già con la nostra triennale, sia chiaro – ha puntualizzato – ma se ci sarà bisogno di fare una riflessione in più sul prolungamento degli studi di base non ci tireremo certo indietro, privilegiando comunque sempre l'ottimo rapporto che intratteniamo con Ipasvi e con un occhio sempre più attento ai reali sbocchi occupazionali previsti.
Semaforo rosso, invece, per i master troppo “creativi”, ovvero scarsamente aderenti a reali profili professionali presenti nel Sistema sanitario. Rinaldi ha lasciato intendere che il Ministero opererà una stretta per meglio disciplinare il settore.
Lo sguardo al futuro della professione è stato riassunto dalla professoressa Anne Destrebecq, della Commissione nazionale Corsi di Laurea in Infermieristica. È stata ribadita l'importanza dei protocolli e delle linee guida emanati a livello centrale e non rispettati in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, con particolari criticità nel Sud Italia. Gli standard del tirocinio hanno costituito un primo importante esempio calzante rappresentato da Destrebecq. È stata rivendicata, infatti, l'introduzione dello strumento unico di valutazione dei tirocini, ma anche in questo caso il problema è rappresentato dall'applicazione non omogenea.
Se si vogliono avere competenze avanzate per gli infermieri, ha aggiunto Rosaria Alvaro, professore associato di Scienze Infermieristiche presso l’Università degli studi “Tor Vergata” di Roma, è necessario certificarle, tabellare i percorsi. La formazione 3+2 nelle professioni sanitarie, ha aggiunto, non è come negli altri corsi di laurea, ma davvero immediatamente professionalizzante. Per questo serve un tavolo Miur-docenti che sia specifico per questo settore, in particolare per gli infermieri e le loro esigenze di ulteriori competenze, perché l’Osservatorio funziona, è vero, ma è generale per tutte le professioni, meno tecnico e quindi non può entrare nell’architettura e nelle esigenze specifiche degli studenti in Infermieristica, che con il numero di ore previste e il tipo di tirocinio che svolgono, spesso rischiano di non farcela, così come i loro tutor, sempre in carenza di organico.
Affidate alla presidente nazionale Ipasvi Barbara Mangiacavalli le conclusioni, in occasione delle quali ha chiesto un tavolo permanente con i ministeri sulle politiche della formazione infermieristica, in quanto gli infermieri rappresentano la componente maggioritaria tra le professioni sanitarie.
I nostri studenti sono esposti a un'offerta formativa troppo variegata e a tratti confusa, nel senso che risulta poco trasparente e regolamentata, tra corsi on line, accademie svizzere, master che poi si rivelano poco utili. Si rende necessario un osservatorio, con Ipasvi protagonista, anche per evitare di formare professionisti troppo orientati al solo lavoro in ospedale, che non prendono in considerazione la medicina d'iniziativa sul territorio. Abbiamo ancora pochi liberi professionisti. È evidente, dunque, che il sistema va innovato, certi dell'alto livello dell'attuale formazione fornita ai nostri infermieri, come dimostra l'alta attrattività dei professionisti italiani in Paesi leader dell'Unione Europea come la Germania e la Gran Bretagna. Ma gli spazi per la professione devono e possono essere qui in Italia.
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