Se non hai voglia di studiare vai a fare l'infermiere.
Una frase "un po' infelice" - così l'ha definita lo stesso autore, Alberto Forchielli - che a molti è suonata come "irrispettosa di una professione dura, nobile e necessaria come quella dell'infermiere". Difficile vederla in altro modo francamente, ma sarebbe sbagliato rispondere con la stessa avventatezza con cui l'imprenditore, economista e blogger bolognese ha lanciato in diretta TV l'ennesimo scivolone mediatico intorno alla figura dell'infermiere.
Forchielli si scusa con gli infermieri
Si è scusato, Forchielli, si è scusato (in modo tutto suo) per aver apostrofato con una leggerezza disarmante un'intera categoria professionale, che - al contrario del messaggio che è passato in prima serata su La7 - tra base e post base, ha un ventaglio formativo universitario secondo a nessuno. Si è scusato sui social - dove la sua infelice uscita è rimbalzata alla velocità della luce tanto da arrivare fino al vertice della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche, che non ha intenzione di lasciar passare la cosa e ha mobilitato i rappresentanti legali - e si è scusato ai nostri microfoni.
A tutti voi, vanno le mie scuse per una frase detta di fretta e un sentito ringraziamento per il grande lavoro svolto quotidianamente a servizio della comunità e delle persone più indifese e bisognose
Un copione già visto e rivisto: il personaggio pubblico di turno che assume un tono sprezzante e sbrigativo e taglia corto con uscite infelici (indimenticabile, nel mucchio, quella di Vittorio Sgarbi che per il futuro di Luigi Di Maio vedeva come unica possibilità quella di fare al massimo l'infermiere
), che con la precisione di un cecchino colpiscono gli infermieri, con l'aggravante di farlo in diretta TV o sui giornali, con titoloni che ne stropicciano la dignità professionale storpiando una realtà che sarebbe sotto gli occhi di tutti, se solo si avesse la maturità di guardarla. Sorgono spontanee decine di domande, ma la più pressante è "perché?". "Perché infermiere è ancora sinonimo di banalità e faciloneria?"
Dai tempi dei miei nonni - ha ipotizzato Forchielli - la pressione sociale su bambini e ragazzi ha mitizzato alcune professioni (il dottore, l’avvocato, il professore...) considerate di Serie A e automaticamente considerato di serie B altre professioni. Questo approccio sbagliato e pieno di pregiudizi ha creato un eccesso di laureati in materie che poi non sempre sono premiate dal mercato
.
Punti di vista. Inutile comunque puntare il dito verso "gli altri"; questa volta è stato un economista a farla fuori dal vaso, ma prima di lui ci sono stati politici, conduttori, sportivi e giornalisti.
collega
1 commenti
Una parola sugli infermieri
#1
siamo due infermiere , lavoriamo nell’ ambito della Sanità Pubblica romana e vorremmo commentare le parole del Dott. Forchielli nella ormai nota intervista rilasciata a La 7 il giorno 09 settembre.
L’ accezione chiaramente negativa esprime bene l’ attuale considerazione sociale dell’ infermiere : i cittadini non ci riconoscono come professionisti della salute ma, per lo più, ci vedono come personale di servizio e meri esecutori delle prescrizioni mediche.
L’ infermiere attuale , che il Prof. Cavicchi definisce “ postausiliario “ è ostinatamente intrappolato tra l’ autonomia e la responsabilità professionale, (sancita dalla legge 42/99 ) e l’ ausiliarietà che, invece, trova riscontro in quasi tutte le realtà lavorative.
Ogni professionista della sanità concorre alla costruzione della salute convogliando conoscenze, autonomie e organizzazioni in un auspicabile “reticolo professionale” ( “Il riformista che non c’ è “, Ivan Cavicchi, 2013 ).
La competenza professionale consente all’ infermiere di identificare i bisogni di ogni singola persona e di offrire una risposta individualizzata , combinando conoscenze , abilità e saperi ,ed è per questo che ogni équipe sanitaria contempla la presenza infermieristica; ancora, la nostra formazione di base ,accademica e multidisciplinare, ci rende figura di elezione per il ruolo di case manager in molti ambiti sanitari.
L’imperante superstizione del Positivismo non contempla il giusto riconoscimento alla relazione di aiuto, essenza della nostra professione e il velo di tristezza che spesso ci adombra nel confrontarci con la sofferenza non trova conforto alcuno in un riconoscimento professionale e sociale , ad oggi pressoché inesistente.
Citando, ancora, il Prof Cavicchi , viviamo quotidianamente la favola di Siringhino : siamo in possesso di tutte le prerogative ( legislative, formative e deontologiche ) necessarie ad essere professionisti della salute ma