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Per Mahsa e per tutte le altre

di Giordano Cotichelli

Oggi, 11 ottobre, è il giorno di Meditrina, divinità pagana protettrice degli infermieri e salvifica presenza che annuncia la nuova stagione autunnale in cui il vino novello, fresco e vivo, andrà a mescolarsi con quello ben invecchiato. Purtroppo, così non è nella realtà di una società umana sempre più retrograda e gerontocratica, che da tempo mostra tutti i suoi fallimenti e continua a nutrirsi della linfa preziosa e nuova di giovani donne e uomini cui viene negato il futuro, il lavoro, l’istruzione, la vita.

Una ciocca di solidarietà chiama alla difesa dei diritti di tutte e tutti

Mahsa Amini, 22enne iraniana morta dopo essere stata arrestata per uso improprio dell'hijab.

Mahsa Amini aveva 22 anni ed era originaria della città curda di Saqez. In famiglia era chiamata Zhina. Il 13 settembre scorso si trovava a Teheran dove la polizia morale l’ha arrestata per uso improprio dell’hijab. Il fratello, che ha cercato di difenderla, è stato brutalmente picchiato.

La ragazza è stata trasferita poi verso la locale stazione di polizia. Lungo il tragitto Mahsa è stata duramente picchiata. Violenza che si è ripetuta anche all’interno della stazione. Tale è stata la brutalità che la ragazza è stata ricoverata d’urgenza presso l’ospedale di Kasra dove in pratica è arrivata in fin di vita.

La Direzione della clinica, in un post su Instagram – poi rimosso - ha dichiarato che Mahsa era già cerebralmente morta quando è arrivata all’istituto. Al personale sanitario, medici ed infermieri, in seguito è stato proibito di parlare con qualcuno dell’avvenimento o di fare fotografie di qualche tipo.

Mahsa è morta due giorni dopo il suo arrivo. Le autorità iraniane hanno dichiarato che le cause del decesso sono imputabili a malattia organica e non ad una qualche forma di violenza. L’episodio ha suscitato proteste in tutto il paese. Molte altre ragazze sono state uccise.

Il numero delle vittime del regime iraniano, in queste ultime settimane, sembra aggirarsi attorno alle 160, ma sicuramente è un dato sottostimato. Sono stati uccisi anche nove minori. La protesta non si è fermata e molte piazze e strade, scuole ed università nel paese dei pavoni sono state illuminate dalle centinaia di veli che le ragazze hanno bruciato. In molte, anche nelle mura domestiche, hanno tagliato ciocche di capelli per testimoniare la loro vicinanza a Mahsa e alle tante ragazze uccise, contro un potere brutale e misogino. Come tutti i poteri.

Qualche giorno fa l’Università di Ancona, per far sentire meno sole le donne iraniane, ha esortato il personale docente, tecnico e gli stessi studenti ad esprimere un gesto simbolico di solidarietà: il taglio di una ciocca di capelli, registrato con un video di pochi secondi che verrà poi diffuso. In tutto il mondo molte sono state le testimonianze di solidarietà verso le donne in lotta.

Molte personalità dello spettacolo e della cultura, a loro volta, hanno tagliato una ciocca dei loro capelli. In diversi casi hanno fatto un video accompagnato dalle note di “Bella Ciao”, canzone originaria delle mondine piemontesi e poi della resistenza antifascista che, per qualcuno è, nell’italica e maschia contrada, inopportuna e divisiva.

Ed è vero. “Bella ciao”, che è diventata canzone universale di lotta è certamente di parte e permette di fare una scelta chiara; come quella di stare con chi lotta per la libertà, come Mahsa, come le donne curde della Rojava, o di qualsiasi parte nel mondo. Ed allora si ritorna in Iran dove al coraggio delle lotte portate in piazza si affianca la risolutezza di moltissime altre donne e uomini nel lottare per cambiare il loro paese in meglio. Nella quotidianità faticosa di sempre.

Rozan è una donna iraniana. Ha 32 anni ed è un’ex-infermiera

In merito alle proteste che in questi giorni stanno sconvolgendo il suo paese, porta la sua testimonianza che racconta una storia accaduta nove anni fa molto simile alla tragedia che ha strappato Mahsa alla vita.

Nel 2013 Rozan ha 23 anni e viene fermata, anche lei, dalla polizia morale. L’accusa è quella di indossare la abaya (una larga veste) in maniera non appropriata: troppo corta. Rozan viene portata alla stessa stazione di polizia dove è stata condotta Mahsa. Quello che è successo a lei sarebbe potuto capitare a me, dichiara oggi.

Nella stazione viene schedata ed è costretta a rilasciare una dichiarazione firmata di colpevolezza per il suo “comportamento immorale”. Rozan riesce però a salvarsi, a tornare a casa, anche se perderà il suo lavoro di infermiera presso il Dipartimento di salute del governo locale in cui era impiegata perché, nel raccontare l’accaduto a colleghe e colleghi, è stata troppo esplicita nell’affermare le sue opinioni, nel condannare un regime testosteronico e criminale.

Rozan era ai funerali di Mahsa e afferma di aver visto una donna anziana che, molto scossa dalla situazione, si è tolta con rabbia il velo. Un gesto che ha dato forza e coraggio ulteriori a lei e a molte altre per continuare a protestare.

Molti sono i contributi che si possono trovare in rete, le testimonianze da portare alla conoscenza di tutti. Una in particolare merita di essere sottolineata. Arriva proprio dall’ospedale di Kasra dove è morta Mahsa. In rete si può vedere il video di Mahsa che viene portata fuori, priva di vita, dal reparto di terapia intensiva dove era ricoverata.

Al suo passaggio le infermiere del reparto depongono ognuna una rosa bianca sul suo corpo. Le note che accompagnano il video sono quelle di una canzone persiana che rendono ancor più insopportabilmente pesanti le immagini e chiamano allo stesso tempo ad una empatia con le colleghe che nella semplicità di un gesto di cordoglio hanno espresso tutta la loro rabbia e vicinanza alla giovane ventiduenne.

È bene ricordare che non capita tutti i giorni di omaggiare un paziente deceduto che viene portato via da un reparto ospedaliero. Lo si può fare per i vip o per qualche personalità della politica. Ci si inchina al passaggio di re e cortigiani, presidenti, cavalieri e faccendieri di sorta, in un lutto che sa più di sottomissione che di partecipazione. Così però non è stato per Mahsa, salutata da alcune rose bianche che forse pesano come i tanti veli bruciati nelle piazze.

Una ciocca di solidarietà tagliata oggi deve chiamare alla difesa dei diritti di tutte e di tutti, anche qui da noi dove ci crediamo detentori delle libertà inviolabili ed invece, ogni giorno di più, scopriamo il volto mal celato di un potere misogino e crudele.

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