Butler, sobborghi di Pittsburgh, Pennsylvania occidentale. America, 13 luglio 2024, sabato pomeriggio. La gente del posto è radunata nello spazio della Fiera del paese, come quelle dei film dove le famiglie si ritrovano a mangiare hamburger, hot dog e pannocchie abbrustolite. Ci sono stendardi, coccarde e bandiere a Stelle e strisce. Sta per capitare un'emergenza di sanità pubblica da violenza da arma da fuoco, come sono state definite le sparatorie di massa dal Surgeon General Vivek Murthy, un'importante autorità sanitaria che ne ha lanciato l'allarme a fine giugno indagando in maniera approfondita il fenomeno. Quei cittadini adulti che attendono Donald Trump sono un campione rappresentativo del 79% degli americani che è stressato al pensiero di una strage di massa, prima causa di morte tra i giovani davanti agli incidenti stradali.
Un problema di sanità pubblica
Dal report della Società scientifica emerge che oltre la metà (54%) degli americani ha dichiarato di aver sperimentato da vicino, personalmente o tramite un familiare, un episodio di violenza da uso di armi.
Uno su cinque, secondo le statistiche, ha subito personalmente una minaccia ed ha rischiato la propria vita. Il 17% ha visto sparare qualcuno, il 19% ha un familiare morto per colpo di arma da fuoco, il 21% è stato minacciato con un'arma da fuoco.
Il 33% dichiara di rinunciare a certi eventi pubblici per paura di ritrovarsi in situazioni del genere. Eppure, sono tutti lì davanti a Donald Trump, candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, che sta tenendo un comizio all'aperto davanti ai suoi elettori.
A centoventicinque metri dall'iconico cappellino rosso di Donald con la scritta “Make America Great Again”, faremo di nuovo grande l'America, un giovane di vent'anni di Bethel Park, una cittadina vicina, sta prendendo le misure della testa del noto politico.
È disteso, in tuta mimetica grigia e in t-shirt pro-armi, sul tetto di lamiera di un capannone di un'azienda manifatturiera e sta prendendo la mira con un fucile d'assalto semiautomatico, l'arma più comunemente usata nelle tipiche stragi di massa negli Usa.
L'ha verosimilmente comprata presentando la carta d'identità, con la stessa facilità con cui si entra in un supermercato a fare la spesa. I cecchini sugli edifici intorno inspiegabilmente non si accorgono della minaccia mortale. Ci sono gravi falle nella sicurezza.
Così Thomas Matthew Crooks, l'attentatore, esplode cinque colpi prima di essere freddato dal Secret Service. Le pallottole indirizzate a Tycoon, magnate dell'industria nonché personaggio potente ed autoritario come viene chiamato per antonomasia l'ex presidente in corsa la seconda volta per la Casa Bianca, uccidono un uomo di 50 anni, un ex vigile del fuoco e feriscono gravemente altri due spettatori, colpevoli di trovarsi lungo la traiettoria dei colpi, anche quelli del controfuoco.
Donald Trump è scampato all'attentato riportando una ferita all'orecchio destro per il quale è stato medicato in un ospedale. Le cure gli hanno assicurato una rapida dimissione. È stato tuttavia ad un centimetro dalla morte.
Dieci millimetri sono infatti la distanza anatomica tra il padiglione auricolare e la scatola cranica di un uomo. Il candidato presidenziale ha avuto la prontezza, dopo essere stato colpito e sentendo il sibilo di altre pallottole, di abbassarsi cercando di proteggersi sotto il palco sino all'arrivo delle sue guardie che gli hanno fatto scudo fintanto che l'attentatore non veniva neutralizzato.
Che cosa spinge un giovane uomo senza precedenti penali, figlio di due consulenti comportamentali, diplomato all'High School soltanto due anni fa e considerato un genio per le sue eccellenti abilità matematiche, che il prossimo novembre sarebbe andato per la prima volta a votare alle elezioni presidenziali, a tentare di uccidere un uomo potente, una figura apicale della sua società, verso il quale sembra avesse tra l'altro lo stesso orientamento politico?
Non si conosce ancora chiaramente il movente, anche se sui sociali sembra che il giovane avesse espresso un sentimento di odio verso il 54° presidente americano sebbene risultasse un elettore conservatore.
Forse è troppo semplicistico sottostimare la gravità dell'episodio risolvendo la questione come un problema di salute mentale dell'attentatore, classificando la persona responsabile di questo atto come un insano di mente la cui mano è stata armata dal clima di odio alimentato dalla controparte politica, in tal caso democratica. Melania Trump lo ha definito un mostro. Forse è più corretto raccontarlo come un qualsiasi ragazzo americano, figlio della società e dei mali dei suoi tempi.
Certamente quello che è accaduto in quei cinque minuti in cui ha cercato di assassinare Trump è un segnale inquietante di una società che si scopre, in un momento storico delicatissimo, sempre più malata in ogni suo tessuto. Su quei campi verdi di Butler, dove la vita di provincia scorre apparentemente normale sino alla noia, è andata in scena una violenza e una follia generalizzata senza senso.
Tutto il teatro della sparatoria è carico di odio, di contrapposizione ideologica, di demonizzazione dell'avversario, di feroce polarizzazione che non lascia spazio ad un rispettoso e civile confronto democratico. La Fiera di Butler è diventata così una realtà rappresentativa globale di quello che siamo diventati, di inconsistente apparenza e normalmente violenti anche solo a parole.
Lì si sono manifestati i nostri incubi peggiori, ritrovarsi dentro un attentato che riviviamo poi ripetutamente nei mass media. Lì scopriamo come reagiamo. E non si può stare bene, né vivendolo dal vivo né a distanza.
Innegabilmente, senza dimenticare il dolore di un padre e di una madre, chi ha premuto il grilletto, finendo i suoi giorni su un tetto di lamiera con un buco in testa, ha sbagliato. Ma il pugno di Trump alzato al cielo e il tono del suo urlo “Fight”, combattete, rivolto alla folla, che gli indurisce ancor più la faccia insanguinata più dello shock che ha subito, non sono meno violenti del proiettile calibro 5.56 millimetri messo in canna da quel giovane che voleva ammazzarlo.
L'uomo politico, seppur ferito e scioccato per quel che gli è capitato, continua ad alimentare quell'odio che il giovane uomo del popolo gli ha sparato addosso rimandandoglielo indietro con il pugno minaccioso. Lo odia a prescindere, subito, con immediatezza, senza neppure conoscere ancora il suo nome, il volto, l'età, le ragioni.
Nessuno fa pertanto una bella figura, né l'assalitore né l'assalito. Nemmeno la folla, che ancora rumoreggia e parteggia rispondendo al pugno levato del suo leader, a fine giornata ne esce migliore e più sana di testa rispetto a come era arrivata sul luogo del comizio. Il documento della Surgeon General evidenzia che questa violenza ha effetti psicosociali collaterali ed indiretti devastanti, come ansia, depressione e disturbi post traumatici da stress. Le persone che hanno vissuto il tentato assassinio di Trump hanno manifestato un senso di panico già durante l'evolversi dei fatti.
L'ipocrisia perbenista con cui sia Biden che Trump dichiarano “Questa non è l'America”, rinnegando la violenza diffusa tra la popolazione americana dall'arma facile grazie alle legislazioni degli Stati Federali, è una propaganda malsana che cerca maldestramente di nascondere una realtà, favorita prepotentemente dalle lobby delle armi, che è sotto gli occhi di tutti da decenni.
Occorre riconoscere inoltre che la società civile, non solo in America, sta vivendo una profonda crisi della democrazia. Allarme e forte indignazione dovrebbero, altresì, essere espressi anche per la scarsa presa di consapevolezza da parte dei governanti, nonostante gli allarmi lanciati dagli esperti, che tale violenza generalizzata rappresenta anche una emergenza nazionale a livello sanitario, che necessita di una adeguata strategia di intervento.
Altrimenti il persistere di tutta questa dilagante violenza, sia diretta che indiretta, che sottopone le persone a forte stress e disagio psicologico, renderà oltremodo insostenibili i sistemi sanitari. Perché le persone non possono stare mentalmente bene di fronte ai continui rischi, compresa quella di perdere la vita, che possono concretamente correre ogni volta che partecipano, in qualsiasi forma, alla vita pubblica.
Tale violenza, che ha un impatto sproporzionato e spesso duraturo sulla salute psicofisica di qualunque persona compresi i bambini, porta alla perdita di vite umane e a un dolore inimmaginabile per i sopravvissuti. Ciascuno, come scrivono i redattori del documento dei Chirurghi generali americani, merita di vivere la propria vita libera dalla violenza, dalla paura e dalla devastazione delle armi da fuoco.
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