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Editoriale

Il sottosegretario e la salute pubblica

di Giordano Cotichelli

C’è bisogno di un welfare che rimetta in piedi un circolo virtuoso fatto di politiche del lavoro, della sicurezza, dei redditi, dell’istruzione, della casa e della previdenza, e tutte le altre utili a sostenere la salute, a prevenire le malattie, a riabilitare i malati. Poche cose, le stesse alla base della grande riforma universalista del 1978. Non ci sono i soldi? A beh! Allora bisogna trovarli, in fondo è questo il compito di chi governa, e non tanto quello di sparare dichiarazioni di dubbia utilità.

Covid, lo scivolone di Gemmato sui vaccini

Marcello Gemmato, sottosegretario alla Sanità nel Governo Meloni

Nelle ultime ore imperversa sui media e sui social la polemica nata dalle dichiarazioni del sottosegretario alla Sanità in tema di vaccini.

Tra smentite, ritrattazioni, richieste di dimissioni o correzioni varie, il teatrino della politica italiana va in scena mostrando il suo lato peggiore: quello di un esecutivo, e di una rappresentanza parlamentare tutta, che si perde in polemiche utili solo ad autolegittimarsi, a fare confusione, ad assolvere o a condannare: tutto e tutti.

Da un lato c’è chi si crede di essere ancora in campagna elettorale e quindi in obbligo di strizzare l’occhiolino ai no vax, magari gli stessi che hanno devastato la sede della CGIL a Roma. Poi, nel momento che ci si accorge di averla sparata troppo grossa, si ritratta, si nega, ci si nasconde dietro la cattiva interpretazione delle parole dette, della decontestualizzazione delle frasi riportate, della strumentalizzazione politica utile solo alle opposizioni.

Dall’altro lato, queste – le opposizioni appunto – trovano l’ennesimo argomento su cui far sentire la loro flebile voce, alimentando dibattiti e discussioni unicamente in senso dicotomico – noi di qua, loro di là – per non andare, al pari dei partiti dell’esecutivo alla sostanza dei problemi.

Inutile dire che un sottosegretario alla Sanità dovrebbe pesare meglio le sue parole, evitando di alimentare polemiche e confusione. Qualcuno ricorderà le affermazioni fatte settimane fa dallo stesso a favore dell’azione di presidio del territorio delle farmacie e dei medici di famiglia, da preferire, a seconda delle situazioni, alle case di comunità. Rilievo interessante ma che rischia di essere, anche in questo caso, frainteso.

A dire il vero c’è il sospetto che da parte del sottosegretario alla sanità ci sia un po’ di leggerezza nel costruire le sue dichiarazioni pubbliche. Lo stesso ha sottolineato infatti come la regionalizzazione della sanità pubblica sia stato uno dei fattori che ne hanno facilitato la sua destrutturazione. Osservazione che può essere condivisibile, ma che sembra più una prova di forza nei confronti dei propri alleati di governo, che una visione globale del lavoro da fare.

Ecco, sicuramente il problema non è – solo – il sottosegretario, ma tutti coloro che continuano a considerare il sistema sanitario nazionale solo in termini mediatici e la salute pubblica qualcosa di residuale, fuori da una benché minima visione d’insieme.

Visione che, probabilmente, è tornata a farsi sentire, giocoforza, proprio durante i giorni più acuti della pandemia, in una prospettiva d’azione che mancava da anni e dalla quale l’esecutivo, di oggi, invece di trarre utili lezioni e indirizzi d’intervento, sembra che aprirà una commissione d’inchiesta; forse per continuare a fare sempre l’occhiolino ai no vax votanti.

Purtroppo, però, la situazione della salute pubblica in Italia è tale che le polemiche di questi giorni, e dei mesi scorsi, non sono affatto utili. A sottolinearlo poi sono gli stessi medici attraverso il Presidente della FNOMCEO, Filippo Anelli, che è tornato a sottolineare come la situazione della sanità italiana sia sull’orlo del baratro. A tale proposito, la fuga di professionisti dal servizio pubblico, che aggrava la cronica carenza, è uno dei tanti sintomi della gravità del momento. Il quadro attuale, nei fatti, è da tempo ben conosciuto da tutti i sanitari. Ne hanno una chiara percezione, anche se si comportano quasi in maniera rassegnata, in attesa di un crollo del sistema da tempo annunciato e che sembra sempre più inevitabile.

Eppure, nonostante tagli e depotenziamento, il Servizio sanitario nazionale, e le sue articolazioni regionali, per la maggioranza degli italiani, svolge ancora in maniera funzionale il suo lavoro. Almeno questo è quanto emerge da un sondaggio Ipsos per Amref. Non potrebbe essere altrimenti.

Un sistema tenuto in piedi dall’impegno dei sanitari e dal contributo fiscale di chi paga le tasse, e non di chi le evade beandosi di periodici condoni. O di chi, quando le cose vanno male si comporta seguendo l’adagio – parafrasato – del “vaccinatevi e partite”. Quello italiano è un sistema che continua a funzionare, nonostante le millanterie di dirigenti vari che, in nome del risparmio, negli ultimi trent’anni hanno tagliato posti letto, servizi, personale ed hanno assistito inermi (complici forse?) alla progressiva privatizzazione di posti letto, servizi, cure ed assistenza.

È un sistema che continua a funzionare, ma che è in crescente difficoltà e non ha bisogno di polemiche o campagne elettorali, ma necessita unicamente di una visione progettuale che metta al centro la salute della popolazione e non gli interessi degli stakeholder del profitto.

C’è bisogno di un welfare che rimetta in piedi un circolo virtuoso fatto di politiche del lavoro, della sicurezza, dei redditi, dell’istruzione, della casa e della previdenza, e tutte le altre utili a sostenere la salute, a prevenire le malattie, a riabilitare i malati. Poche cose, le stesse alla base della grande riforma universalista del 1978. Non ci sono i soldi? A beh! Allora bisogna trovarli, in fondo è questo il compito di chi governa, e non tanto quello di sparare dichiarazioni di dubbia utilità.

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