Alcuni giorni fa è comparso su Repubblica un articolo molto istruttivo a firma di Alain Elkann, genitore del principale azionista di riferimento del quotidiano. Il breve scritto illustra il disagio provato dallo stesso durante un viaggio da Roma in direzione Foggia: la presenza di numerosi giovani arroganti e chiassosi è stata oggetto della sua attenzione riguardo le argomentazioni dei dialoghi (sport e sesso), al vestiario fatto di abiti e calzature alla moda con contorno di tatuaggi e iPhone vari, e ai comportamenti espressi in modalità poco attente verso la pace ambientale e individuale di chi viaggiava assieme a loro.
Il rovescio brutto della stessa medaglia
Illustrazione che rappresenta i soldati Lanzichenecchi che imbracciano i fucili.
A rendere ancor più evidente il distacco fra l’intellettuale ed i giovani c’è il fastidio provato dallo stesso in mezzo a quella baraonda di ormoni adolescenziali, mentre cercava di leggere il suo giornale, scrivere il suo diario, riprendere il filo narrativo di un libro.
Alla fine, il pezzo non ha rilevato nulla che già non si conoscesse, anche se ha avuto il pregio di rappresentare un sasso lanciato nello stagno della calura estiva e di suscitare quasi più reazioni di quelle scatenate dalla morte di persone schiantate dal caldo e dalle cattive condizioni di lavoro.
E tutto questo accade in un paese diviso a metà: a Sud c’è chi soffre e resta vittima del caldo rovente, con città assediate dagli incendi, mentre a Nord si viene spazzati via da grandine e trombe d’aria e si muore per un albero che ti crolla addosso, per il maltempo.
Non pochi commentatori si sono tuffati sul pezzo di Repubblica gridando al classismo, al boomerismo, alla spocchia intellettuale di vario genere che ancora una volta se ne infischia dei veri problemi della genuina umanità.
Ad essere sinceri il pezzo non è poi così brutto e merita tutt’altri commenti . Due sono i rilievi da fare relativi al contesto descritto dal racconto e al contesto sociale in cui i protagonisti si muovono.
Nel primo caso in poche righe lo scrittore ha avuto la capacità di mettere in luce un senso di fastidio atavico che le vecchie generazioni – da qui il boomerismo – provano da sempre verso i nuovi arrivati, appartenenti a quella che oggi è la generazione zeta, o ancor più quella alfa.
Se avesse fatto lo stesso viaggio con meno di mezzo secolo sulle spalle, il saggio Elkann, probabilmente avrebbe notato altre cose ed i rilievi di un giovane intellettuale sarebbero stati decisamente interessanti rispetto a comportamenti, per essere gentili, affatto intellettuali.
Il giovane Elkann avrebbe sottolineato non differenze generazionali, ma culturali e comportamentali, affermando però, in questo, la sua contiguità di classe con i lanzichenecchi, con gli stessi con cui ha condiviso un treno ed una carrozza non certo alla portata di tutti (tre ore da Roma a Foggia in prima classe), ed avrebbe magari inviato in redazione uno screen dei suoi appunti scritti attraverso lo stesso iPhone che non tutti possono permettersi di avere.
Se poi ci si vuole soffermare sul vestiario dei vari personaggi, nonostante quello del poeta e dei lanzichenecchi siano diversi, sul piano dell’etichettatura da boutique anche lì sono molti i punti di incontro.
Insomma, i Lanzichenecchi calati a Foggia sono il rovescio brutto della stessa medaglia cui appartiene il nostro scrittore. Gli uni hanno bisogno dell’altro, e viceversa. Un bello decantato in strofe o in prose di ragionamenti aulici, il cui sguardo supera l’orizzonte e parte verso l’infinito, non esisterebbe se non ci fosse qualcuno pronto ad insozzarlo, ad offuscare quello stesso orizzonte e farlo così rimpiangere in modo da venderne versi di nostalgia e dolore a piene mani.
È lo stesso orizzonte che fa dire a parolai stipendiati che non capiscono dove stia il problema del salario minimo o del bisogno della cassa integrazione per chi sgobba sotto il sole. Fra i sedili di una prima classe estiva in Italia si discetta di come abbordare le ragazze mentre le cronache ancora parlano di stupri e di femminicidi e di schermaglie genitoriali, istituzionali o meno, che mostrano inequivocabilmente come Financial Time, supplementi culturali e narrativa alta, convivano tranquillamente con l’arroganza e la sciatteria di una gioventù dorata, figlia di altrettanta arroganza e sciatteria che dagli scranni dei palazzi del potere da sempre trasuda.
C’è un celebre film della commedia italiana, dal titolo “Finché c’è guerra c’è speranza ”, del 1974 diretto da Alberto Sordi, dove lo stesso interpreta un mercante d’armi in giro per il mondo. Il personaggio ad un certo punto si trova a dover rispondere alla famiglia, ed in particolare ai figli, che lo sta giudicando perché fa un lavoro immorale, e dice: Perché vedete… le guerre non le fanno solo i fabbricanti d’armi e i commessi viaggiatori che le vendono, anche le persone come voi, le famiglie, come la vostra, che vogliono, vogliono e non si accontentano mai: le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo, gli anellini, i braccialetti, le pellicce e tutti i cazzi che ve se fregano, costano molto! E per procurarseli, qualcuno bisogna depredare, ecco perché si fanno le guerre .
Dunque, è inutile scandalizzarsi per qualche lanzichenecco se poi si riesce ad essere i liberi cantori, aulici poeti e intellettuali affermati, e proprio grazie a quei lanzichenecchi si può vivere, senza problemi, in una società dove si muore di caldo sul lavoro, o di pioggia in un campeggio, o di disperazione in mezzo al mare, o più semplicemente senza cure perché si sono tagliati posti letto, ospedali, personale sanitario.
Una società arida in cui si è diffusa l’ignoranza dei lanzichenecchi anche grazie alle scelte di palazzo di aver abbandonato l’obiettivo di un’istruzione pubblica il più diffusa e ricca possibile, tanto un poeta di corte da pagare profumatamente, basta e avanza per tessere le lodi di questa bella vita. Di chi fa la bella vita.
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