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coronavirus

Passerà, ma niente sarà più come prima

di Giordano Cotichelli

Quasi tutto il Nord Italia è diventato una zona rossa di misure restrittive per contenere l’infezione. La situazione in generale è ancora in evoluzione, ma già il servizio sanitario nazionale è in forte sofferenza. Prossimo al collasso? Non dovrebbe. No, speriamo di no. Certo è che gli addetti ai lavori sono tutti sotto pressione. Turni massacranti, congedi svaniti, reparti accorpati, ridotti, chiusi. Servizi cancellati, sospesi, ridefiniti. Spostamenti di malati e di sanitari. Quarantene che si abbattono su gruppi di persone mandando all’aria qualsiasi piano organizzativo. Qualcuno dice che siamo ancora lontani da arrivare al picco massimo e che bisogna reggere a tutti i costi. Già, bisogna e quindi il sistema ancora regge, nonostante i tagli, le assunzioni bloccate, una politica scellerata di tutti i governi, vecchi e nuovi, di tutti i ministri, vecchi e nuovi.

Emergenza coronavirus, speriamo non diventi una moderna Caporetto

C’è qualcosa di simile nella storia di questo paese che può fornire una chiave di lettura utile ad interpretare la situazione attuale. Il 24 ottobre 1917 le armate austroungariche attaccano il fronte e sfondano all’altezza di un piccolo paesino della Valle dell’Isonzo. Il suo nome sloveno è Kobarid, in italiano Caporetto.

L’esercito italiano viene travolto e batte in una disastrosa ritirata. Quasi centomila vittime, fra morti e feriti, per entrambi gli schieramenti, 265.000 i prigionieri italiani. La sconfitta si trasforma in una rotta e tutti sanno che la responsabilità è dei quadri alti delle Forze Armate cui, da mesi, arrivavano informative dal fronte per sottolineare che i soldati erano stanchi, non ne potevano più, dovevano essere rimpiazzati e aumentati di numero.

Dopo cent’anni un altro fronte mostra le sue criticità, quello della sanità pubblica italiana. Posti letto tagliati, reparti ed ospedali chiusi, carenza di personale infermieristico, medico e ad ogni altro livello sotto la soglia dell’accettabile. E le conseguenze sono oggi davanti agli occhi di tutti.

Il Covid-19 ha messo in atto, involontariamente, una strafexpedition (spedizione punitiva, il nome dell’operazione di Caporetto) contro la salute pubblica italiana e i bollettini della protezione civile di questi giorni assomigliano molto a quelli di una guerra in corso.

In parte, perché la guerra vera è quella in Yemen, in Siria, sulla frontiera greco-turca dove si spara sui profughi. I media e i social snocciolano in continuazione cifre e aggiornamenti. I numeri dei contagiati si susseguono con le cifre degli infermieri che mancano, dei posti letto tagliati, del recupero eccezionale di qualche medico in pensione o di ONG che prima erano considerate cattive e taxi del mare. Sì siamo in guerra, in parte.

La trincea qui ha l’odore della varechina che non ti va più via dalle mani, il vapore delle mascherine che appanna gli occhiali, impregna il volto. Si mescola al sudore. Fastidioso per pochi minuti, insopportabile per ore, senza più alcun commento dopo giorni

In guerra, sì. La linea del Piave qui passa per i parametri di un paziente che devono mantenersi stabili, per la saturazione che deve migliorare, per le mascherine di ricambio che ancora non sono arrivate.

Questo COVID-19 speriamo che non si trasformi nella Caporetto della sanità italiana. Non sarà così, ma forte è il sapore della disfatta a causa di tanti generali di oggi, assessori, direttori, yesmen che hanno lucrato e tagliato, che hanno pontificato di razionalizzazione delle risorse mentre in realtà rendevano inefficiente il sistema. E ciò nonostante fino ad oggi si è riusciti ad andare avanti e questo grazie agli ultimi, alle famiglie dei pazienti, ai pazienti stessi, ai lavoratori tutti della sanità.

Ma ora non c’è tempo per pensare alla storia, all’onnipresenza dell’Italietta arrogante fatta di nuovi ricchi e speculatori buoni solo a parlare e a sfruttare il lavoro degli altri. Ora bisogna rimboccarsi le maniche, anche se si sono finite, le maniche

E allora si va avanti, impacciati in camici di tessuto non tessuto, con la posta aziendale che si riempie di promemoria, di documenti, di linee guida che nessuno, con le mani guantate, ha più il tempo di leggere.

Camice, guanti, visiera, mascherina chirurgica, mascherina ffp2. Dai chiama il numero verde, senti il reperibile, cerca l’anestesista, perché questa spia continua ad essere accesa? Si va avanti anche con qualche pastiglia di paracetamolo, ibuprofene, l’antispastico del momento o, se alla fine si trovano alcune ore a disposizione, qualche goccia per dormire meglio, per ridurre i livelli tossici di adrenalina che da giorni si stanno accumulando.

Passerà. Presto, molto presto passerà. Bisogna tener duro e non lasciarsi vincere né dallo sconforto né dall’astio

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