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Editoriale

Essere assassini non é una professione, ma é essere assassini!

di Redazione

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Attacco voluto alla presidente Ipasvi Barbara Mangiacavalli che ha dovuto rispondere a domande di giornalisti impreparati.

SASSUOLO. Ci risiamo! Ancora una volta la professione infermieristica bistrattata e raccontata da chi non la conosce affatto.

Ancora una volta l'incapacità di sottolineare la differenza tra una professione ed un evento.
Ancora una volta essere chiamati a fare da "specchietto per le allodole", in modo da garantire al giornalista di turno, di tenere i "buoni" in studio e i "cattivi" a distanza di sicurezza.
Comincio ad avere il dubbio che, le trasmissioni di approfondimento, abbiano avuto mandato preciso di creare allarmismo tra i cittadini a discapito degli infermieri e del loro esercizio della professione.
Ma torniamo all'oggetto di questa mia riflessione.
Una domanda posta da Bruno Vespa alla Presidente della Federazione Nazionale Collegi IPASVI, DOTTORESSA Mangiacavalli, è stata: cosa spinge un infermiere ad uccidere?
Allo stesso modo si potrebbe chiedere cosa spinge un panettiere ad uccidere? Un avvocato? Un contadino? Un medico? Un giornalista? (E si perché tra gli assassini si possono annoverare anche queste professioni!)
Infatti, a mio modo di vedere, indipendentemente dalla professione svolta dai presunti od accertati assassini, ci si dovrebbe domandare cosa spinge una persona a diventare un assassino o addirittura un assassino seriale? E subito dopo bisognerebbe domandarsi se queste morti sono evitabili e come.
La storia racconta purtroppo altri tristi eventi, un po' in tutto il mondo che vedono, nella veste di assassini seriali, appartenenti alle professioni sanitarie.
Nei testi di criminologia questi assassini vengono definiti "Angeli della morte", uccidono sovente nei luoghi di cura e pongono in essere l'azione criminale nei confronti dei più deboli: i pazienti ricoverati.
Sicuramente i periti sapranno analizzare la situazione e dare delle risposte in merito a come si sono svolti i fatti, le cause che li hanno provocati, le motivazioni che hanno spinto questi soggetti a diventare degli assassini.
Una cosa però è certa: nella maggior parte dei casi di omicidi seriali commessi dagli Angeli della morte, il contesto è simile, le vittime sono pazienti di cui si stavano prendendo cura e "l'arma del delitto" è quasi sempre riscontrabile in una somministrazione letale di farmaci ( morfina, atropina, potassio, insulina, barbiturici e sedativi, etc.)
Il fatto che questi assassini siano medici, infermieri, ostetriche o altro non rappresenta il movente, semplicemente evidenzia come per questi soggetti abbiano più facilità rispetto ad altri a procurarsi "armi"e vittime.
Vengono definiti assassini seriali tanto quanto camionisti, contadini, barbieri, etc., perché uccidono più persone senza che vi sia un rapporto diretto di conoscenza con la vittima, hanno la chiara intenzione di uccidere, lo fanno attraverso una ripetitività dell'azione omicidiaria, senza che il perché sia immediatamente desumibile.
E allora cosa possiamo fare per arginare il fenomeno?
L'attuale modalità di valutazione dell'idoneità psicofisica degli esercenti la professione sanitaria è sufficientemente adeguata?
Esiste la possibilità di identificare, attraverso dei test, il potenziale latente di questi soggetti di commettere omicidi? E se esistessero è possibile giuridicamente richiederne la somministrazione prima che prendano servizio?
Un professionista che abbia manifestato comportamenti a rischio presso una struttura potrebbe essere inserito in una banca dati condivisibile tra le diverse aziende sanitarie?
Il controllo del consumo dei farmaci, oltre ad avere una valenza economica, potrebbe fungere da indicatore per la gestione del rischio in questi casi?
La discussione dei casi dei decessi anomali, se non addirittura sospetti, attraverso audit che coinvolgano le Direzioni, la Medicina Legale, i professionisti, avviene regolarmente?
I professionisti segnalati dalla medicina preventiva come soggetti psicologicamente fragili, come vengono poi gestiti nelle diverse unità operative?
Queste sono le domande che mi sarebbe piaciuto sentir porre alla Dottoressa Mangiacavalli.
Queste sono le domande, ne sono certa, alle quali la Dottoressa Mangiacavalli, avrebbe dato risposte esaustive.
Infine, a differenza di quanto detto o scritto da parte di numerosi colleghi che si sono concentrati sul sottolineare le difficoltà comunicative durante l'intervista, credo che nella sua veste di Presidente della Federazione, impegno che svolge con dedizione, abbia dimostrato di conoscere perfettamente la distinzione tra essere assassini ed essere infermieri, cosa che il conduttore e un' altra ospite in studio non sembravano voler comprendere.

Maria Iris Grassi
Infermiera Dirigente

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