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Un giorno qualunque in una Foresta tropicale Africana

di Redazione

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La testimonianza di un medico volontario presso una missione in Africa, tra bambini e mamme con occhi grandi e vogliosi di gioie e affetti, ma anche tra materiale sanitario carente e ambienti di lavoro al limite della sopportabilità igienica umana.

AFRICA. La mattina oggi scorre lenta, pochi i pazienti che ci visitano e si fanno visitare, che oggi è giorno di mercato qui vicino. Le scuole hanno riaperto da poco, nelle prime ore del mattino e intorno all’ora di pranzo si incrociano lunghe fila di studenti nelle loro uniformi colorate nello spiazzo erboso di lokomasama dove si affacciano la scuola, la chiesa e praticamente tutte la case del villaggio. Mettono allegria, anche se il pensiero di classi di un centinaio di studenti affollati insieme mi lascia qualche perplessità sull’efficacia del sistema scolastico.

Da due giorni aspettiamo un infantino di solo un mese e mezzo che la mamma ci ha portati per un ascesso imponente alla base del collo, dio solo sa come se lo sia procurato, e forse in fondo preferisco non saperlo. La donna si è presentata per tre volte regolarmente, con il piccolo e un altro bambino di circa 3 anni di una simpatia disarmante, entrambi ben vestiti e puliti, salvo essere ricoperti di ciondoli e laccetti alla vita tradizionali. Da ieri non ne abbiamo più traccia. So solo che vivono qui vicino, e conosco il nome del paziente ma si sa che i nomi in sierraleone sono totalmente inutili per identificare un individuo. Prendete una decina di nomi di persona, ancor meno di cognomi, buttateli in un pallottoliere ed estraetene un paio a sorte ed avete il vostro neo-nato.

Decido che forse è bene che Maometto vada a cercare la sua montagna oggi.

Chiedo ad uno dei nostri autisti di accompagnarmi e di assistermi nelle ricerche. Non mi cambio neppure la divisa, e mi rendo conto che a parte il mio essere poto oggi devo sembrare ancora più bizzarra abbigliata così.

Lungo la strada interroghiamo un po di passanti “cerchiamo un piccolino con un ascesso sulla spalla”- mi sento ridicola e al limite del surreale, ma no, qui funziona così, tutti partecipano della vita degli altri, soprattutto delle altrui disgrazie, forse per una sorta di scaramanzia per cui se un tale evento succede al tuo vicino forse non accadrà a te -e veniamo indirizzati in un villaggio e in particolare in una casa che appare completamente chiusa. L’autista imperturbabile si dirige sotto il portico fatiscente e iniziare a bussare e arriva a spalancare delle persiane, e improvvisamente compaiono alcune persone, donne, una ragazza albina, che discutono con lui per qualche istante. Non è la casa giusta, e qualcosa mi dice che dietro quelle persiane qualche altro bambino sta lottando contro il suo demone, e noi non saremo partecipi del suo destino.

Tornati alla macchina riprendiamo la strada e inizio a osservare tutte le case lungo il ciglio, rendendomi conto che lo scenario resta sempre lo stesso: donne giovani e anziane, bambini di ogni età, polli, gatti, pecore, qualche oca.

Sotto un portico tre ragazze impegnate in una lunga chiacchiera rispondono all’unisono alla nostra richiesta puntando verso la stessa casa, sull’altro lato della giungla. Mi volto e a quel punto non ho dubbi: il fratello del piccolo paziente mi fissa dai gradini polverosi di casa, con lo stesso sguardo esterrefatto con cui mi ha osservata per due ore al Centro di coordinamento del progetto per cui lavoro l’altro giorno. Mi sarà utilissimo come biglietto da visita per poter accedere a quello che si rivela subito un nucleo familiare molto tradizionalista, dove per tradizione in Africa si intende credenza e magia somministrate da un guaritore “nato con il dono della medicina” che dietro compenso prescrive, prepara e applica impacchi e tisane che il più delle volte risultano molto tossiche. Anni d’Africa mi hanno insegnato l’umiltà di approcciarsi a simili contesti, qui non serve sbandierare 11 anni di studi medici, né aiuta il colore della pelle. Anzi negli ultimi anni il fondamentalismo religioso ne ha fatto argomenti per incentivare la lotta all’occidente.

Il piccolo c’è ed è cullato in braccio alla nonna che per ora non mi guarda neppure negli occhi, ma comunque mi sta concedendo la sua attenzione. La mamma non c’è, impegnata a recuperare l’acqua alla pompa comunitaria. Una rapida occhiata e riconosco l’impiastro al posto delle bende sterili della nostra ultima medicazione. Pus libero che spurga tra la terra e la paglia. Anni di africa, nuovamente, mi hanno insegnato che le leggi di fisica, biologia, matematica…qui sono state scritte saltando qualche pagina.

La discussione ha inizio. Con la nonna, con altre tre anziane subito accorse, un altra giovane mamma e infine due uomini dall’aspetto molto più religioso della media locale. Non ci può essere confronto, solo cercare di toccare il cuore di una nonna che non può non vedere la gravità della situazione. E nonostante le varie ingerenze altrui, il momento arriva. Di colpo la nonna dice -Bene, ti seguirò.- e a questo punto sembra diventare la mia più forte alleata verso gli altri, alzando i toni e muovendosi decisa.

Dopo pochi attimi siamo in macchina insieme, con lei e i due bambini e arriviamo finalmente al Centro di cui prima parlavo. Mentre le infermiere si occupano di lavare, disinfettare e sistemare il piccolino, la nonna vuota il sacco e spiega come la madre volesse tornare da noi ma fosse frenata dalla vergogna per le condizioni di suo figlio, a cui qualche altro membro della famiglia avrebbe deciso di far applicare la tradizione.

Al termine della medicazione la donna ci promette che tornerà, domani. In questo momento non mi resta che crederle, e sperare che lo faccia.

Anni d’Africa. Non potrò mai abituarmi alla voragine di sviluppo che la separano dal nostro mondo. E non credo che potrò smettere di stupirmi di fronte ai piccoli miracoli che ogni giorno sfidano le nostre logiche. In compenso ho imparato a lasciare tante domande e tanti pregiudizi chiusi nel cassetto e ad affrontare i singoli giorni come l’africano fa. Attimo dopo attimo.

 

Giovanna Scacca, medico in missione in Africa

 

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